Naspi e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro

Naspi è l’acronimo di Nuova assicurazione sociale per l’impiego ed è una misura sociale, introdotta in Italia nel 2015, che viene erogata dall’Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) e serve ad assicurare il lavoratore dalla perdita involontaria del lavoro.

La Naspi spetta ai dipendenti che hanno versato i contributi all’Inps, per cui non viene percepita dai lavoratori che sono iscritti in altre gestioni previdenziali.

Il tipo di contratto di lavoro che dà diritto alla NASPI è solo il contratto di lavoro subordinato. Sono inclusi:

  • i lavoratori assunti con contratto di apprendistato;
  • i soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le stesse cooperative;
  • il personale artistico assunto con rapporto di lavoro subordinato;
  • i lavoratori dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni.

Al contrario, sono esclusi:

  • i dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni;
  • gli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato;
  • i lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale;
  • i lavoratori che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;
  • i titolari di assegno ordinario di invalidità, a meno che non optino per la Naspi.  

In buona sostanza, i presupposti per l’applicazione della NASPI sono:

  • l’assunzione con uno dei contratti di lavoro sopra indicati;
  • la disoccupazione involontaria e cioè a seguito di licenziamento del datore di lavoro;
  • la dichiarazione in forma telematica di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro.

In generale la Naspi non spetta in caso di dimissioni del lavoratore o di risoluzione consensuale del dipendente, trattandosi di cessazioni del rapporto di lavoro volute, in tutto o in parte, dal dipendente stesso.

A tale regola ci sono però delle eccezioni e cioè dei casi in cui il dipendente può ottenere la Naspi, pur avendo preso l’iniziativa di cessare il rapporto di lavoro, ma solo in circostanze specifiche:

  • dimissioni per giusta causa;
  • dimissioni della lavoratrice madre, intervenute nel periodo della maternità tutelato per legge;
  • risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro prevista in caso di licenziamento per motivi economici e cioè per giustificato motivo oggettivo, in aziende con più di quindici dipendenti e con riferimento ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015;
  • risoluzione consensuale determinata dal rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso un’altra sede della stessa azienda, distante più di 50 chilometri dalla residenza del medesimo lavoratore e/o raggiungibile con i mezzi pubblici mediamente in 80 minuti o più.

Per ottenere la Naspi in caso di dimissioni per giusta causa, il dipendente deve in teoria attestare all’Inps la sua intenzione di far valere in giudizio i propri diritti. Se il giudice dovesse in ipotesi ritenere che non sussista la giusta causa delle dimissioni rassegnate, l’Inps potrebbe procedere al recupero delle somme erogate al lavoratore a titolo di Naspi.

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