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17. Differenza tra distributore e cliente di riferimento

Con sentenza n. 1043 del 9 febbraio 2023 il Tribunale di Milano si è pronunciato su un caso in cui un produttore, dopo aver effettuato un recesso con preavviso da un contratto di distribuzione, ha continuato a vendere merce all’ex distributore, con il quale si è instaurato un distinto rapporto commerciale basato su singole compravendite divenendo un cliente di riferimento (del produttore) nella zona.

Nella sentenza in questione il Giudice adito ha stabilito che:

  • è legittimo il comportamento di un produttore che recede con preavviso da un contratto di distribuzione (detto anche contratto di concessione di vendita) e poi, una volta risolto tale contratto, instaura con l’ex distributore un distinto rapporto commerciale basato su singole compravendite di prodotti, con la conseguenza che l’ex distributore diventa cliente di riferimento del produttore nella zona;
  • non si verifica una prosecuzione del contratto di distribuzione e non continuano ad essere valide le pattuizioni ivi contenute, ma il nuovo e distinto rapporto di compravendita è regolato dai singoli ordini di acquisto alle condizioni di volta in volta concordate tra le parti, qualora il cliente di riferimento non è più tenuto a rispettare gli obblighi previsti nel cessato contratto di distribuzione ed in particolare l’obbligo sui minimi di acquisto e l’obbligo di destinazione del 90% della superficie di vendita del negozio alla merce del produttore diversamente dal periodo in cui era vigente il contratto di distribuzione.

In buona sostanza, la sentenza in commento evidenzia la differenza esistente tra la figura del distributore e quella del cliente di riferimento (detto anche “cliente abituale”), che sono due figure molte diffuse nella prassi commerciale:

  • il distributore è legato al produttore da un rapporto continuativo di collaborazione commerciale, che non può essere interrotto senza un congruo preavviso e da cui scaturiscono una serie di obblighi in capo al distributore stesso come l’obbligo sui minimi di acquisto e l’obbligo di destinazione di una determinata superficie del negozio alla merce del produttore;
  • il cliente di riferimento è un acquirente-rivenditore che instaura con il produttore una costante relazione d’affari in una determinata zona, attraverso una serie di compravendite susseguitesi nel tempo, ma senza fissare ulteriori obblighi né da una parte (ad es. l’obbligo di promozione, l’obbligo di assistenza per l’omologazione dei prodotti, l’obbligo di partecipazione a fiere, ecc.), né dall’altra parte (ad es. l’obbligo del produttore di rispettare un preavviso qualora decida di smettere di rifornire la controparte).

 

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75. Il recesso dell’agente senza giusta causa si converte in recesso senza preavviso

Con sentenza n. 64 del 16 febbraio 2023 il Tribunale di Cuneo si è pronunciato sulla richiesta di pagamento dell’indennità sostituiva del preavviso formulata da una preponente, a seguito di un recesso senza giusta causa esercitato da un agente.

Per meglio comprendere la sentenza in commento è utile ricostruire brevemente la vicenda da cui ha tratto origine tale sentenza.

L’agente Tizio effettuava un recesso da un contratto di agenzia senza l’osservanza del periodo di preavviso, inviando alla preponente Alfa una comunicazione in cui non solo non era indicata alcuna circostanza integrante una giusta causa di recesso, ma addirittura l’agente ringraziava la preponente per l’esperienza da lui acquisita durante gli anni della loro collaborazione.

La preponente Alfa adiva il Tribunale di Cuneo per ottenere la condanna dell’agente Tizio al pagamento dell’indennità sostituiva del preavviso derivante dal suo recesso.

Tizio si costituiva in giudizio eccependo che il suo recesso era un recesso per giusta causa, con la conseguenza che nessuna indennità sostitutiva del preavviso era dovuta alla società Alfa.

Nella sentenza in esame il Tribunale di Cuneo ribadiva i seguenti principi di diritto già affermati dalla Corte di Cassazione:

  • il recesso dell’agente per giusta causa si converte, ove si accerti l’insussistenza di quest’ultima e salvo che non emerga una diversa volontà dell’agente medesimo, in un recesso senza preavviso, che determina la riespansione del diritto della controparte a percepire le previste indennità ed all’eventuale risarcimento del danno (Cass. civ. 30 settembre 2016 n. 19579);
  • l’indennità sostituiva del preavviso è correlata al fatto che lo scioglimento del rapporto di agenzia è conseguenza della volontà di una parte e tale indennità ha la funzione di risarcire in modo preventivo e automatico il danno che può derivare all’altra parte dal recesso senza preavviso (Cass. civ. 14 marzo 2012 n. 4042);
  • l’indennità sostituiva del preavviso è dovuta indipendentemente dalla prova di un pregiudizio subito a causa del recesso ad nutum della controparte, posto che tale indennità è prevista in favore della parte non recedente quale conseguenza automatica e predeterminata del recesso con effetto immediato, intimato dalla controparte, non assistito da giusta causa (Cass. civ. 29 novembre 2017 n. 28524).

Nel caso di specie il Giudice adito accertava che dal tenore della comunicazione di recesso inviata dall’agente alla preponente era incontrovertibile che si era trattato di un recesso in tronco privo di giusta causa, considerato che non solo non era menzionata alcun fatto costituente una ipotetica giusta causa, ma l’agente aveva persino ringraziato la preponente per gli anni della loro collaborazione.

Pertanto, il Tribunale di Cuneo riteneva che la comunicazione in questione era incompatibile con la sussistenza di un inadempimento della preponente così grave da giustificare un recesso per giusta causa e condannava Tizio a corrispondere a Alfa l’indennità sostituiva del preavviso.

 

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16. Risoluzione del contratto di distribuzione per mancato raggiungimento dei minimi di acquisto

Con ordinanza del 3 novembre 2022 il Tribunale di Venezia si è pronunciato su un caso di risoluzione automatica di un contratto di distribuzione internazionale per mancato raggiungimento dei minimi annuali di acquisto, in applicazione della clausola risolutiva espressa prevista in tale contratto.

Per meglio comprendere la sentenza in commento è utile ricostruire la vicenda da cui ha tratto origine tale sentenza.

La società italiana Alfa, produttrice di montature per occhiali da vista, stipulava con una società di distribuzione francese Beta un contratto di distribuzione in esclusiva per la Francia di tre linee di montature di occhiali prodotte da Alfa.

Il contratto di distribuzione veniva stipulato il 16 novembre 2020 ed era a tempo determinato con decorrenza dal 16 novembre 2020 e con naturale scadenza il 17 novembre 2023.

Con lettera del 24 febbraio 2022 la società Alfa comunicava alla società Beta di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di distribuzione in caso di mancato raggiungimento dei minimi annuali di acquisto stabiliti contrattualmente, dichiarando così la cessazione degli effetti del contratto di distribuzione a far data dal 28 febbraio 2022.

La società francese Beta adiva il Tribunale di Venezia lamentando che la società italiana Alfa avrebbe esercitato in mala fede la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto, posto che la stessa società Alfa aveva comunque dato esecuzione al contratto medesimo nei primi due mesi dell’anno 2022, nonostante il mancato raggiungimento dei minimi di acquisto per il 2021, sicché secondo la prospettazione di Beta doveva desumersi che la società italiana Alfa aveva tacitamente rinunciato per fatti concludenti ad avvalersi della clausola risolutiva espressa.

In particolare, il distributore francese ammetteva di aver acquistato nel 2021 da Alfa montature di occhiali per un importo complessivo di Euro 284.631,00, al di sotto quindi del minimo contrattuale fissato per l’anno 2021 in Euro 297.000,00. Tuttavia, Beta evidenziava che Alfa nei primi due mesi del 2022 non solo aveva dato esecuzione ai nuovi ordini di acquisto impartiti dalla stessa Beta, ma aveva anche inviato a quest’ultima delle nuove collezioni per il 2022, oltre ad aver riconosciuto in una mail inviata a Beta il 17 febbraio 2022 il ruolo commerciale strategico della medesima Beta nel territorio francese.

Oltre a ciò, il distributore francese rilevava che il mancato raggiungimento dei minimi di acquisto previsti per l’anno 2021 era dovuto dalle restrizioni imposte dalla pandemia e quindi per fatto non imputabile a Beta.

Pertanto, sulla base delle argomentazioni sopra indicate, Beta chiedeva al Tribunale adito di accertare l’illegittimità della risoluzione automatica del contratto di distribuzione effettuata da Alfa con lettera del 24 febbraio 2022, insistendo sul fatto che dal comportamento posto in essere da Alfa nei primi mesi del 2022, in particolare l’accettazione di nuovi ordini e l’invio di nuove collezioni, doveva desumersi una rinuncia tacita da parte della società italiana Alfa alla facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto in caso di mancato raggiungimento dei minimi annuali di acquisto.

Per contro, la società Alfa costituendosi in giudizio osservava anzitutto che era priva di fondamento l’asserzione di controparte secondo cui il mancato raggiungimento dei minimi annuali acquisto per l’anno 2021 era dipeso dalle restrizioni imposte dalla pandemia, tenuto conto che il contratto di distribuzione oggetto di causa era stato stipulato il 16 novembre 2020 e, quindi, nel pieno della recrudescenza pandemica.

Inoltre, la società Alfa eccepiva che nel mercato dell’occhialeria le vendite si concentrano per almeno il 30% nei primi mesi dell’anno, per cui Beta anche nel 2022 non avrebbe raggiunto i minimi annuali di acquisto fissati per tale anno in Euro 345.000,00, atteso che tra gennaio 2022 e febbraio 2022 aveva inviato ordini pari complessivamente a Euro 3.568,30.

Il Tribunale di Venezia rigettava il reclamo della società Beta, affermando che:

  • nel caso di specie è circostanza pacifica, per affermazione della stessa Beta, che il distributore francese non aveva raggiunto i minimi di acquisto pattuiti per l’anno 2021;
  • il contratto di distribuzione oggetto di causa prevedeva la facoltà di Alfa di risolvere il contratto nel caso in cui il distributore non avesse raggiunto i minimi di acquisto annuali;
  • in tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo), non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento;
  • nel caso in esame Alfa, dopo una tolleranza di due mesi successivi al mancato raggiungimento dei minimi di acquisto del 2021, tolleranza manifestata in termini positivi con l’accettazione di nuovi ordini per i mesi di gennaio e febbraio del 2022, si è avvalsa della clausola risolutiva espressa proprio in ragione dell’ulteriore protrazione dell’inadempimento, osservando come gli ordini eseguiti nei primi due mesi del 2022 erano stati non solo del tutto irrisori, essendo stati pari a complessivi Euro 3.568,30 a fronte del minimo contrattuale di Euro 345.500,00, ma anche tali da far ritenere che pure per l’anno 2022 i minimi di acquisto non si sarebbero raggiunti, così come non erano stati raggiunti nell’anno 2021;
  • il contratto di distribuzione oggetto di causa non prevedeva che la società Alfa aveva l’onere di avvalersi della clausola risolutiva espressa entro specifici termini;
  • l’accettazione di ordini da parte di Alfa nei primi due mesi del 2022 e l’invio di nuove collezioni avvenuta all’inizio del 2022 non costituiva inequivoca volontà tacita di rinunciare alla risoluzione del contratto, dovendosi considerare invece tali circostanze come mera tolleranza del pregresso inadempimento.

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74. Riqualificazione del rapporto da agente a lavoratore dipendente

Con sentenza n. 19 del 4 gennaio 2023 il Tribunale di Roma ha riqualificato come rapporto di lavoro subordinato un rapporto in essere tra una persona inquadrata come agente di commercio e una concessionaria di auto.

In particolare, nella suddetta sentenza il Tribunale di Roma ha affermato che:

  • l’utilizzo di un determinato tipo contrattuale non è determinante ai fini della qualificazione del contratto, dovendosi avere riguardo al reale contenuto del rapporto e al suo effettivo svolgimento;
  • il criterio distintivo principale tra lavoro autonomo e subordinato è individuabile, secondo la Corte di Cassazione, nella essenzialità della subordinazione intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro;
  • l’elemento distintivo tra rapporto di agenzia e quello di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento a favore della preponente di una attività economica esercitata in forma imprenditoriale con organizzazione dei mezzi e assunzione del rischio da parte dell’agente, che si manifesta nell’autonoma scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto dell’art. 1746 codice civile e delle istruzioni impartite dalla preponente, mentre oggetto del secondo è la mera prestazione di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell’imprenditore che sopporta il rischio dell’attività svolta;
  • nel caso di specie, dall’istruttoria svolta, è emerso che le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa del ricorrente, agente di commercio addetto alle vendite della concessionaria di auto, ricalcavano esattamente quelle dei dipendenti addetti alle vendite della stessa concessionaria di auto;
  • infatti, al pari dei dipendenti addetti alle vendite della concessionaria di auto in questione, il ricorrente: (i) aveva una postazione fissa di lavoro; (ii) era sottoposto al rispetto di un determinato orario di lavoro, nonché al turno di lavoro domenicale; (iii) partecipava alle riunioni aziendali, laddove spesso la società esercitava il proprio potere direttivo e gerarchico e disciplinare; (iv) era obbligato a rispettare un preciso processo di vendita imposto dalla società e i relativi corsi di aggiornamento on line; (v) era obbligato ad eseguire tutte le fasi connesse alle vendite, essendo sottoposto al controllo della società.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, quindi, il Tribunale di Roma ha riqualificato il rapporto di lavoro da agente di commercio in lavoratore dipendente.

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64. Legge di Bilancio 2023 e novità in materia di lavoro

La legge n. 197 del 29 dicembre 2022 (c.d. Legge di Bilancio 2023) contiene delle novità in materia di lavoro e più precisamente in materia di:

  • smart-working per i lavoratori fragili
  • detassazione premi produttività
  • esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti (c.d. taglio del cuneo fiscale)
  • esonero contributivo per l’assunzione di beneficiari di reddito di cittadinanza
  • esonero contributivo per assunzioni di giovani under 36 anni (condizionato all’autorizzazione della Commissione Europea)
  • esonero contributivo per promuovere l’occupazione femminile (condizionato all’autorizzazione della Commissione Europea)
  • prestazioni occasionali
  • congedo parentale

In particolare, il c.d. smart working viene prorogato sino al 31 marzo 2023 solo per i lavoratori fragili ovvero con particolari patologie o disabilità, sia del settore pubblico che privato, affetti dalle patologie croniche individuate dal Decreto del Ministero della Salute del 4 febbraio 2022.

Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità smart working al lavoratore considerato fragile anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, senza alcuna decurtazione dello stipendio, fatta salva l’applicazione delle disposizioni di maggior favore eventualmente previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

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15. Prosecuzione del contratto di distribuzione oltre la scadenza

Con sentenza n. 8530 del 28 ottobre 2022 il Tribunale di Milano si è pronunciato sulle conseguenze che si verificano nel caso in cui, nonostante la scadenza formale di un contratto di distribuzione, il distributore continua ad effettuare ordini e il produttore continua a spedire i prodotti ordinati dal distributore.

Nella sentenza in questione il Giudice adito ha stabilito che:

  • anche in mancanza di un atto di assenso scritto di entrambe le parti, la documentata continuazione dei rapporti tra le parti anche dopo la scadenza formale del contratto di distribuzione (continuazione provata dagli ordini di merce pervenuti alla società produttrice e dalle conseguenti spedizioni prodotti al distributore nei mesi successivi alla scadenza formale del contratto di distribuzione) deve interpretarsi come tacita prosecuzione del contratto manifestata per fatti concludenti;
  • in tale ipotesi il rapporto negoziale continua ad essere disciplinato dalle medesime clausole contenute nel contratto di distribuzione formalmente scaduto, verificandosi così una ultrattività di tale contratto.

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63. Corrispettivo variabile del patto di non concorrenza

Con ordinanza n. 33424 dell’11 novembre 2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità o meno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2125 codice civile, di un corrispettivo di un patto di non concorrenza variabile rispetto alla durata del rapporto di lavoro subordinato.

Come noto, l’art. 2125 codice civile stabilisce che il patto di non concorrenza post-contrattuale di un dipendente deve osservare i seguenti criteri di validità:

  • deve avere forma scritta;
  • deve limitarsi necessariamente alle mansioni espletate dal dipendente nel corso del rapporto di lavoro;
  • non deve essere tale da comprimere ogni potenzialità reddituale;
  • non deve prevedere corrispettivi simbolici o iniqui;
  • non deve avare una durata superiore a 5 anni per i dirigenti e a 3 anni per gli altri dipendenti.

In particolare, la Suprema Corte ha sottolineato che sono due i piani da considerare in tema di nullità del patto di non concorrenza post-contrattuale del lavoratore subordinato e cioè, da un lato, il vizio sotto l’aspetto della determinabilità o determinatezza oggettiva del compenso, dall’altro lato, il vizio sotto il profilo dell’ammontare del corrispettivo simbolico, iniquo ovvero sproporzionato.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che:

  • l’erogazione del corrispettivo di un patto di non concorrenza in rapporto alla durata della prestazione lavorativa rispecchia il principio di determinabilità ex ante, prescritto dall’art. 1346 codice civile e seguenti;
  • la variabilità del compenso in relazione alla durata del rapporto di lavoro non significa che il corrispettivo del patto di non concorrenza non sia determinabile in base a parametri oggettivi, con la conseguenza che il patto di non concorrenza non può considerarsi nullo ai sensi e per gli effetti dell’art. 2125 codice civile.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, è da ritenersi legittima l’apposizione di una clausola che parametri il valore economico del patto di non concorrenza alla durata del rapporto di lavoro cessato.

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73. Recesso per inosservanza delle condizioni di vendita

Con sentenza n. 173 del 2 dicembre 2022 il Tribunale di Prato si è pronunciato su un recesso per giusta causa intimato da una preponente per violazione da parte dell’agente delle istruzioni impartite dalla stessa preponente riguardo alle condizioni di vendita dei prodotti da applicare alla clientela.

Per meglio comprendere la sentenza in commento è utile ricostruire brevemente la vicenda da cui ha tratto origine tale sentenza.

La società preponente Alfa, azienda farmaceutica, basava il suo recesso per giusta causa sui seguenti inadempimenti dell’agente farmaceutico Tizio: (i) violazione da parte di Tizio dell’art. 1746 cod. civ. e degli obblighi generali di lealtà e buona fede per non essersi attenuto alle istruzioni ricevute dalla società Alfa relativamente alle condizioni di vendita dei prodotti farmaceutici da applicare alle farmacie della sua zona; (ii) sottoposizione alle farmacie di un documento riportato su carta intestata della società preponente Alfa, senza peraltro averne ottenuto il preventivo consenso, che conteneva condizioni commerciali differenti rispetto a quelle effettivamente stabilite dall’azienda farmaceutica Alfa e più precisamente una scontistica molto favorevole (40% + ulteriore 30%), pagamenti delle fatture a 365 giorni e possibilità di restituire i prodotti non venduti, lasciando intendere alle farmacie che la fornitura dei prodotti avveniva in conto vendita.

Inoltre, Alfa contestava a Tizio che, per effetto della condotta sopra descritta dell’agente, si era trovata costretta a ritirare dalle farmacie i prodotti invenduti e a stornare dalla fattura a suo tempo emessa l’importo corrispondente subendo così complessivamente un danno economico di € 69.570,00, oltre a subire un danno di immagine.

Il Tribunale di Prato dichiarava illegittimo il recesso per giusta causa intimato dalla preponente Alfa per non aver assolto l’onere probatorio a suo carico in merito all’inosservanza da parte dell’agente Tizio delle istruzioni da lei impartite riguardo alle condizioni di vendita dei prodotti da applicare alla clientela nonché all’applicazione da parte del medesimo agente di condizioni commerciali difformi rispetto a quelle effettivamente stabilite dall’azienda.

In particolare, il Giudice osservava che al riguardo l’azienda farmaceutica aveva prodotto in giudizio solo una e-mail in cui era scritto testualmente: “IMPORTANTE: in più diamo la possibilità alle farmacie di avere il ritiro delle referenze non vendute dopo 1 anno dalla consegna dei prodotti”, senza allegare ulteriori elementi di fatto a sostegno dell’interpretazione delle istruzioni nel senso voluto dalla preponente.

Pertanto, il Tribunale di Prato dichiarava illegittimo il recesso per giusta causa effettuato dalla società Alfa e condannava tale società a corrispondere all’agente Tizio l’indennità di fine rapporto e l’indennità sostitutiva del preavviso.

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1. Abuso di dipendenza economica da parte delle piattaforme digitali

La legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, che è stata pubblicata il 12 agosto 2022 in Gazzetta Ufficiale, ha modificato con efficacia da partire dal 31 ottobre 2022 l’art. 9 della legge n. 192 del 1998 sull’abuso di dipendenza economica, attualizzando la disciplina della subfornitura nelle attività produttive rispetto ai casi in cui un’impresa utilizza i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale.

Dal 31 ottobre 2022 è vietato l’abuso da parte delle piattaforme digitali dello stato di dipendenza economica nel quale si trova nei loro confronti un’impresa cliente o fornitrice.

Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato digitale alternative soddisfacenti.

Salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizza i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati.

L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.

Le pratiche abusive realizzate dalle piattaforme digitali possono consistere anche nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio erogato e nel richiedere indebite prestazioni unilaterali non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta ovvero nell’adottare pratiche che inibiscono od ostacolano l’utilizzo di diverso fornitore per il medesimo servizio, anche attraverso l’applicazione di condizioni unilaterali o costi aggiuntivi non previsti dagli accordi contrattuali o dalle licenze in essere.

Il patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo, per cui il giudice ordinario competente può decidere sulle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni. Le azioni civili esperibili sono proposte di fronte alle sezioni specializzate in materia di impresa.

Qualora si ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell’istruttoria, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato può procedere alle diffide e sanzioni nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso tale abuso.

In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l’abuso si configura a prescindere dall’accertamento della dipendenza economica.

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22. Diritto del subagente alla quota di indennità di fine rapporto dovuta all’agente principale corrispondente alla clientela procurata dal subagente

Con la sentenza n. 593 del 13 ottobre 2022  la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che di regola il subagente ha diritto a percepire la quota di indennità di fine rapporto dovuta all’agente principale in funzione della clientela apportata dal subagente, salvo alcune eccezioni.

Per meglio comprendere l’importanza della sentenza in commento è utile ricostruire brevemente la vicenda da cui ha tratto origine tale sentenza.

Tra una società preponente tedesca Alfa e un agente belga Beta veniva stipulato un contratto di agenzia. Per l’esecuzione di tale contratto l’agente belga Beta si avvaleva anche della collaborazione di un subagente belga Gamma.

La società preponente tedesca, l’agente belga e il subagente belga avviavano una trattativa volte a far sì che il subagente belga Gamma divenisse agente diretto della società tedesca Alfa dopo la cessazione dell’attività dell’agente Beta.

Tuttavia, tale trattativa non andava a buon fine e quindi la società tedesca Alfa recedeva dal contratto di agenzia con Beta. A sua volta l’agente Beta recedeva dal contratto di subagenzia con Gamma.

Successivamente, la società tedesca Alfa e l’agente Beta si accordavano sull’importo dovuto allo stesso agente Beta a titolo di indennità di fine rapporto.

In seguito, la preponente Alfa conferiva a Gamma l’incarico di suo agente diretto.

Tuttavia, il subagente Gamma riteneva di aver anch’egli diritto a un’indennità di fine rapporto per i nuovi clienti che aveva procurato a favore dell’agente Beta e per i quali quest’ultimo aveva già ricevuto l’indennità di fine rapporto dalla società tedesca Alfa.

Pertanto, il subagente Gamma citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Liegi l’agente Beta per chiedere la condanna di quest’ultimo al pagamento della quota di indennità di fine rapporto percepita dalla società preponente Alfa in relazione alla clientela procurata dallo stesso subagente Beta.

In primo grado veniva accolta la richiesta di Gamma, mentre nel giudizio di appello veniva respinta tale richiesta. La vicenda giungeva fino alla Corte di Cassazione belga, la quale sottoponeva alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la seguente questione pregiudiziale: “Se l’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), primo trattino, della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella controversa, l’indennità di cessazione del rapporto dovuta all’agente principale nella misura della clientela procurata dal subagente non è “un vantaggio sostanziale” procurato all’agente principale”.

Con la sentenza in commento la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che:

  • l’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che l’indennità di fine rapporto corrisposta dalla preponente all’agente principale nella misura della clientela procurata dal subagente può costituire, in capo all’agente principale, un sostanziale vantaggio;
  • il pagamento di un’indennità di fine rapporto al subagente può essere considerato iniquo, ai sensi di tale disposizione, qualora quest’ultimo prosegua le sue attività di agente commerciale nei confronti degli stessi clienti e per gli stessi prodotti, ma nell’ambito di un rapporto diretto con la preponente principale e ciò in sostituzione dell’agente principale da cui era stato precedentemente incaricato.

In buona sostanza, con la sentenza in esame la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ritenuto che il subagente ha diritto a percepire la quota di indennità di fine rapporto dovuta all’agente principale in funzione della clientela apportata dal medesimo subagente, a meno che quest’ultimo abbia instaurato un rapporto diretto di agenzia con la preponente principale.

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