Categoria: Franchising Pagina 1 di 2

13. Il danno da responsabilità precontrattuale nel contratto di franchising

Con la sentenza n. 975 del 2 aprile 2024 la Corte di Appello di Milano si è pronunciata sul tema del danno da responsabilità precontrattuale nel contratto di franchising.

In particolare, in tale sentenza la Corte territoriale adita ha stabilito che:

  • qualora l’affiliato promuova un’azione diretta ad ottenere il risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale, in quanto il danno patrimoniale lamentato dall’affiliato sarebbe stato causato dalla condotta tenuta dall’affilliante prima della stipulazione del contratto di franchising in violazione di quanto previsto dall’art. 6 legge n. 129 del 6 maggio 2004, il danno risarcibile è costituito dalla perdita patrimoniale subìta dall’affiliato per aver concluso il contratto di franchising facendo affidamento sul fatto che l’affiliante effettivamente attuasse tutte le condotte pubblicizzate nel sito Internet (benché le stesse non fossero state specificamente incluse tra gli obblighi contrattuali dell’affiliante), che non avrebbe, invece, poi attuato, e sul fatto che la previsione di ricavato contenuta nel conto economico previsionale fosse attendibile, mentre si sarebbe rivelata erronea;
  • il danno da responsabilità precontrattuale non può che essere quello che avrebbe potuto essere evitato se l’affiliante si fosse comportato correttamente nella fase precontrattuale, e cioè evitando di fare promesse, poi non mantenute, nella conclusione e nell’esecuzione del contratto di franchising o di fare previsioni economiche rivelatesi errate;
  • il danno risarcibile è costituito dalle perdite derivate all’affiliato per il fatto di aver concluso ed eseguito il contratto di franchising che, qualora l’affiliante avesse fornito le informazioni ritenute corrette, l’affiliato non avrebbe mai stipulato.

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12. Omessa consegna documenti e risoluzione contratto di franchising

Con sentenza n. 3130 del 16 aprile 2021 il Tribunale di Milano si è pronunciato sulle conseguenze della mancata consegna al franchisee (o affiliato) della copia completa del contratto di franchising da sottoscrivere.

In particolare, la sentenza in esame si è occupata di un caso riguardante un franchisor (o affiliante) che ha omesso di consegnare al franchisee (o affiliato) la planimetria, nonostante il contratto prevedesse espressamente tra gli obblighi del franchisor anche quello della consegna della planimetria.

Il Giudice adito ha ritenuto che l’omessa consegna della planimetria integra gli estremi del grave inadempimento con conseguente risoluzione del contratto di franchising, essendosi verificata una violazione dell’art. 4, I comma, della legge n. 129 del 2004, secondo cui almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di franchising il franchisor deve consegnare all’aspirante franchisee copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato dei seguenti allegati, ad eccezione di quelli per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza, che comunque dovranno essere citati nel contratto:

  • principali dati relativi al franchisor, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta dell’aspirante franchisee, copia del suo bilancio degli ultimi tre anni o dalla data di inizio della sua attività, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni;
  • l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o della licenza concessa al franchisor dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi, o la documentazione comprovante l’uso concreto del marchio;
  • una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto del franchising;
  • una lista dei franchisee al momento operanti nel sistema e dei punti vendita diretti del franchisor;
  • l’indicazione della variazione, anno per anno, del numero dei franchisee con relativa ubicazione negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell’attività del franchisor, qualora esso sia avvenuto da meno di tre anni;
  • la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, promossi nei confronti del franchisor che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativamente al sistema di affiliazione commerciale in esame, sia da franchisee sia da terzi privati o da pubbliche autorità, nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy.

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11. Trasferimento del know how nel franchising

Con sentenza del 17 febbraio 2021 il Tribunale di L’Aquila si è occupato del tema del trasferimento del know how nel franchising, pronunciandosi in particolare su un caso in cui tale trasferimento si è concretizzato nella consegna al franchisee di una brochure.

Nella suddetta sentenza il Giudice adito, dopo aver precisato che il trasferimento del know how da parte del franchisor in favore del franchisee costituisce una delle obbligazioni fondamentali a carico del franchisor, ha stabilito che:

  • nel caso di specie non possono ritenersi integrati i presupposti della formazione tecnica e della trasmissione del necessario know how da parte del franchisor, qualora quest’ultimo si limiti a consegnare al franchisee una brochure e attestati di poche ore di formazione;
  • di conseguenza, essendo configurabile un inadempimento da parte del franchisor, è fondata la domanda di risoluzione del contratto di franchising formulata dal franchisee.

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10. Nullo il contratto di franchising senza la sperimentazione della formula commerciale

Nullo il contratto di franchising senza la sperimentazione della formula commerciale

Con la sentenza del 18 luglio 2019 il Tribunale di Bergamo si è pronunciato sul tema della sperimentazione della formula commerciale in un rapporto di franchising.

In particolare nella suddetta pronuncia il Tribunale di Bergamo ha stabilito che la sperimentazione della formula commerciale da parte del franchisor costituisce l’elemento essenziale ed imprescindibile di un contratto di franchising.

Pertanto, in mancanza della sperimentazione della formula commerciale da parte del franchisor prima della conclusione del contratto di franchising con il franchisee, il contratto di franchising è nullo per mancanza di un elemento essenziale.

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9 Responsabilità del franchisor verso il cliente finale della sua catena

Responsabilità del franchisor verso il cliente finale della sua catena

Con la sentenza n. 5625 del 3 maggio 2019 il TAR Lazio si è pronunciato sul tema della responsabilità extracontrattuale dei franchisor nei confronti del cliente finale per fatti commessi dal franchisee.

In particolare nella suddetta pronuncia i giudici amministrativi hanno stabilito che:

  • il contratto di franchising e l’appartenenza del franchisee ad una catena in franchising creano nel cliente finale un affidamento sia sull’identità tra franchisor e franchisee, sia sull’esistenza nel franchisee dei medesimi standard qualitativi e di correttezza commerciale posseduti dal franchisor;
  • da tali affidamenti deriva un obbligo di controllo a carico del franchisor sull’operato del suo franchisee;
  • l’omissione colposa di tale controllo da parte del franchisor comporta una sua responsabilità extracontrattuale nei confronti del cliente finale della catena in franchising per fatti imputabili al franchisee.

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8. Durata minima di un contratto di franchising

Durata minima di un contratto di franchising

La legge 6 maggio 2004 n. 129 (c.d. legge sul franchising) fissa la durata minima di un contratto di franchising solo per i contratti a tempo determinato, senza nulla disporre invece in merito ai contratti a tempo indeterminato.

In particolare l’art. 3, comma 3, della legge 6 maggio 2004 n. 129 prevede che: “Qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni”.

Ciò implica che i contratti di franchising a tempo determinato non potranno essere in assoluto di durata inferiore a tre anni, in quanto il legislatore ha fissato in tale durata minima il tempo sufficiente per il franchisee ad ammortizzare l’investimento economico inziale da lui effettuato.

Tuttavia, sebbene la norma in esame prescriva la durata minima solo per i contratti a tempo determinato, ciò non significa invece che non vi sia una durata minima anche per i contratti a tempo indeterminato, che deve essere ugualmente pari a tre anni in analogia a quanto previsto per i contratti a tempo determinato.

Infatti, nonostante la lacuna del legislatore sul punto, a tale soluzione si perviene in via interpretativa tenendo conto che in caso contrario:

  • verrebbe meno la finalità dell’art. 3, comma 3, della legge sul franchsing che – come detto – mira a garantire al franchisee una durata minima del contratto sufficiente all’ammortamento dell’investimento economico effettuato;
  • verrebbe facilmente eluso l’art. 3, comma 3, della legge sul franchising, stipulando dei contratti a tempo indeterminato e recedendo prima dei tre anni.

In altri termini, anche da un contratto di franchising a tempo indeterminato non è possibile recedere prima di tre anni dalla data di sottoscrizione, a meno che non vi siano i presupposti per l’applicazione dell’art. 1453 codice civile.

In conclusione nei contratti di franchising, a prescindere se siano a tempo determinato o indeterminato, sussiste una sorta di “patto di stabilità” di tre anni, in quanto tale arco temporale rappresenta per il legislatore la durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento economico effettuato dal franchisee.

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7. Differenze tra franchising e licensing

Differenze tra franchising e licensing

Con la sentenza n. 10420 del 15 aprile 2019 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulle differenze tra contratto di franchising e contratto di licensing.

Secondo la Suprema Corte gli elementi che caratterizzano un contratto di licensing sono lo sfruttamento del know-how in un determinato territorio e l’utilizzo di un marchio in un determinato territorio.

In un contratto di franchising, invece, oltre allo sfruttamento del know-how in un determinato territorio ed all’utilizzo di un marchio in un determinato territorio, sono presenti anche altri elementi tra i quali segnatamente:

  • l’inserimento del franchisee in una rete di distribuzione;
  • il pagamento da parte del franchisee, al momento della sottoscrizione del contratto, della c.d. “fee di ingresso”;
  • la formazione;
  • l’obbligo di acquisto di prodotti destinati alla vendita.

Tali elementi caratterizzano il contratto di franchising e lo differenziano dal contratto di licensing.

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6. Patto di non concorrenza post-contrattuale nel contratto di franchising

Patto di non concorrenza post-contrattuale nel contratto di franchising

L’inserimento di un patto di non concorrenza post-contrattuale in un contratto di franchising è di per sé lecito.

Per la validità del patto di non concorrenza post-contrattuale non è necessario il pagamento di un corrispettivo in favore del franchisee.

Secondo la giurisprudenza il patto di non concorrenza post-contrattuale inserito in un contratto di franchising è valido se sussistono i seguenti requisiti:

  • deve essere specificatamente approvato per iscritto da parte del franchisee;
  • deve essere riferito a beni e servizi in concorrenza con quelli oggetto del contratto di franchising;
  • deve essere limitato al negozio in cui l’ex franchisee operava durante il periodo di vigenza del contratto di franchising;
  • deve essere indispensabile per la protezione del know-how trasferito dal franchisor al franchisee;
  • deve essere limitato al periodo di un anno a decorrere dalla cessazione del contratto di franchising.

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5. Le informazioni dovute al franchisee a pena di annullamento del contratto

Le informazioni dovute al franchisee a pena di annullamento del contratto

Con la sentenza del 5 febbraio 2018 il Tribunale di Trani ha stabilito che è annullabile il contratto di franchising se manca la prova dell’avvenuta (ed effettiva) consegna all’aspirante franchisee, almeno trenta giorni prima della sottoscrizione del contratto, della copia completa del contratto da sottoscrivere e degli allegati indicati nell’art. 4 della legge 6 maggio 2004 n. 129 (c.d. legge sul franchising).

In particolare nella suddetta sentenza il Tribunale di Trani ha affermato che:

  • secondo l’articolo 4 della legge sul franchising, almeno trenta giorni prima della sottoscrizione del contratto di franchising, il franchisor deve consegnare all’aspirante franchisee copia completa del contratto da sottoscrivere, insieme ai seguenti allegati: copia del bilancio degli ultimi tre esercizi, dati relativi all’attività (ragione e capitale sociale), elenco dei procedimenti giudiziari e arbitrali promossi nei confronti del franchisor negli ultimi tre anni, notizie relative ai marchi utilizzati dal franchisor (estremi della registrazione, licenza concessa da terzi all’affiliante e altro), documentazione inerente la c.d. formula commerciale, notizie riguardanti il numero di franchisee già facenti parte della rete in franchising, la relativa ubicazione e la loro variazione anno per anno con riferimento agli ultimi tre anni;
  • il franchisor è obbligato a consegnare al potenziale franchisee una copia completa del contratto, per cui secondo la legge sul franchising la copia presentata dal franchisor deve essere identica a quella finale da sottoscrivere e quindi non può essere un fac-simile senza allegati;
  • la sottoscrizione della clausola contrattuale precostituita e prestampata contenuta nel contratto di franchising, recante la conferma dell’avvenuta ricezione da parte del franchisee della documentazione prevista dall’art. 4 della legge sul franchising, non costituisce circostanza idonea a provare l’avvenuta ed effettiva consegna di tale documentazione;
  • è indispensabile l’allegazione e la prova del contenuto e delle modalità di messa a disposizione al franchisee della documentazione prevista nella suddetta norma, a pena di annullamento del contratto di franchising.

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4. Reti di franchising in settori sottoposti ad autorizzazioni amministrative

Reti di franchising in settori sottoposti ad autorizzazioni amministrative

Con sentenza del 19 luglio 2018 n. 8151 il TAR Lazio si è pronunciato su una vicenda riguardante una rete di franchising di servizi postali, in cui alcuni franchisee risultavano privi delle autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dei servizi stessi ed in particolare di fasi del servizio di corriere espresso.

Più precisamente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM) aveva sanzionato il franchisor per avere omesso di controllare l’operato dei franchisee e la titolarità da parte loro delle necessarie autorizzazioni.

Il contratto di franchising, stipulato tra il produttore (franchisor) ed un distributore (franchisee) del bene, è il negozio con cui il produttore concede al distributore il diritto di entrare a far parte della propria catena distributiva, sfruttando il marchio, il Know-how, vale a dire l’insieme delle conoscenze acquisite dal produttore anche dal punto di vista delle tecniche di vendita, una formula o invenzione commerciale nonché lo stesso nome o insegna della ditta.

Il produttore, inoltre, si obbliga ad assicurare il rifornimento delle merci e l’assistenza tecnica e di consulenza per l’avvio dell’attività commerciale, ivi compreso l’addestramento del personale.

Il franchisee, per parte sua, oltre a versare un corrispettivo, si obbliga a mantenere ogni iniziativa commerciale nell’ambito di direttive tracciate dal franchisor.

A livello comunitario, il franchising è disciplinato dal regolamento 4087/1988, proprio al fine di superare il divieto di intese restrittive della libera concorrenza.

Secondo tale regolamento per franchising si intende un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how o brevetto da utilizzare per la rivendita di beni o per la prestazione di servizi ad utilizzatori finali, mentre per accordo di franchising si intende un accordo con il quale un’impresa, l’affiliante, concede ad un’altra, l’affiliato, dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di commercializzare determinati tipi di beni o servizi ed esso comprende almeno gli obblighi connessi all’uso di una denominazione o di un’insegna commerciale comune e di una presentazione uniforme della sede o dei mezzi di trasporto oggetto del contratto, alla comunicazione da parte dell’affiliante all’affiliato di un know-how ed alla prestazione permanente, da parte dell’affiliante all’affiliato, di un’assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata dell’accordo.

Ne consegue che, anche nell’accezione comunitaria, gli accordi in questione possono dirsi caratterizzati dalla concessione al franchisee del diritto di utilizzare il marchio del franchisor in vista della creazione di una rete distributiva unica e con caratteristiche omogenee.

Tuttavia, dall’istruttoria della vicenda decisa dalla sentenza in esame è emerso che nel caso di specie sussisteva un’attività di direzione e coordinamento da parte del franchisor-capogruppo con poteri di influenza tali da consentire alla medesima capogruppo di influire nelle scelte di gestione e/o operative delle imprese franchisee appartenenti alla rete di franchising.

L’AGCOM ha quindi messo in evidenza l’esistenza di una rete unitaria in cui la società capogruppo risulta essere titolare di estesi e capillari poteri di predeterminazione delle caratteristiche dei servizi e di verifica delle prestazioni rese e dei livelli qualitativi.

In proposito il TAR Lazio ha ritenuto che nel caso in esame si è in presenza di una rete caratterizzata dall’esercizio concreto di una direzione unitaria da parte della società capogruppo, con un forte potere di controllo sulla gestione dell’attività da parte degli altri soggetti del gruppo, funzionale ad assicurare i servizi postali forniti.

In buona sostanza, i partecipanti alla rete di franchising fanno parte di un’unica organizzazione economica imprenditoriale all’interno del quale la capogruppo esercita un’attività di direzione e coordinamento di tutte le unità produttive.

Pertanto, sebbene le imprese affiliate siano formalmente soggetti distinti, da un punto di vista economico e sostanziale i medesimi operatori tuttavia svolgono la loro attività nell’ambito di una logica imprenditoriale unitaria.

Inoltre il TAR Lazio ha ritenuto che può dirsi ragionevole la valutazione compiuta dall’Autorità circa la qualificazione sostanziale dei contratti o accordi commerciali stipulati tra la società capogruppo e i diversi operatori postali facenti parte della rete di imprese coordinata dalla ricorrente.

In virtù della ricostruzione dei peculiari rapporti tra il franchisor e i franchisee, l’AGCOM sostiene che nei settori regolati, come quello postale, la società capogruppo abbia l’obbligo di verificare il corretto adempimento della regolamentazione adottata dall’AGCOM.

Da ciò conseguirebbe, nel caso di specie, l’obbligo per la capogruppo di verificare l’effettivo possesso da parte di tutti i componenti del gruppo del titolo abilitativo prescritto dall’AGCOM, in applicazione dei generali principi generali in tema di controllo e di obbligo di vigilanza.

Nei contratti esaminati dall’AGCOM stipulati tra la società capogruppo e gli altri operatori non è stato previsto che per lo svolgimento dell’attività postale oggetto del negozio fosse necessario il conseguimento del titolo abilitativo; né figura alcun riferimento alla necessità del titolo autorizzatorio in relazione all’attività svolta dai “terzi non affiliati”, sebbene fosse stato stabilito che gli affiliati potessero affidare il ritiro e la consegna degli invii ad operatori terzi.

Né risulta che la capogruppo abbia rappresentato ai propri affiliati la necessità di affidare il ritiro e la consegna degli invii ad operatori abilitati, se non dopo l’avvio da parte dell’Autorità delle attività ispettive e del procedimento sanzionatorio.

Trattandosi di aspetti del tutto essenziali per il buon funzionamento della rete, che attengono al rispetto della disciplina che regola lo svolgimento del servizio postale, il TAR Lazio ha ritenuto di dover escludere che la medesima ricorrente possa considerarsi in buona fede ed esente dalle responsabilità di tipo omissivo che l’Autorità le imputa.

Tanto più che attesi gli ampi poteri di controllo nei confronti delle società “affiliate”, la ricorrente avrebbe potuto verificare il possesso dei titoli da parte di tutti i componenti della rete di impresa, o, comunque adottare opportune ed efficaci direttive volte ad assicurare che tutti gli operatori della filiera fossero in possesso delle abilitazioni necessarie ad operare nel mercato dei servizi postali.

Il TAR Lazio, con la sentenza in esame, ha dunque respinto il ricorso ed ha confermato, oltre che il provvedimento dell’AGCOM, anche la diffida della stessa AGCOM nei confronti della ricorrente dal continuare a intrattenere rapporti di affiliazione con società non abilitate all’esercizio di attività postale, ovvero con società che, per l’erogazione dei servizi postali a marchio della ricorrente, si avvalgono di operatori privi di titolo ad esercitare l’attività postale.

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