Autore: FTA Pagina 1 di 26

103. Le indennità derivanti dallo scioglimento del contratto di agenzia

Con sentenza n. 944 del 3 dicembre 2024 il Tribunale di Parma – Sezione lavoro ha effettuato una sintetica ricostruzione del quadro normativo al cui interno deve essere inquadrato il tema delle indennità derivanti allo scioglimento del contratto di agenzia osservando quanto segue.

A tale riguardo, risulta agevole affermare l’esistenza di un modello a doppio binario costituito dalle indennità previste dall’art. 1751 codice civile e da quelle previste dagli accordi economici collettivi.

Le prime trovano, in effetti, la loro fonte regolatrice nell’art. 1751 codice civile e riguardano l’indennità di cessazione del rapporto introdotta nel nostro ordinamento in seguito al recepimento della Direttiva europea 86/653.

Nel secondo gruppo, sono, invece, ricomprese tre tipologie di indennità previste dagli accordi economici collettivi, quali l’indennità di risoluzione del rapporto (erogata mediante gli accantonamenti eseguiti presso l’apposito fondo gestito da Enasarco), l’indennità suppletiva di clientela e quella meritocratica.

Dovendo fare opera di sintesi, mentre la prima (FIRR) è dovuta in ogni caso di cessazione del mandato, per le altre due occorre distinguere: l’indennità suppletiva di clientela (ISC) è dovuta quando il contratto si scioglie ad iniziativa dell’agente per circostanze attribuibili alla preponente, mentre quella meritocratica (IM), aggiuntiva alle precedenti, spetta all’agente allo scioglimento del contratto solo nel caso in cui l’importo complessivo del FIRR e della indennità suppletiva di clientela non superi il massimale stabilito per l’indennità di fonte legale e l’agente, al momento della cessazione, abbia procurato nuovi clienti o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e la preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.

Può, dunque, affermarsi che tale indennità condivide, in parte, i presupposti dell’indennità suppletiva e di quella di cui all’art. 1751 codice civile.

Orbene, come noto, ai sensi dell’art. 1751 codice civile la preponente è tenuta a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti alla preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e la preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.

L’art. 1751 codice civile è, pertanto, chiaro nella sua volontà di premiare, con l’attribuzione della indennità, l’attività direttamente rivolta alla promozione della clientela, sia nei termini più dinamici di reperimento di nuovi contraenti, sia nei termini di un allargamento della base degli affari con quelli già acquisiti, ad essa riconnettendosi un particolare ed evidente interesse del soggetto preponente ed un gravoso (e, così, meritevole di riconoscimento economico) impegno personale dell’agente.

Di conseguenza, non è sufficiente soltanto la provvista di nuovi clienti ovvero il sensibile incremento degli affari con quelli vecchi, posto che occorre anche il verificarsi della seconda condizione, ossia che, pure all’esito della cessazione del rapporto con l’agente, la preponente continui a ricevere ancora sostanziali vantaggi derivanti dai nuovi procurati clienti ovvero dal suddetto incremento di affari con i vecchi.

Peraltro, ai fini dell’art. 1751 codice civile non è sufficiente che il recesso non sia imputabile all’agente, ovvero che non ricorrano le altre preclusioni ostative ivi contemplate, il cui difetto, perciò, non basta da solo ad integrare il diritto all’indennità, configurabile, invece, soltanto allorché sussistano pure le altre due condizioni.

 

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102. La prescrizione quinquennale delle provvigioni decorre in costanza di rapporto

Con sentenza n. 28172 del 31 ottobre 2024 la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro si è pronunciata sul tema del decorso del termine di prescrizione quinquennale delle provvigioni.

In particolare, nella suddetta pronuncia la Suprema Corte ha affermato che la sospensione della prescrizione dei crediti retributivi durante il decorso del rapporto di lavoro si riferisce solo alla retribuzione del lavoratore dipendente e non è quindi applicabile alle provvigioni spettanti all’agente.

In pratica, diversamente dai lavoratori dipendenti che godono della speciale garanzia derivante dall’art. 36 della Costituzione, per quanto riguarda gli agenti di commercio la prescrizione quinquennale delle provvigioni decorre in costanza del rapporto di agenzia e non dalla data di cessazione di tale rapporto.

 

 

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101. La giusta causa di recesso per fatto imputabile all’agente

Con sentenza n. 16942 del 6 novembre 2024 il Tribunale di Roma si è pronunciato sul tema della giusta causa di recesso per fatto imputabile all’agente.

In particolare, nella suddetta pronuncia il Giudice adito ha affermato che:

  • l’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119, primo comma, cod. civ. in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia – in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali – assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato;
  • di conseguenza, ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata.

In buona sostanza, il Tribunale di Roma – aderendo all’orientamento consolidato della Corte di Cassazione – ha stabilito che nel rapporto di agenzia la fiducia assume un carattere più intenso in considerazione della maggiore autonomia di gestione dell’attività e, quindi, il venir meno di tale rapporto fiduciario per fatto imputabile all’agente è presupposto sufficiente ad integrare la giusta causa del recesso.

 

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83. I limiti territoriali del patto di non concorrenza nel contratto di lavoro subordinato

L’art. 2125 del codice civile disciplina il patto di non concorrenza nel contratto di lavoro subordinato e stabilisce, tra gli altri requisiti, che tale patto a carico dell’ex dipendente sia nullo ove il vincolo non sia contenuto entro determinati limiti di luogo.

Il concetto di “territorio” di cui all’art. 2115 del codice civile deve essere interpretato in maniera elastica in quanto più coerente con la realtà socio-economica in cui agiscono attualmente gli operatori economici, per cui il luogo non deve essere inteso come parametro fisico dove collocare o meno una postazione di lavoro (specie per i lavori di natura intellettuale ed eseguiti per il tramite di strumenti tecnologi e rete internet), bensì deve essere inteso quale “spazio” nel quale si riflettono gli effetti della prestazione lavorativa del dipendente in questione.

In buona sostanza, per determinare il luogo di applicazione del patto di non concorrenza non ci si deve concentrare sul luogo dove si svolge il lavoro, ma sul mercato di riferimento a cui il lavoro è destinato.

 

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100. Termini di prescrizione dei contributi Enasarco e del FIRR

Con riferimento ai termini di prescrizione dei contributi Enasarco e del FIRR occorre tener presente che:

  • ai sensi dell’art. 3, comma 9, della legge n. 335 dell’8 agosto 1995 i contributi previdenziali Enasarco sono soggetti al termine di prescrizione quinquennale e quindi tali contributi si prescrivono in 5 anni;
  • il FIRR è soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale, in quanto non rientra nell’ipotesi di cui all’art. 2948, comma 1 n. 5, codice civile, che invece si riferisce espressamente alle sole indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, per cui il FIRR si prescrive in 10 anni.

 

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99. Derogabile l’onerosità del patto di non concorrenza nel contratto di agenzia

Con ordinanza n. 23331 del 29 agosto 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla derogabilità del carattere oneroso dell’indennità del patto di non concorrenza post-contrattuale nel contratto di agenzia.

In particolare, in tale pronuncia la Suprema Corte ha stabilito che:

  • secondo l’art. 1751-bis codice civile la corresponsione di una indennità all’agente commerciale non è prevista a pena di nullità del patto di non concorrenza post contrattuale;
  • l’onerosità del patto di non concorrenza post-contrattuale nel contratto di agenzia non è inderogabile, in quanto non presidiata da una sanzione di nullità espressa e non diretta alla tutela di un interesse pubblico generale;
  • la disciplina del patto di non concorrenza di cui all’art. 1751-bis codice civile è derogabile dalle parti, per cui non è nulla la clausola di un contratto di agenzia che prevede la liquidazione dell’indennità relativa al patto di non concorrenza in questione nel corso del rapporto e in misura provvigionale.

 

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82. Illegittimo il licenziamento per rimborsi spese indebiti senza prova del dolo del lavoratore

Con ordinanza n. 23053 del 23 agosto 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla proporzionalità della sanzione del licenziamento senza preavviso per giusta causa nel caso di un lavoratore, che aveva presentato alla datrice di lavoro alcune note di rimborso spese errate con conseguente rimborso non dovuto pari ad € 365,20.

Nell’ordinanza in commento la Suprema Corte è tornata in particolare a trattare il tema delle conseguenze e delle tutele applicabili in caso di difetto di proporzionalità del licenziamento rispetto al fatto contestato, ribadendo che:

  • la valutazione della non proporzionalità rientra tra le ipotesi in cui è possibile applicare la reintegrazione nel posto di lavoro, solo se lo scollamento tra la gravità della condotta e la sanzione adottata emerga da una disposizione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, che preveda per tale fattispecie l’applicazione di una sanzione conservativa;
  • in caso contrario la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra sempre nelle “altre ipotesi” in cui non sussistono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, che comportano l’applicazione della tutela indennitaria forte ex art. 18, comma 5°, della legge n. 300 del 1970.

La Corte di Cassazione ha ritenuto, quindi, che in astratto non va esclusa a priori l’esistenza di una giusta causa di licenziamento (giudizio da effettuarsi tenendo presenti la natura e la qualità del rapporto di lavoro, la qualità e il grado del vincolo di fiducia connesso al rapporto di lavoro, l’entità della violazione commessa e l’intensità dell’elemento soggettivo), ma nel caso concreto la sanzione applicata dalla datrice di lavoro alla condotta è sproporzionata rispetto all’entità della violazione commessa dal lavoratore, soprattutto in assenza di un fine illecito collegato alla medesima condotta, dato che nel giudizio di merito non è emersa l’esistenza di un preventivo accordo tra il lavoratore e il direttore, che ha autorizzato il suddetto rimborso spese, tale da fare opinare una collusione volta a frodare l’azienda.

Pertanto, sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento in questione per difetto di proporzionalità così come stabilito dal Tribunale in sede di opposizione Fornero e dalla Corte di Appello, che – da un lato – hanno dichiarato risolto il rapporto di lavoro respingendo la domanda di reintegrazione del lavoratore, ma – dall’altro lato – hanno condannato la società datrice di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

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81. L’obbligo di repechage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Con l’ordinanza n. 17036 del 20 giugno 2024  la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’obbligo di repechage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che l’obbligo datoriale di repéchage è limitato alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento, che non necessitino di una specifica formazione che il medesimo lavoratore non abbia.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, applicando il suddetto principio di diritto, ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la Corte territoriale aveva accertato l’incapacità dei ricorrenti allo svolgimento delle mansioni inferiori di addetto al servizio mensa, se non seguendo un idoneo percorso di riqualificazione professionale, in quanto entrambi i lavoratori licenziati erano provvisti di un idoneo bagaglio professionale.

In buona sostanza, con l’ordinanza in commento la Suprema ha stabilito che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la datrice di lavoro ha un obbligo di repechage dei lavoratori licenziati anche in relazione alle eventuali mansioni inferiori disponibili in azienda, ma non ha invece un obbligo alla specifica formazione dei medesimi lavoratori per rendere possibile lo svolgimento delle eventuali mansioni inferiori disponibili in azienda.

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98. L’esclusiva nel contratto di agenzia

Con la sentenza n. 111 del 30 maggio 2024 il Tribunale di Piacenza si è pronunciato sul tema del diritto di esclusiva nel contratto di agenzia.

In particolare, nella suddetta sentenza il Tribunale adito ha stabilito che:

  • il diritto di esclusiva previsto dall’art. 1743 codice civile è un elemento non essenziale, ma naturale del contratto di agenzia ed è, quindi, derogabile per volontà delle parti;
  • la deroga all’esclusiva in favore dell’agente comporta che allo stesso agente non spetta il diritto, sancito dall’art. 1748 codice civile, alla provvigione per gli affari conclusi nella zona direttamente dalla preponente.

 

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97. L’omessa contestazione degli estratti conto provvigionali

Con la sentenza n. 305 del 25 giugno 2024 la Corte di Appello di Milano si è pronunciata sul tema dell’omessa contestazione degli estratti conto provvigionali da parte dell’agente, richiamando il consolidato orientamento della Corte di Cassazione sul punto.

Infatti, secondo la Suprema Corte in tema di rapporto di agenzia deve escludersi che l’omessa contestazione degli estratti conto provvigionali comporti una approvazione tacita di modifiche unilaterali apportate, con riguardo a condizioni economiche per alcuni specifici affari, dal preponente e, di conseguenza, una rinuncia dell’agente a maggiori compensi provvigionali, posto che la rinuncia tacita ad un diritto può desumersi soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa.

A tale consolidato orientamento della Cassazione si è adeguata la Corte di Appello di Milano con la sentenza in commento, stabilendo che qualora un contratto di agenzia contenga una clausola in base alla quale l’estratto conto provvigioni si considera approvato se non contestato entro 30 giorni, tale approvazione dell’estratto conto non preclude l’impugnabilità della validità e dell’efficacia dei singoli rapporti obbligatori e dei titoli contrattuali da cui derivano gli addebiti e gli accrediti.

Pertanto, l’approvazione tacita dell’estratto conto provvigioni da parte dell’agente riguarda solo le somme risultanti nell’estratto conto, ma non vale come rinuncia ad eventuali crediti per affari non compresi negli estratti conto approvati. 

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