Categoria: Franchising

3. Business plan e annullamento del contratto di franchising

Business plan e annullamento del contratto di franchising

Con la sentenza del 13 settembre 2017 il Tribunale di Treviso si è pronunciato sul tema dell’annullamento del contratto di franchising.

In particolare il giudice trevigiano si è occupato di un caso in cui il franchisee (o affiliato) ha richiesto l’annullamento del contratto di franchising, asserendo che il franchisor (o affiliante), mediante il business plan, gli avrebbe fornito false informazioni sui ricavi dell’attività commerciale.

Per meglio comprendere la sentenza in commento è opportuno aver presente il testo dell’art. 8 della legge 6 maggio 2004 n. 129 (la c.d. legge sul franchising), secondo cui: “Se una parte ha fornito false informazioni, l’altra parte può chiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’articolo 1439 del codice civile nonché il risarcimento del danno, se dovuto.”.

Con la sentenza del 13 settembre 2017 il Tribunale di Treviso ha stabilito che:

  • il business plan, per il contenuto valutativo che lo caratterizza, non è qualificabile come un fatto storico di cui è possibile affermare la falsità, trattandosi di una mera previsione circa l’andamento di un’attività commerciale;
  • non è possibile calcolare in termini di certezza i risultati di un’attività economica, poiché le leggi del mercato risentono di fattori imponderabili a priori, tali per cui il risultato non può che essere aleatorio;
  • il mancato raggiungimento dei risultati economici indicati nel business plan non può in alcun modo tradursi in un inadempimento del franchisor, posto che su quest’ultimo non grava alcuna obbligazione di risultato.

In buona sostanza, per il Tribunale di Treviso non implica l’annullamento del contratto di franchising la circostanza che il franchisee non abbia ottenuto i ricavi indicati nel business plan, in quanto tale circostanza non integra gli estremi delle false informazioni di cui all’art. 8 della legge sul franchising.

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2. La corretta distribuzione territoriale dei negozi in franchising

La corretta distribuzione territoriale dei negozi in franchising

Con la sentenza n. 2648 del 2017 il Tribunale di Milano si è pronunciato su un contratto di franchising, in cui non si riconosceva al franchisee (o affiliato) alcuna esclusiva di zona, per cui il franchisor (o affiliante) si riteneva libero di aprire punti vendita con altri franchisee dove gli pareva, anche in prossimità di punti vendita di precedenti franchisee.

Il Tribunale di Milano, dopo aver precisato che la legge 6 maggio 2004 n. 129 relativa al franchising non considera l’esclusiva di zona come elemento essenziale del contratto, ha affermato che, qualora nel contratto di franchising non sia prevista l’esclusiva di zona a favore del franchisee, il franchisor è comunque tenuto a creare la propria rete di negozi in franchising in modo razionale e senza sovrapposizioni tra franchisee, in applicazione del principio generale di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Inoltre nella sentenza in esame il Tribunale di Milano ha stabilito che:

  • anche quando la zona non viene concessa in esclusiva al franchisee, costituisce corretta prassi commerciale quella di studiare la distribuzione territoriale dei punti vendita, in modo da evitare che ci siano punti vendita troppo vicini che si facciano concorrenza tra loro e che si lascino scoperte zone in cui possa esservi domanda delle merci offerte;
  • la scorretta distribuzione territoriale dei negozi in franchising rappresenta una violazione da parte del franchisor del principio generale di buona fede nell’esecuzione del contratto e determina danni ai franchisee, i quali sono costretti a subire le conseguenze pregiudizievoli dell’errata organizzazione complessiva della rete distributiva da parte del franchisor.

Da un punto di vista pratico la sentenza n. 2648 del 2017 del Tribunale di Milano è interessante, in quanto di fatto vieta, all’interno di una stessa rete di negozi in franchising, l’apertura di nuovi punti vendita in prossimità di punti vendita preesistenti di altri franchisee, anche quando nel contratto di franchising manca l’esclusiva di zona in favore dei franchisee.

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1. Cessazione del contratto di franchising, utilizzo del marchio e patto di non concorrenza post-contrattuale

Cessazione del contratto di franchising, utilizzo del marchio e patto di non concorrenza post-contrattuale

Con l’ordinanza del 27 gennaio 2017 il Tribunale di Milano è tornato a pronunciarsi in materia di contratto di franchising ed in particolare sull’utilizzo del marchio dopo la cessazione di tale contratto e sulla validità del patto di non concorrenza post-contrattuale inserito in un contratto di franchising.

Prima di illustrare la decisione assunta dal Tribunale di Milano è opportuno riassumere i fatti di causa.

La società Alfa aveva promosso un procedimento cautelare ante causam nei confronti della società Beta, chiedendo al Tribunale di: (i) inibire alla società Beta l’utilizzo del proprio marchio, data la risoluzione del contratto di franchising con essa stipulato il 7 gennaio 2016; (ii) irrogare alla società Beta una sanzione a titolo di penale, a causa della prolungata utilizzazione del marchio, da parte della stessa società anche dopo la cessazione del contratto di franchising; (iii) inibire la prosecuzione dell’attività della società Beta, in applicazione del patto di non concorrenza post-contrattuale che le parti avevano inserito nell’originario contratto di franchising.

Si costituiva in giudizio la società Beta opponendosi a tutte le domande formulate dalla società Alfa, allegando le prove degli inadempimenti a questa riconducibili e sostenendo l’invalidità del patto di non concorrenza.

Con l’ordinanza in commento il Tribunale di Milano ha inibito alla società Beta dall’utilizzare il marchio della società Alfa, ma ha consentito alla medesima società Beta di continuare ad esercitare la propria attività (senza l’utilizzo del marchio della società Alfa) anche dopo la cessazione del contratto di franchising.

In particolare, il Tribunale di Milano ha accolto la richiesta della società Alfa di inibire alla società Beta l’utilizzo del marchio della stessa società Alfa, in quanto ha ritenuto che il contratto di franchising sia il perimetro entro cui la società Beta poteva disporre legittimamente del medesimo marchio, con la conseguenza che lo scioglimento del contratto di franchising ha privato la società Beta (franchisee o affiliata) del potere di disporre dei segni distintivi del marchio della società Alfa (franchisor o affiliante) in qualunque modo e con qualunque mezzo, ivi compreso a fini pubblicitari e promozionali, non solo nella corrispondenza commerciale, ma anche nell’insegna.

Contestualmente il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta della società Alfa di inibire alla società Beta la prosecuzione della propria attività dopo la cessazione del contratto di franchising, poiché ha ritenuto che il patto di non concorrenza siglato tra le parti non fosse valido, essendo talmente ampio da impedire all’affiliata Beta di svolgere ulteriormente la propria attività senza limiti temporali o territoriali.

Infine, con l’ordinanza in esame, il Tribunale di Milano ha precisato che il patto di concorrenza post-contrattuale è valido solo se:

  • si riferisca a beni e servizi in concorrenza con i beni e servizi contrattuali;
  • sia limitato ai locali in cui il franchisee ha operato durante il periodo di vigenza del contratto di franchising;
  • sia indispensabile per la protezione del know how a suo tempo trasferito dal franchisor al franchisee;
  • sia limitato al periodo di un anno a decorrere dalla cessazione del contratto di franchising.

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