Tag: lavoro Pagina 3 di 4

49. Le FAQ del Governo sul controllo del green pass

Qui di seguito le risposte del Governo alle domande più frequenti riguardo al controllo dei green pass.

1) Come devono avvenire i controlli sul green pass dei lavoratori nel settore pubblico e in quello privato?

Ogni amministrazione/azienda è autonoma nell’organizzare i controlli, nel rispetto delle normative sulla privacy e delle linee guida emanate con il Dpcm 12 ottobre 2021. I datori di lavoro definiscono le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, anche a campione, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, e individuano con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento delle violazioni degli obblighi di cui ai commi 1 e 2. È opportuno utilizzare modalità di accertamento che non determinino ritardi o code all’ingresso. Nelle pubbliche amministrazioni, laddove l’accertamento non avvenga al momento dell’accesso al luogo di lavoro, esso dovrà avvenire su base giornaliera, prioritariamente nella fascia antimeridiana della giornata lavorativa, potrà essere generalizzato o a campione, purché in misura non inferiore al 20% del personale presente in servizio e con un criterio di rotazione che assicuri, nel tempo, il controllo su tutto il personale dipendente. Oltre all’app “VerificaC19”, saranno rese disponibili per i datori di lavoro, pubblici e privati, specifiche funzionalità che consentono una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni. Tali verifiche potranno avvenire attraverso:

  • l’integrazione del sistema di lettura e verifica del QR code del certificato verde nei sistemi di controllo agli accessi fisici, inclusi quelli di rilevazione delle presenze, o della temperatura;
  • per gli enti pubblici aderenti alla Piattaforma NoiPA, realizzata dal Ministero dell’economia e delle finanze, l’interazione asincrona tra la stessa e la Piattaforma nazionale-DGC;
  • per i datori di lavoro con più di 50 dipendenti, sia privati che pubblici non aderenti a NoiPA, l’interazione asincrona tra il Portale istituzionale INPS e la Piattaforma nazionale-DGC; per le amministrazioni pubbliche con almeno 1.000 dipendenti, anche con uffici di servizio dislocati in più sedi fisiche, una interoperabilità applicativa, in modalità asincrona, tra i sistemi informativi di gestione del personale e la Piattaforma nazionale-DGC.

2) Come è possibile, per i soggetti che non possono vaccinarsi per comprovati motivi di salute, dimostrare di poter accedere al luogo di lavoro?

I soggetti che, per comprovati motivi di salute, non possono effettuare il vaccino contro il COVID-19, dovranno esibire un certificato contenente l’apposito “QR code” in corso di predisposizione. Nelle more del rilascio del relativo applicativo, il personale esente – previa trasmissione della relativa documentazione sanitaria al medico competente dell’amministrazione di appartenenza – non potrà essere soggetto ad alcun controllo.

3) I soggetti che hanno diritto al green pass ma ne attendono il rilascio o l’aggiornamento come possono dimostrare di poter accedere al luogo di lavoro?

Per i soggetti in attesa di rilascio di valida certificazione verde e che ne abbiano diritto, nelle more del rilascio e dell’eventuale aggiornamento, sarà possibile avvalersi dei documenti rilasciati, in formato cartaceo o digitale, dalle strutture sanitarie pubbliche e private, dalle farmacie, dai laboratori di analisi, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta.

4) Quali provvedimenti deve prendere il datore di lavoro che accerta che il dipendente abbia effettuato l’accesso alla sede di servizio pur essendo sprovvisto di green pass? Quali sanzioni rischia il lavoratore?

Il lavoratore, pubblico o privato, è considerato assente ingiustificato, senza diritto allo stipendio, fino alla presentazione del green pass; nel caso di aziende con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta.
Nel caso in cui il lavoratore acceda al luogo di lavoro senza green pass, il datore di lavoro deve poi effettuare una segnalazione alla Prefettura ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa. Infatti il lavoratore che accede al luogo di lavoro senza green pass è soggetto, con provvedimento del Prefetto, a una sanzione amministrativa che va da 600 a 1.500 euro. Vengono poi applicate anche le sanzioni disciplinari eventualmente previste dai contratti collettivi di settore. Oltre alla retribuzione, non sarà più versata al lavoratore senza green pass qualsiasi altra componente della retribuzione, anche di natura previdenziale, avente carattere fisso e continuativo, accessorio o indennitario, previsto per la giornata di lavoro non prestata. I giorni di assenza ingiustificata non concorrono alla maturazione delle ferie e comportano la perdita della relativa anzianità di servizio.

5) Da chi devono essere effettuati i controlli sul green pass dei lavoratori che arrivano da società di somministrazione? Dalla società di somministrazione o dall’azienda in cui vengono distaccati?
I controlli devono essere effettuati da entrambe, sia dalla società di somministrazione, sia dall’azienda presso la quale il lavoratore svolge la propria prestazione.

6) I protocolli e le linee guida di settore contro il COVID-19, che prevedono regole sulla sanificazione delle sedi aziendali, sull’uso delle mascherine e sui distanziamenti, possono essere superati attraverso l’utilizzo del green pass?

No, l’uso del green pass è una misura ulteriore che non può far ritenere superati i protocolli e le linee guida di settore.

7) I clienti devono verificare il green pass dei tassisti o degli autisti di vetture a noleggio con conducente?

I clienti non sono tenuti a verificare il green pass dei tassisti o dei conducenti di NCC.

8) I parrucchieri, gli estetisti e gli altri operatori del settore dei servizi alla persona devono controllare il green pass dei propri clienti? E i clienti devono controllare il green pass di tali operatori?

Il titolare dell’attività deve controllare il pass dei propri eventuali dipendenti ma non deve richiederlo ai clienti, né questi ultimi sono tenuti a chiederlo a chi svolge l’attività lavorativa in questione.

9) È necessario verificare il green pass dei lavoratori autonomi che prestano i propri servizi a un’azienda e che per questo devono accedere alle sedi della stessa?

Sì, tutti coloro che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nelle sedi dell’azienda sono soggetti al controllo.

10) È possibile per il datore di lavoro verificare il possesso del green pass con anticipo rispetto al momento previsto per l’accesso in sede da parte del lavoratore?
Sì. Nei casi di specifiche esigenze organizzative, i lavoratori sono tenuti a rendere le comunicazioni relative al mancato possesso del green pass con il preavviso necessario al datore di lavoro per soddisfare tali esigenze.

11) Quali sanzioni rischia il datore di lavoro che non effettua le verifiche previste per legge?
Il datore di lavoro che non controlla il rispetto delle regole sul green pass è punito con una sanzione amministrativa che va da 400 a 1.000 euro.

© FTA avvocati. All Rights Reserved

48. La sospensione dal servizio in caso di rifiuto a vaccinarsi contro il Covid-19

Con ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021 il Tribunale di Modena ha affrontato la questione dibattuta del rifiuto a vaccinarsi contro il Covid-19 da parte dei lavoratori, stabilendo che il datore di lavoro è legittimata a sospenderli dal servizio con conseguente blocco del pagamento dello stipendio.

Nella suddetta ordinanza viene sottolineato che il datore di lavoro si pone “come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica di lavoratori”.

Il Tribunale di Modena ha incluso il coronavirus tra gli agenti biologici per i quali è doverosa la protezione anche negli ambienti di lavoro, in particolare in quello sanitario, anche prima, come nel caso di specie, dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 44 del 2021, che ha fissato l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario.

Con l’ordinanza in commento il Giudice ha ritenuto pienamente legittimo il provvedimento di sospensione senza retribuzione adottato dal datore di lavoro operante nella RSA, impugnato con ricorso delle due addette no-vax con mansioni sanitarie.

In conclusione, va sottolineato che il Giudice non ha affermato che il datore di lavoro può obbligare i lavoratori no-vax a vaccinarsi; invece, ha stabilito che, in base alle norme di legge vigenti, al datore di lavoro è consentito di procedere con la sospensione del dipendente che si oppone alla somministrazione del vaccino.

© FTA avvocati. All Rights Reserved

47. Il datore di lavoro può chiedere l’esibizione del Green Pass?

Dall’1 luglio 2021 è entrato in vigore nell’Unione Europea il Regolamento europeo n. 2021/953 relativo al c.d. “Green Pass europeo”.

L’art. 13 del DPCM del 17 giugno 2021 stabilisce che la verifica del c.d. “Green Pass” è consentita ai seguenti soggetti:

  • i pubblici ufficiali nell’esercizio delle relative funzioni;
  • il personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o nei pubblici esercizi;
  • i titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali è prescritto il possesso del Green Pass;
  • il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività per partecipare ai quali è prescritto il possesso del Green Pass;
  • i vettori aerei, marittimi e terrestri;
  • i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio assistenziali per l’accesso alle quali, in qualità di visitatori, è prescritto il possesso del Green Pass.

Pertanto, il datore di lavoro, non essendo menzionato tra i soggetti legittimati, non può chiedere ai suoi dipendenti l’esibizione del Green Pass, anche considerando che la finalità del Regolamento europeo n. 2021/953 è quella di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione.

© FTA avvocati. All Rights Reserved

46. I fatti tipizzati nel CCNL non esauriscono le ipotesi di licenziamento

Con ordinanza n. 14777 del 27 maggio 2021 la Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alla Sezione lavoro la decisione in merito alla tutela applicabile nel caso di un licenziamento disciplinare ritenuto sproporzionato rispetto a una condotta che non risultava specificatamente elencata dal CCNL applicato tra quelle punibili con sanzione conservativa.

Infatti la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione ha criticato alla luce dei principi di uguaglianza e ragionevolezza la tesi dominante espressa negli ultimi anni secondo cui il licenziamento disciplinare illegittimo è soggetto a tutela reintegratoria (fatta salva l’ipotesi dell’insussistenza del fatto) solo nel caso in cui il contratto collettivo tipizza la condotta inadempiente e la riconduce ad una sanzione conservativa.

In particolare, l’art. 18, 4° e 5° comma, dello Statuto dei Lavoratori (nella versione modificata dalla c.d. legge Fornero) prevede, in caso di licenziamento disciplinare ingiustificato, una duplice possibile tutela:

  • reintegratoria e indennitaria, se il giudice accerta l’insussistenza del fatto contestato o che questo rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare;
  • meramente indennitaria, negli altri casi.

Il più recente orientamento della Corte riduce l’ambito della previsione delle “condotte punibili con una sanzione conservativa” alle sole ipotesi in cui il contratto collettivo o il codice disciplinare del datore di lavoro abbiano tipizzato i casi punibili con la sanzione conservativa, delineandone tutti gli elementi costitutivi.

La Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione (che è quella a cui è demandata la pronuncia su questioni sulle quali la Corte si è ormai pronunciata in maniera uniforme, ma che può dissentirne, rimettendo la questione alla Sezione lavoro), investita del giudizio che verte sulle conseguenze di un licenziamento per giusta causa, ha rilevato l’irrazionalità del suddetto recente orientamento, in ragione del fatto che i contratti collettivi solo raramente “tipicizzano” le ipotesi disciplinari, utilizzando invece, quanto meno come norma di chiusura, formule generiche (inadempimento lieve e grave, negligenza lieve etc.).

Inoltre, secondo la suddetta Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, i contratti collettivi non decidono se tipizzare o usare formule generiche in funzione della disciplina di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Del resto ciò sarebbe assurdo, quando a redigere il codice disciplinare sia unilateralmente il datore di lavoro.

Infine, secondo la Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, appare discriminatorio trattare diversamente ipotesi tipizzate e altre che hanno, nell’intenzione dei contraenti collettivi o del datore di lavoro, identica rilevanza disciplinare, ma che sono espresse con formule riassuntive e/o generiche.

In conclusione, la Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alla normale udienza di trattazione in contraddittorio presso la Sezione lavoro la rivalutazione della questione in considerazione dei rilievi sopra esposti.

© FTA avvocati. All Rights Reserved

44. Videosorveglianza dei lavoratori e tutela del patrimonio aziendale

Con sentenza n. 3255 del 27 gennaio 2021 la Cassazione Penale ha escluso la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “Statuto dei lavoratori”) in materia di videosorveglianza, quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale.

Nel caso di specie erano stati installati impianti video a seguito del verificarsi di mancanze di merce nel magazzino ed erano rivolti solo verso la cassa e le scaffalature, per cui – sebbene posti sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro – il loro utilizzo non implicava un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o comunque restava necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.

Secondo la sentenza in commento le riprese effettuate con la videosorveglianza possono, quindi, essere legittimamente utilizzate nel processo penale eventualmente instauratosi a carico dell’autore delle condotte illecite ai danni dell’azienda.

In buona sostanza, secondo la Suprema Corte, la preventiva autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro o l’accordo con le rappresentanze sindacali sono necessari solo quando dall’attività di videosorveglianza derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti e della loro prestazione lavorativa, mentre quando le riprese interne siano finalizzate alla raccolta di prove dell’illecita condotta di taluno dei dipendenti ai danni dell’impresa non sono richieste le autorizzazioni previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

 

© FTA avvocati. All Rights Reserved

43. Privacy e obbligo di vaccinazione contro il COVID-19

Il datore di lavoro può chiedere ai propri dipendenti di vaccinarsi contro il COVID per accedere ai luoghi di lavoro e per svolgere determinate mansioni, ad esempio in ambito sanitario? Può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati? O chiedere conferma della vaccinazione direttamente ai lavoratori?

A queste domande ha risposto il Garante per la privacy il 17 febbraio 2021 con alcune FAQ pubblicate sul proprio sito internet.

L’intento dell’Autorità è stato quello di fornire indicazioni utili ad imprese, enti e amministrazioni pubbliche affinché possano applicare correttamente la disciplina sulla protezione dei dati personali nel contesto emergenziale, anche al fine di prevenire possibili trattamenti illeciti di dati personali e di evitare inutili costi di gestione o possibili effetti discriminatori.

In particolare, nelle suddette FAQ il Garante per la privacy ha chiarito che:

  • il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali, posto che il consenso del dipendente non può costituire, in questi casi, una condizione di liceità del trattamento dei dati, essendo ciò non consentito né dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro né dalle disposizioni sull’emergenza sanitaria;
  • il datore di lavoro può, invece, acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica redatti dal medico competente;
  • nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario, si applicano le disposizioni vigenti sulle “misure speciali di protezione” previste per tali ambienti lavorativi (art. 279 del D.lgs. n. 81/2008 – Testo unico sulla sicurezza e salute sul  lavoro). Anche in questi casi – in attesa di un intervento del legislatore nazionale che eventualmente imponga la vaccinazione anti COVID-19 quale condizione per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni – solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario e il contesto lavorativo, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti. Il datore di lavoro deve quindi limitarsi ad attuare, sul piano organizzativo, le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità.

 

© FTA avvocati. All Rights Reserved

42. Nullo il licenziamento in violazione del divieto di licenziamento per COVID-19

Con sentenza n. 112 dell’11 novembre 2020 il Tribunale di Mantova ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo di una dipendente assunta con contratto di apprendistato, essendo stato disposto in violazione del divieto di licenziamento per motivi economici di cui all’art. 46 del decreto-legge n. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia), convertito nella legge n. 27/2020 e successive integrazioni.

La lavoratrice, commessa presso un negozio di abbigliamento, ha impugnato giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che le è stato comunicato il 9 giugno 2020 per chiusura del punto vendita presso il quale era adibita, deducendo che la datrice di lavoro non ha cessato l’attività aziendale perché è ancora attivo il negozio dove lavorava la dipendente e dove ancora lavorano delle colleghe della stessa lavoratrice, oltre ad essere ancora attivi altri punti vendita della medesima società in altre città.

La società ha ritenuto di non costituirsi in giudizio, con la conseguenza che, a prescindere dalla legislazione di emergenza, il Tribunale di Mantova ha ritenuto che la lavoratrice abbia diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro poiché la datrice di lavoro non ha provato di aver cessato l’attività come espressamente enunciato nella lettera di licenziamento.

Riguardo alla normativa emergenziale il Tribunale ha altresì affermato che dal carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti consegue la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con tale regola, con conseguente sanzione ripristinatoria del rapporto di lavoro ex art. 18, I comma, legge n. 300/1970 ed ex art. 2 decreto legislativo n. 23/2015, derivando la nullità dall’art. 1418 del codice civile.

In particolare, il Tribunale di Mantova ha evidenziato che la giurisprudenza prevalente ritiene applicabile al contratto di apprendistato la disciplina del licenziamento valevole per i contratti a tempo indeterminato, stante l’assimilabilità del rapporto di apprendistato all’ordinario rapporto di lavoro. Inoltre, il Giudice ha rilevato che il divieto dei licenziamenti per motivi economici è una tutela temporanea dei rapporti di lavoro per salvaguardare la stabilità del sistema economico e cioè una misura politico-economica del mercato del lavoro collegata ad esigenze di ordine pubblico.

Secondo la sentenza in commento, ne deriva che laddove sia violato il blocco dei licenziamenti, che è una norma con carattere imperativo, l’unica conseguenza possibile è la declaratoria di nullità del recesso da parte del datore di lavoro con il connesso diritto del dipendente ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro.

Sulla base delle argomentazioni sopra esposte sinteticamente, il Tribunale di Mantova ha accolto il ricorso della lavoratrice, dichiarando nullo il licenziamento a lei intimato il 9/6/2020 e disponendo la reintegra della stessa dipendente, oltre al pagamento in suo favore della retribuzione dalla data di licenziamento fino alla riammissione in servizio.

 

© FTA avvocati. All Rights Reserved

41. Quando un consulente diventa un dipendente?

Con l’ordinanza n. 697 del 18 gennaio 2021 la Corte di Cassazione si è pronunciata sugli elementi per cui la collaborazione con un consulente possa configurare un rapporto di lavoro subordinato, affermando che di per sé è irrilevante l’assegnazione di un ufficio personale al consulente.

 

La Corte di Cassazione ha motivato tale ordinanza sulla base delle argomentazioni qui di seguito esposte.

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, la prolungata esecuzione ed il nomen iuris, pur essendo elementi necessari di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.

Non vi è alcun contrasto con i principi secondo cui la natura subordinata può ravvisarsi anche in presenza di prestazioni discontinue e non esclusive, posto che nel caso concreto vi è stata una valutazione di elementi di fatto che, nello specifico, hanno avvalorato il contesto probatorio ritenuto insufficiente ai fini di dimostrare il presupposto della eterodirezione, che non può concretarsi nell’assegnazione di un ufficio personale al consulente.

Nel caso di specie la eterodirezione è stata ritenuta assente nell’articolazione effettiva e concreta del rapporto lavorativo instaurato tra le parti, che è stato invece considerato una collaborazione paritaria senza vincolo di subordinazione.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che l’assenza di richieste di permessi o di ferie da parte del consulente e la mancata assegnazione di un badge da parte dell’azienda al consulente stesso sono elementi che escludono nella fattispecie la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato.

© FTA avvocati. All Rights Reserved

40. Legge di Bilancio 2021 e Decreto Milleproroghe: le misure riguardanti il lavoro

Il 30 dicembre 2020 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 178 e cioè la c.d. “Legge di Bilancio 2021”, che contiene la proroga per l’anno 2021 di alcune misure emergenziali in materia di lavoro che hanno caratterizzato il 2020. Il 31 dicembre 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-Legge n. 183 e cioè il c.d. “Decreto Milleproroghe”, che contiene una specifica disposizione relativa alle misure che dipendono dalla proroga dello stato di emergenza.

Di seguito si illustrano le seguenti misure riguardanti il lavoro contenute nella “Legge di Bilancio 2021” e nel “Decreto Milleproroghe”: divieto di licenziamento, smart working, esoneri contributivi, rapporti a tempo determinato e somministrazione, bonus fiscale c.d. “rientro dei cervelli” e politiche attive.

Divieto di licenziamento

La Legge di Bilancio 2021 proroga ulteriormente il divieto di licenziamento fino al 31 marzo 2021, termine che rimane fisso e quindi applicabile a prescindere dall’utilizzo della cassa integrazione o dell’esonero contributivo.

Di conseguenza, fino a fine marzo 2021 continuerà ad essere vietato iniziare procedure di licenziamento collettivo e recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo “ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966”.

Vengono altresì confermate le eccezioni al divieto già oggi in vigore e cioè: (i) i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività d’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività; (ii) i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa ovvero ne sia disposta la cessazione; (iii) i licenziamenti intimati nei confronti di lavoratori che abbiano aderito ad accordi collettivi aziendali di incentivazione alla risoluzione dei rapporti di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

È previsto l’accesso alla NASpI anche qualora tali accordi prevedano la risoluzione consensuale del rapporto.

Resto inteso che i licenziamenti individuali per giusta causa o giustificato motivo soggettivo rimangono estranei all’ambito di applicazione del divieto.

Smart working

Il Decreto Milleproroghe ha confermato l’estensione dello smart working semplificato fino alla cessazione dello stato di emergenza, ma comunque non oltre il 31 marzo 2021.

Non è stato invece reintrodotto il diritto, di cui si era discusso nella definizione del testo del Decreto Milleproroghe, a favore dei genitori di figli con meno di 14 anni di utilizzare lo smart working fino al 31 marzo 2021.

Esoneri contributivi

La Legge di Bilancio 2021 conferma diversi esoneri contributivi previsti in caso di assunzione di determinate categorie di lavoratori e più precisamente: (i) in favore dei datori che assumono giovani lavoratori subordinati di età inferiore ai 36 anni a tempo indeterminato anche in caso di conversione da tempo determinato; (ii) in favore dei datori che assumono donne disoccupate da almeno 6 mesi residenti in Calabria, Puglia, Sicilia, Campania e Basilicata o che svolgano la loro attività in un settore con una disparità occupazionale di genere superiore al 25 per cento (settori previsti, per il 2021, dal Decreto Interministeriale n. 234 del 16 ottobre 2020) o per le donne in generale disoccupate da almeno 24 mesi, nel biennio 2021-2022; (iii) in favore di tutti i lavoratori, sia quelli già assunti che di nuova assunzione, impiegati in imprese che operano nel Mezzogiorno per il periodo 2021-2029 e già previsto dal Decreto Agosto, c.d. Decontribuzione Sud.

Tutte le agevolazioni saranno concesse previe autorizzazioni della Commissione Europea.

Rapporti a tempo determinato e somministrazione

Viene altresì prorogata la possibilità di rinnovare o prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere, anche in regime di somministrazione, pur in assenza delle causali previste dal Decreto Dignità.

Tale misura è stata prorogata sino al 31 marzo 2021 alle stesse condizioni già in vigore, con la conseguenza che i datori di lavoro potranno ricorrere al rinnovo o alla proroga a-causale per una sola volta e per un periodo massimo di 12 mesi, fermo restando la durata massima complessiva di 24 mesi. Trattandosi della proroga di una misura già in essere, i datori di lavoro che hanno già usufruito della proroga a-causale in passato non potranno più beneficiarne.

Bonus fiscale c.d. “rientro dei cervelli”

La Legge di Bilancio 2021 ha esteso il bonus fiscale c.d. “rientro dei cervelli”, che determina una rilevante detassazione, ai lavoratori che hanno trasferito la residenza in Italia prima del 2020 e che al 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime di favore ordinario per i lavoratori impatriati.

È necessaria un’opzione del lavoratore interessato e il pagamento di un importo una tantum.

Le modalità di opzione saranno definite da un successivo provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.

Contratto di espansione

Al fine di agevolare il ricambio generazionale, incentivare le assunzioni e l’acquisizione di nuove competenze, sono stati resi meno stringenti i requisiti per ricorrere al contratto di espansione ai sensi dell’art. 41 D. Lgs. 148/2015 (art. 1, comma 349).

Nel 2021 il contratto di espansione potrà essere utilizzato dalle aziende con oltre 500 dipendenti (e non solo da quelle con oltre 1000 dipendenti), in caso di processi di riorganizzazione e ristrutturazione.

Con contratto di espansione si potrà quindi (i) accompagnare alla pensione i lavoratori anziani; (ii) avviare un processo di riqualificazione dei dipendenti già assunti con riduzione dell’orario di lavoro, sospendendo i lavoratori interessati in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria; (iii) incentivare l’assunzione di nuovi lavoratori a tempo indeterminato.

La Legge di Bilancio 2021 ha poi previsto che le disposizioni relative ai lavoratori più anziani si possano applicare anche alle imprese con oltre 250 dipendenti.

Lo scopo è incentivare il pensionamento dei lavoratori che raggiungeranno i requisiti per la pensione in un periodo massimo di 5 anni (60 mesi), con pagamento da parte dell’impresa di un’indennità mensile, in parte finanziata erogando all’impresa l’importo della NASpI che sarebbe spettata al lavoratore in caso di licenziamento per un periodo massimo di 24 mesi.

Politiche attive

La Legge di Bilancio 2021 ha creato il programma denominato “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” (c.d. GOL), con una dotazione di 233 milioni di euro nell’anno 2021.

IL GOL prevede l’erogazione di servizi specifici di politica attiva del lavoro (quale supporto nella ricerca attiva di una posizione lavorativa, formazione, ecc.), le cui caratteristiche saranno individuate da apposito decreto interministeriale.

Nelle more dell’adozione di tale decreto viene previsto che l’assegno di ricollocazione, che in precedenza era applicabile solo ai beneficiari del reddito di cittadinanza, venga esteso ad altre categorie.

© FTA avvocati. All Rights Reserved

39. Le buste paga costituiscono valide prove se firmate o timbrate

Con l’ordinanza n. 74 del 7 gennaio 2021 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dell’efficacia probatoria delle buste paga.

In particolare, con la suddetta ordinanza la Suprema Corte ha ribadito il seguente principio di diritto: le buste paga rilasciate dal datore di lavoro costituiscono valide prove del credito retributivo del lavoratore se munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro dello stesso datore di lavoro.

© FTA avvocati. All Rights Reserved

Pagina 3 di 4

2024 © FTA avvocati. All Rights Reserved | www.ftavvocati.com & Avv. Ivan Fasciani P.I. 04042220964 – Avv. Alberto Trapani P.I. 07146360727