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81. L’obbligo di repechage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Con l’ordinanza n. 17036 del 20 giugno 2024  la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’obbligo di repechage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che l’obbligo datoriale di repéchage è limitato alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore è dotato al momento del licenziamento, che non necessitino di una specifica formazione che il medesimo lavoratore non abbia.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione, applicando il suddetto principio di diritto, ha ritenuto incensurabile la sentenza impugnata con la quale la Corte territoriale aveva accertato l’incapacità dei ricorrenti allo svolgimento delle mansioni inferiori di addetto al servizio mensa, se non seguendo un idoneo percorso di riqualificazione professionale, in quanto entrambi i lavoratori licenziati erano provvisti di un idoneo bagaglio professionale.

In buona sostanza, con l’ordinanza in commento la Suprema ha stabilito che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la datrice di lavoro ha un obbligo di repechage dei lavoratori licenziati anche in relazione alle eventuali mansioni inferiori disponibili in azienda, ma non ha invece un obbligo alla specifica formazione dei medesimi lavoratori per rendere possibile lo svolgimento delle eventuali mansioni inferiori disponibili in azienda.

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98. L’esclusiva nel contratto di agenzia

Con la sentenza n. 111 del 30 maggio 2024 il Tribunale di Piacenza si è pronunciato sul tema del diritto di esclusiva nel contratto di agenzia.

In particolare, nella suddetta sentenza il Tribunale adito ha stabilito che:

  • il diritto di esclusiva previsto dall’art. 1743 codice civile è un elemento non essenziale, ma naturale del contratto di agenzia ed è, quindi, derogabile per volontà delle parti;
  • la deroga all’esclusiva in favore dell’agente comporta che allo stesso agente non spetta il diritto, sancito dall’art. 1748 codice civile, alla provvigione per gli affari conclusi nella zona direttamente dalla preponente.

 

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97. L’omessa contestazione degli estratti conto provvigionali

Con la sentenza n. 305 del 25 giugno 2024 la Corte di Appello di Milano si è pronunciata sul tema dell’omessa contestazione degli estratti conto provvigionali da parte dell’agente, richiamando il consolidato orientamento della Corte di Cassazione sul punto.

Infatti, secondo la Suprema Corte in tema di rapporto di agenzia deve escludersi che l’omessa contestazione degli estratti conto provvigionali comporti una approvazione tacita di modifiche unilaterali apportate, con riguardo a condizioni economiche per alcuni specifici affari, dal preponente e, di conseguenza, una rinuncia dell’agente a maggiori compensi provvigionali, posto che la rinuncia tacita ad un diritto può desumersi soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa.

A tale consolidato orientamento della Cassazione si è adeguata la Corte di Appello di Milano con la sentenza in commento, stabilendo che qualora un contratto di agenzia contenga una clausola in base alla quale l’estratto conto provvigioni si considera approvato se non contestato entro 30 giorni, tale approvazione dell’estratto conto non preclude l’impugnabilità della validità e dell’efficacia dei singoli rapporti obbligatori e dei titoli contrattuali da cui derivano gli addebiti e gli accrediti.

Pertanto, l’approvazione tacita dell’estratto conto provvigioni da parte dell’agente riguarda solo le somme risultanti nell’estratto conto, ma non vale come rinuncia ad eventuali crediti per affari non compresi negli estratti conto approvati. 

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96. Spetta l’indennità di fine rapporto all’agente che recede per pensionamento?

Di regola, ai sensi dell’art. 1751 codice civile, quando l’agente recede dal contratto di agenzia non è dovuta l’indennità di fine rapporto sia quella prevista dall’art. 1751 codice civile, sia quella prevista dagli Accordi Economici Collettivi, a meno che il recesso dell’agente sia giustificato da circostanze attribuibili alla preponente o da circostanze attribuibili all’agente, come l’età, l’infermità o la malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività.

Pertanto, come chiarito di recente dalla Corte di Cassazione, la maturazione del diritto alla pensione da parte dell’agente non integra di per sé l’ipotesi che consente ai sensi dell’art. 1751 codice civile di recedere da un rapporto di agenza senza perdere il diritto all’indennità di fine rapporto, posto che l’uso del termine “età” nell’art. 1751 codice civile, accanto a quelli di “infermità o malattia”, rende evidente che la finalità di tale norma è quella di limitare il diritto all’indennità di fine rapporto a ipotesi caratterizzate da impedimento assoluto dell’attività idoneo, appunto, a giustificare il recesso dell’agente.

Di conseguenza, il recesso per pensionamento effettuato da parte dell’agente deve seguire un iter preciso per essere valido ai fini del mantenimento del diritto ad ottenere il pagamento dell’indennità di fine rapporto da parte della preponente e più precisamente da un punto di vista operativo:

  • l’agente deve presentare la domanda di pensionamento all’INPS e/o all’Enasarco;
  • l’agente deve attendere che la domanda di pensionamento sia accettata dall’ente previdenziale;
  • l’agente potrà comunicare alla preponente il suo recesso per pensionamento solo dopo la ricezione del primo rateo della pensione, mantenendo così il diritto all’indennità di fine rapporto.

 

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95. Quando l’influencer può essere inquadrato come agente di commercio?

Con la sentenza n. 2615 del 4 marzo 2024 il Tribunale di Roma ha individuato gli elementi sulla base dei quali l’influencer può essere inquadrato come agente di commercio con le relative conseguenze anche sotto il profilo della iscrizione e contribuzione Enasarco.

Nel caso di specie tra la società e gli influencer era stato stipulato un accordo scritto in base al quale “[…] l’influencer dovrà promuovere per conto nostro prodotti del brand di proprietà di […] sulle pagine social media e siti di proprietà dell’influencer, indicando nelle proprie pagine web il codice personalizzato […] per ogni singolo ordine direttamente procurato e andato a buon fine, l’influencer avrà diritto di percepire dalla Società un compenso nella misura del 10%”.

In buona sostanza, secondo il Tribunale di Roma il codice sconto personalizzato funge da collegamento ai siti web della società ed allo stesso tempo permette alla società di determinare gli ordini riconducibili all’influencer, con la conseguenza che l’influencer svolge una vera e propria attività promozionale di vendita per cui riceve un compenso determinato in funzione degli ordini direttamente procurati dallo stesso influencer e andati a buon fine, e cioè una retribuzione in forma provvigionale liquidata con cadenze periodiche per lo più mensili.

Pertanto, nella sentenza in esame il Giudice ha stabilito che un’attività del genere è riconducibile alla fattispecie civilistica dell’agenzia regolata dagli artt. 1742 e seguenti del codice civile, i cui caratteri distintivi sono la continuità e la stabilità, che nel caso di specie sono stati riscontrati dal Tribunale nel suddetto accordo scritto e nella fatturazione provvigionale periodica.

 

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94. Il foro competente per territorio nelle cause tra agente-persona fisica e preponente

Con ordinanza n. 11932 del 3 maggio 2024 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della questione relativa al foro competente per territorio nelle cause tra agente-persona fisica e preponente.

In particolare, nel suddetto provvedimento la Suprema Corte ha affermato che:

  • nelle cause relative a rapporti di agenzia con agente-persona fisica il foro competente per territorio coincide con il foro in cui l’agente ha il suo domicilio;
  • per domicilio dell’agente deve intendersi il luogo in cui l’agente ha stabilito il centro dei suoi affari;
  • il criterio sopra indicato per la determinazione del foro territorialmente competente trova applicazione anche nell’ipotesi di causa promossa successivamente alla cessazione del rapporto di agenzia con la precisazione che, in tal caso, deve farsi riferimento all’ultimo domicilio dell’agente in costanza di rapporto di agenzia.

 

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93. All’agente persona fisica con showroom si applica il rito del lavoro

Con sentenza n. 6803 del 14 marzo 2023 la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di un agente del settore moda, che operava come agente persona fisica e aveva uno showroom.

In particolare, nella pronuncia in esame la Suprema Corte ha affermato che nel caso in cui l’agente di commercio sia una persona fisica:

  • per escludere la competenza del giudice del lavoro a decidere una controversia in materia di contratto di agenzia, occorre dimostrare che l’agente abbia organizzato la propria attività con criteri imprenditoriali tali da far concludere che egli si limiti ad organizzare e dirigere i suoi collaboratori, non realizzando una collaborazione meramente ausiliaria dell’attività altrui ma gestendo un’impresa autonoma propria;
  • opera una presunzione che induce a propendere per la conclusione che la prestazione sia resa in maniera continuativa e coordinata, ricorrendo quindi i presupposti del rapporto di cd. parasubordinazione, che appunto radica la competenza del giudice del lavoro a decidere una controversia in materia di contratto di agenzia;
  • deve pienamente escludersi che valgono a provare un’organizzazione a carattere imprenditoriale la mera titolarità di partita Iva e la disponibilità di uno showroom, che costituiscono i requisiti minimi per esercitare l’attività agenziale, che comporta l’emissione di fatture per le provvigioni e necessita di un luogo adeguato a mostrare la merce ai clienti.

In buona sostanza, nella sentenza in commento la Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso di agente persona fisica la disponibilità di uno showroom non costituisce di per sé un indice di organizzazione a carattere imprenditoriale, essendo uno dei requisiti minimi per lo svolgimento dell’attività di agente di commercio. Pertanto, anche all’agente persona fisica con showroom si applica il rito del lavoro in caso di controversie giudiziarie inerenti il rapporto di agenzia con la preponente.

 

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80. Legittimo il licenziamento per violazione delle procedure aziendali

Con ordinanza n. 6827 del 14 marzo 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità del licenziamento per giusta causa di due lavoratori che avevano violato le procedure aziendali esponendo la datrice di lavoro ad un danno economico e a sanzioni amministrative.

Più precisamente tale licenziamento per giusta causa ai sensi e per gli effetti dell’art. 2119 del codice civile ha avuto ad oggetto il caricamento, effettuato dai lavoratori in contrasto con le procedure aziendali, di merce di significativo valore commerciale (lamiere), che non corrispondeva ai regolari documenti di trasporto ed era di maggior valore rispetto a quanto ivi indicato, su un automezzo destinato ad uno specifico cliente della datrice di lavoro e fermato a seguito di ispezione.

La Suprema Corte ha confermato la responsabilità disciplinare di entrambi i lavoratori per aver operato, per la parte di rispettiva competenza, in maniera gravemente difforme rispetto alla prassi e alle regole aziendali, esponendo l’azienda al pericolo di un danno economico grave e al rischio di far circolare merci con irregolari documenti di trasporto, con possibili conseguenze amministrative.

Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ha pertanto ritenuto la sanzione disciplinare espulsiva comminata ad entrambi i lavoratori adeguata e proporzionata alla gravità dei fatti contestati.

Riguardo al concetto di proporzionalità e di giusta causa ex art. 2119 c.c. la Suprema Corte ha infine evidenziato che:

  • la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni ascrivibili alla tipologia delle c.d. clausole generali, che sono di contenuto illimitato e delineano un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama;
  • le specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità davanti alla Suprema Corte come violazione di legge, mentre invece l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e la loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento ex art. 2119 del codice civile si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, che è demandato al Giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) ed è incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici.

 

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92. La questione della legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli A.E.C.

Con la sentenza n. 350 del 3 aprile 2024 il Tribunale di Catanzaro si è pronunciato sulla questione della legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. “A.E.C.”), ribadendo al riguardo i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia europea nella nota sentenza del 23 marzo 2006.

Con la pronuncia C-465/04 del 23 marzo 2006 la Corte di Giustizia europea ha contestato la legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli Accordi Economici Collettivi. Tali accordi, secondo la Corte di Giustizia europea, possono derogare alla disciplina dettata dalla direttiva 86/653/CEE solo se, con un’analisi ex ante, dall’applicazione dell’Accordo Economico Collettivo possa derivare all’agente un trattamento economicamente più favorevole rispetto all’indennità di cui all’art. 1751 codice civile.

Dal momento che non sono previsti degli strumenti di calcolo che permettono di pronosticare l’ammontare dell’indennità di fine rapporto ex art. 1751 codice civile e tale indennità può essere conosciuta e calcolata solamente dopo lo scioglimento del rapporto e posto che, secondo la Corte di Giustizia europea, la valutazione sul fatto che il trattamento degli Accordi Economici Collettivi sia (sempre) più favorevole rispetto alla disciplina civilistica di cui all’art. 1751 codice civile deve essere fatto ex ante, è chiaro che, seguendo tale ragionamento, solamente un sistema di calcolo che garantisca sempre il massimo dell’indennità potrà essere considerato in linea con i principi dettati dalla direttiva europea e con la sentenza della Corte di Giustizia europea del 23 marzo 2006.

In particolare, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza del 23 marzo 2006, il raffronto tra le discipline legale e pattizia dev’essere effettuato con riferimento al caso concreto, pervenendosi alla dichiarazione di nullità della parte del contratto risultata sfavorevole all’agente.

Ciò comporta per questo l’onere di provare nel giudizio di merito con dettagliati calcoli conformi ad entrambi i criteri, legale e contrattuale, la differenza peggiorativa, e per la preponente l’onere di provare il contrario, anche attraverso l’eventuale considerazione complessiva delle clausole e la relativa compensazione di vantaggi e svantaggi, ritenendo altresì che l’art. 1751, comma 6, codice civile si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi dell’art. 1751 codice civile deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione degli Accordi Economici Collettivi.

In tale quadro argomentativo delineato dalla Corte di Giustizia europea, appare comunque in via di consolidamento l’orientamento della Cassazione secondo il quale i criteri di quantificazione dell’indennità di fine rapporto previsti dagli Accordi Economici Collettivi devono considerarsi comunque come un trattamento minimo che deve essere garantito all’agente, salvo la necessità da parte del giudice, una volta riscontrata l’esistenza o meno dei requisiti previsti dall’art. 1751 codice civile, di effettuare una sorta di valutazione caso per caso al fine di valutare l’equità della soluzione derivante dagli Accordi Economici Collettivi con facoltà discrezionale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

 

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79. Legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo a seguito della scelta di sostituire un dipendente con un agente di commercio

Con sentenza n. 1539 del 25 marzo 2024 il Tribunale di Napoli Sezione lavoro si è pronunciato sulla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato dalla datrice di lavoro ad una dipendente per soppressione del posto di lavoro e sostituzione della medesima dipendente con un agente di commercio.

In particolare, nel caso in questione la datrice di lavoro ha ricondotto il suddetto licenziamento alla decisione di “sopprimere la posizione lavorativa di addetto alla rete commerciale per l’Area Campania e Basilicata” ricoperta dalla dipendente.

Nella comunicazione di licenziamento la datrice di lavoro ha comunicato l’impossibilità di procedere ad una ricollocazione della dipendente licenziata in quanto le mansioni precedentemente svolte dalla ricorrente sono state affidate ad un agente di commercio.

In buona sostanza, rispetto al giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro ha rappresentato la necessità del licenziamento a fronte della scelta aziendale di soppressione della posizione lavorativa, per uniformare le modalità di gestione degli affari su tutto il territorio.

Parte resistente ha, infatti, dedotto che la propria rete commerciale è sempre stata costituita esclusivamente da agenti, tranne che nel caso della ricorrente, allegando la volontà di addivenire ad una uniformità di trattamento economico e normativo, al fine anche di facilitare la propria gestione contabile – amministrativa.

La datrice di lavoro ha depositato in atti i contratti di agenzia stipulati nel corso degli anni con i singoli agenti, dando così prova dell’effettiva organizzazione aziendale secondo lo schema riportato in giudizio, confermando che l’unica inquadrata come dipendente era effettivamente la ricorrente.

È risultato in causa altresì pacifico – in quanto riportato da entrambe le parti – che, prima di procedere al licenziamento, la posizione di agente era stata offerta anche alla ricorrente, che l’ha rifiutata.

Pertanto, il Tribunale di Napoli ha ritenuto effettivamente sussistente il giustificato motivo oggettivo posto dalla resistente a fondamento del licenziamento della ricorrente.

A supporto il Tribunale ha ribadito che in tema di giustificato motivo oggettivo la giurisprudenza di legittimità ha da anni affermato il principio secondo cui in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo la verifica del giudice circa la legittimità del recesso si deve concentrare su tre elementi:

  • l’effettività delle ragioni poste dal datore di lavoro a giustificazione della decisione di ridimensionamento e riassetto organizzativo del personale, con la precisazione, tuttavia, che tale indagine deve essere limitata al dato oggettivo e non può estendersi ad un sindacato sull’opportunità della scelta fatta dal datore di lavoro, rispetto a cui l’imprenditore gode dell’autonomia garantita dall’art. 41 Cost.;
  • l’esistenza del nesso di causalità tra l’individuazione del posto da sopprimere rispetto al riassetto organizzativo;
  • l’inesistenza di soluzioni alternative al licenziamento.

Alla luce di tali elementi il licenziamento per giustificato motivo oggettivo a seguito della scelta della datrice di lavoro di sostituire un dipendente con un agente di commercio è stato ritenuto legittimo dal Tribunale di Napoli Sezione Lavoro e la domanda di impugnativa da parte della dipendente è stata quindi rigettata con la sentenza in commento.

 

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