Reti di franchising in settori sottoposti ad autorizzazioni amministrative

Con sentenza del 19 luglio 2018 n. 8151 il TAR Lazio si è pronunciato su una vicenda riguardante una rete di franchising di servizi postali, in cui alcuni franchisee risultavano privi delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dei servizi stessi ed in particolare di fasi del servizio di corriere espresso.

Più precisamente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM) aveva sanzionato il franchisor per avere omesso di controllare l’operato dei franchisee e la titolarità da parte loro delle necessarie autorizzazioni.

Il contratto di franchising, stipulato tra il produttore (franchisor) ed un distributore (franchisee) del bene, è il negozio con cui il produttore concede al distributore il diritto di entrare a far parte della propria catena distributiva, sfruttando il marchio, il Know-how, vale a dire l’insieme delle conoscenze acquisite dal produttore anche dal punto di vista delle tecniche di vendita, una formula o invenzione commerciale nonché lo stesso nome o insegna della ditta.

Il produttore, inoltre, si obbliga ad assicurare il rifornimento delle merci e l’assistenza tecnica e di consulenza per l’avvio dell’attività commerciale, ivi compreso l’addestramento del personale.

Il franchisee, per parte sua, oltre a versare un corrispettivo, si obbliga a mantenere ogni iniziativa commerciale nell’ambito di direttive tracciate dal franchisor.

A livello comunitario, il franchising è disciplinato dal regolamento 4087/1988, proprio al fine di superare il divieto di intese restrittive della libera concorrenza.

Secondo tale regolamento per franchising si intende un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how o brevetto da utilizzare per la rivendita di beni o per la prestazione di servizi ad utilizzatori finali, mentre per accordo di franchising si intende un accordo con il quale un’impresa, l’affiliante, concede ad un’altra, l’affiliato, dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di commercializzare determinati tipi di beni o servizi ed esso comprende almeno gli obblighi connessi all’uso di una denominazione o di un’insegna commerciale comune e di una presentazione uniforme della sede o dei mezzi di trasporto oggetto del contratto, alla comunicazione da parte dell’affiliante all’affiliato di un know-how ed alla prestazione permanente, da parte dell’affiliante all’affiliato, di un’assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata dell’accordo.

Ne consegue che, anche nell’accezione comunitaria, gli accordi in questione possono dirsi caratterizzati dalla concessione al franchisee del diritto di utilizzare il marchio del franchisor in vista della creazione di una rete distributiva unica e con caratteristiche omogenee.

Tuttavia, dall’istruttoria della vicenda decisa dalla sentenza in esame è emerso che nel caso di specie sussisteva un’attività di direzione e coordinamento da parte del franchisor-capogruppo con poteri di influenza tali da consentire alla medesima capogruppo di influire nelle scelte di gestione e/o operative delle imprese franchisee appartenenti alla rete di franchising.

L’AGCOM ha quindi messo in evidenza l’esistenza di una rete unitaria in cui la società capogruppo risulta essere titolare di estesi e capillari poteri di predeterminazione delle caratteristiche dei servizi e di verifica delle prestazioni rese e dei livelli qualitativi.

In proposito il TAR Lazio ha ritenuto che nel caso in esame si è in presenza di una rete caratterizzata dall’esercizio concreto di una direzione unitaria da parte della società capogruppo, con un forte potere di controllo sulla gestione dell’attività da parte degli altri soggetti del gruppo, funzionale ad assicurare i servizi postali forniti.

In buona sostanza, i partecipanti alla rete di franchising fanno parte di un’unica organizzazione economica imprenditoriale all’interno del quale la capogruppo esercita un’attività di direzione e coordinamento di tutte le unità produttive.

Pertanto, sebbene le imprese affiliate siano formalmente soggetti distinti, da un punto di vista economico e sostanziale i medesimi operatori tuttavia svolgono la loro attività nell’ambito di una logica imprenditoriale unitaria.

Inoltre il TAR Lazio ha ritenuto che può dirsi ragionevole la valutazione compiuta dall’Autorità circa la qualificazione sostanziale dei contratti o accordi commerciali stipulati tra la società capogruppo e i diversi operatori postali facenti parte della rete di imprese coordinata dalla ricorrente.

In virtù della ricostruzione dei peculiari rapporti tra il franchisor e i franchisee, l’AGCOM sostiene che nei settori regolati, come quello postale, la società capogruppo abbia l’obbligo di verificare il corretto adempimento della regolamentazione adottata dall’AGCOM.

Da ciò conseguirebbe, nel caso di specie, l’obbligo per la capogruppo di verificare l’effettivo possesso da parte di tutti i componenti del gruppo del titolo abilitativo prescritto dall’AGCOM, in applicazione dei generali principi generali in tema di controllo e di obbligo di vigilanza.

Nei contratti esaminati dall’AGCOM stipulati tra la società capogruppo e gli altri operatori non è stato previsto che per lo svolgimento dell’attività postale oggetto del negozio fosse necessario il conseguimento del titolo abilitativo; né figura alcun riferimento alla necessità del titolo autorizzatorio in relazione all’attività svolta dai “terzi non affiliati”, sebbene fosse stato stabilito che gli affiliati potessero affidare il ritiro e la consegna degli invii ad operatori terzi.

Né risulta che la capogruppo abbia rappresentato ai propri affiliati la necessità di affidare il ritiro e la consegna degli invii ad operatori abilitati, se non dopo l’avvio da parte dell’Autorità delle attività ispettive e del procedimento sanzionatorio.

Trattandosi di aspetti del tutto essenziali per il buon funzionamento della rete, che attengono al rispetto della disciplina che regola lo svolgimento del servizio postale, il TAR Lazio ha ritenuto di dover escludere che la medesima ricorrente possa considerarsi in buona fede ed esente dalle responsabilità di tipo omissivo che l’Autorità le imputa.

Tanto più che attesi gli ampi poteri di controllo nei confronti delle società “affiliate”, la ricorrente avrebbe potuto verificare il possesso dei titoli da parte di tutti i componenti della rete di impresa, o, comunque adottare opportune ed efficaci direttive volte ad assicurare che tutti gli operatori della filiera fossero in possesso delle abilitazioni necessarie ad operare nel mercato dei servizi postali.

Il TAR Lazio, con la sentenza in esame, ha dunque respinto il ricorso ed ha confermato, oltre che il provvedimento dell’AGCOM, anche la diffida della stessa AGCOM nei confronti della ricorrente dal continuare a intrattenere rapporti di affiliazione con società non abilitate all’esercizio di attività postale, ovvero con società che, per l’erogazione dei servizi postali a marchio della ricorrente, si avvalgono di operatori privi di titolo ad esercitare l’attività postale.

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