Categoria: Il contratto di agenzia in Italia Pagina 10 di 11

14. Il diritto di accesso ai libri contabili della preponente

Il diritto di accesso ai libri contabili della preponente

Con la sentenza n. 19319 del 29/9/2016 la Sezione lavoro della Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema del diritto dell’agente all’accesso ai libri contabili della preponente.

In particolare nella suddetta sentenza la Suprema Corte ha affermato che l’art. 1749 c.c. impone alla preponente lo specifico obbligo di mettere a disposizione dell’agente la documentazione e le informazioni necessarie all’espletamento dell’incarico e di consegnare, quanto meno ogni trimestre, un estratto conto dettagliato delle provvigioni dovute.

In buona sostanza, la Cassazione ha stabilito che l’agente è titolare di un vero e proprio diritto di accesso ai libri contabili della preponente, in quanto tali documenti sono necessari per il conteggio delle provvigioni e delle indennità, oltre che per una gestione trasparente del rapporto secondo i principi di buona fede e correttezza.

Parallelamente la preponente ha un vero e proprio obbligo di fornire la documentazione e le informazioni richieste dall’agente, in modo da consentirgli di poter ricostruire con esattezza l’andamento del rapporto di agenzia.

In base alla sentenza in commento la richiesta di esibizione documentale avanzata in giudizio dall’agente non può, quindi, essere considerata generica ed idonea a colmare un’eventuale lacuna probatoria, dato che la preponente ha comunque l’obbligo – anche indipendentemente dall’ordine del giudice – di mettere a disposizione dell’agente i documenti indispensabili per il calcolo delle provvigioni e delle indennità, che notoriamente sono nell’esclusiva disponibilità della stessa preponente.

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13. Divorzio e indennità di cessazione del rapporto di agenzia

Divorzio e indennità di cessazione del rapporto di agenzia

Con la sentenza n. 17883 del 9/9/2016 la Cassazione si è pronunciata in merito al diritto del coniuge divorziato titolare di assegno divorzile a percepire una quota dell’indennità di fine rapporto spettante all’altro coniuge al momento della cessazione del rapporto di agenzia.

Tale sentenza trae origine dalla domanda giudiziale proposta dalla ex moglie al fine di ottenere l’attribuzione di una quota dell’indennità di fine rapporto percepita dall’ex coniuge, agente assicurativo, per il periodo coincidente con il rapporto matrimoniale.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dalla ex moglie, rilevando che è esclusa dall’ambito di applicazione dell’art. 12bis della legge n. 898 del 1970 l’ipotesi in cui, come nel caso di specie, l’attività svolta dall’altro coniuge abbia avuto natura imprenditoriale, essendo stata esercitata mediante una complessa ed articolata struttura organizzativa con vasta dotazione di mezzi e personale.

Per contro, quindi, dalla sentenza in esame si deduce che il coniuge divorziato titolare di assegno divorzile ha diritto ad ottenere una parte dell’indennità di fine rapporto dovuta all’ex coniuge al momento della cessazione di un rapporto di agenzia qualora la sua attività di agente si concretizzava in una prestazione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale.

 

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12. Recesso dell’agente per raggiungimento dell’età pensionabile

Recesso dell’agente per raggiungimento dell’età pensionabile e successiva ripresa dell’attività lavorativa da parte del medesimo agente

Con la sentenza 5/5/2016 il Tribunale di Ivrea si è pronunciato sul tema del mantenimento del diritto all’indennità di fine rapporto in caso di recesso dell’agente per conseguimento della pensione di vecchiaia Enasarco.

Tale sentenza trae origine dal ricorso presentato da una preponente che, dopo aver ricevuto il recesso di un proprio agente basato sul raggiungimento dell’età pensionabile, aveva corrisposto a quest’ultimo l’indennità di fine rapporto, ma, a distanza di pochi mesi, aveva poi scoperto che lo stesso agente aveva iniziato a collaborare con una società concorrente.

Pertanto la preponente aveva agito in giudizio per ottenere la restituzione dell’indennità di fine rapporto già corrisposta all’agente.

Il Giudice adito, considerando il conseguimento da parte dell’agente dell’età necessaria ad ottenere il riconoscimento della pensione di vecchiaia Enasarco, che secondo l’art. 1751 c.c. e gli Accordi Economici Collettivi non priva l’agente del diritto all’indennità di fine rapporto in caso di suo recesso basato su tale circostanza, ha ritenuto irrilevante il fatto che, a distanza di alcuni mesi dal proprio recesso, l’agente abbia intrapreso una nuova collaborazione con una società concorrente della ricorrente.

In buona sostanza, il Tribunale di Ivrea ha affermato che il recesso dell’agente per conseguimento della pensione di vecchiaia Enasarco attribuisce di per sé al medesimo agente il diritto a percepire l’indennità di fine rapporto, in assenza di qualsivoglia norma ostativa che preclude il riconoscimento di tale diritto ove dovessero verificarsi dopo il recesso fatti sopravvenuti.

La ripresa lavorativa successiva al pensionamento dell’agente non è, dunque, secondo il Tribunale di Ivrea un fatto che fa venir meno il diritto acquisito alla pensione di vecchiaia Enasarco ed all’indennità di fine rapporto riconosciuta dagli Accordi Economici Collettivi.

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11. Differenza tra monomandato e esclusiva

Nella prassi i concetti di monomandato ed esclusiva vengono spesso confusi tra di loro, essendo erroneamente considerati come sinonimi.

In realtà tali concetti sono distinti e hanno finalità diverse.

Per poter meglio cogliere tale distinzione occorre fornire prima una definizione dei due concetti.

Il concetto di monomandato è previsto esclusivamente dagli Accordi Economici Collettivi (i cosiddetti “A.E.C.”), secondo cui è agente monomandatario l’agente che si obbliga a prestare la propria attività in favore di un’unica preponente.

L’esclusiva in favore della preponente, invece, è prevista anche dal codice civile e implica per l’agente il divieto di assumere nella zona contrattualmente assegnata incarichi per conto di imprese in concorrenza con la stessa preponente.

E’ evidente, quindi, la differenza tra esclusiva e monomandato, considerando che:

  • con la clausola di monomandato la preponente impedisce all’agente di assumere incarichi per qualunque altra preponente, incluse, quindi, le preponenti che trattano prodotti non in concorrenza;
  • con la clausola di esclusiva in favore della preponente, invece, quest’ultima impedisce all’agente di assumere, nella zona contrattualmente assegnata, incarichi da parte di preponenti che trattano prodotti in concorrenza, con la conseguenza che (in presenza di una clausola di plurimandato) l’agente può assumere in tale zona incarichi da parte di preponenti che trattano prodotti non in concorrenza.

Infatti la finalità della clausola di monomandato è quella di far sì che l’agente impieghi le proprie energie unicamente per la promozione dei prodotti della preponente, mentre la finalità della clausola di esclusiva è quella di evitare che l’agente svolga in una determinata zona attività promozionale per prodotti in concorrenza.

Pertanto, in presenza di una clausola di monomandato l’agente deve operare per un’unica preponente a prescindere dal tipo di prodotti e dalla zona di riferimento, mentre in presenza di una clausola di esclusiva in favore della preponente (e in regime di plurimandato) l’agente può assumere incarichi nella stessa zona di riferimento da parte di preponenti che trattano prodotti non in concorrenza.

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10. La mancata contestazione dell’estratto conto provvigioni

L’estratto conto provvigioni deve essere consegnato periodicamente all’agente e deve riportare i singoli affari per i quali gli è riconosciuta la provvigione e la misura di quest’ultima.

A volte capita che per alcuni affari la misura della provvigione non corrisponde a quella pattuita nel contratto di agenzia, senza però che l’agente effettui alcuna contestazione al riguardo.

Pertanto si è posto il problema di dare un significato alla mancata contestazione dell’estratto conto provvigioni da parte dell’agente.

Sul punto la giurisprudenza è divisa tra due posizioni contrastanti.

Secondo un orientamento giurisprudenziale l’accettazione tacita e prolungata nel tempo da parte dell’agente di tutti gli estratti conto provvigionali trasmessi periodicamente dalla preponente costituisce elemento sufficiente a far desumere indirettamente anche l’accettazione delle differenti condizioni economiche riconosciute dalla preponente per alcuni specifici affari.

Secondo un altro orientamento giurisprudenziale, invece, qualora un contratto di agenzia contenga una clausola secondo cui l’estratto conto provvigioni si considera approvato se non contestato entro trenta giorni, l’approvazione dell’estratto conto non preclude l’impugnabilità della validità e dell’efficacia dei singoli rapporti obbligatori e dei titoli contrattuali da cui derivano gli addebiti e gli accrediti, in quanto l’approvazione tacita riguarda solo le somme risultanti nell’estratto conto, ma non vale come rinuncia ad eventuali crediti per affari non compresi negli estratti conto approvati.

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9. La responsabilità dell’agente in caso di furto del campionario

Gli Accordi Economici Collettivi (cosiddetti A.E.C.) sia del settore commercio, sia del settore industria disciplinano espressamente l’addebito del campionario.

In particolare:

  • l’art. 4 dell’A.E.C. settore commercio 16 febbraio 2009 stabilisce che il contratto può prevedere l’addebito totale o parziale del valore del campionario all’agente, nel solo caso di mancata o parziale restituzione o di danneggiamento non derivante dal normale utilizzo, mentre è vietato l’addebito del campionario all’agente per motivi diversi;
  • l’art. 3 dell’A.E.C. settore industria 30 luglio 2014 stabilisce che il valore del campionario affidato all’agente potrà essere addebitato in caso di mancata o parziale restituzione o di danneggiamento non dovuto alla normale usura da utilizzo, mentre non è consentito l’addebito del campionario all’agente per motivi diversi.

In base ad una interpretazione letterale delle suddette norme degli A.E.C. sembra possibile addebitare all’agente il valore del campionario in caso di furto, in quanto tale fattispecie non configura un caso di mancata restituzione e/o di danneggiamento derivante dal normale utilizzo del campionario.

A sostegno della tesi della responsabilità dell’agente in caso di furto del campionario va considerato anche che:

  • di solito nei contratti individuali di agenzia si precisa che la preponente rimane proprietaria dei campionari che affida all’agente in comodato d’uso;
  • ai sensi dell’art. 1804 c.c. il comodatario è tenuto a custodire ed a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia;
  • in base alle norme sulla responsabilità del comodatario, in caso di furto del bene in comodato, il comodatario è responsabile per colpa non in caso di semplice prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ma qualora, avuto riguardo alle circostanze concrete, il comodatario stesso non abbia posto in essere tutte le attività richieste dall’ordinaria diligenza (ad esempio la chiusura dell’autovettura a chiave con i vetri completamente alzati e con il sistema di allarme antifurto inserito durante le soste, anche temporanee; il ricovero dell’autovettura in rimesse private o pubbliche durante le ore notturne).

Pertanto l’agente, per essere esonerato dalla sua responsabilità in caso di furto del campionario, deve riuscire a dimostrare in un eventuale giudizio di aver adottato tutte le misure richieste dall’ordinaria diligenza per evitare tale furto, posto che la mera denuncia penale da parte dell’agente non è di per sé elemento idoneo a liberarlo da tale responsabilità.

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8. Parametri per distinguere un agente da un procacciatore

Con la sentenza n. 1974 del 2/2/2016 la Sezione lavoro è tornata a pronunciarsi sulla distinzione tra agente e procacciatore d’affari.

Nella sentenza in esame la Suprema Corte ha innanzitutto ribadito le differenze tra le due figure, precisando che i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata zona, realizzando così con quest’ultimo una collaborazione professionale non episodica ed autonoma, con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo.

Per contro, il rapporto di procacciamento d’affari consiste nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie gli ordini dei clienti, trasmettendoli all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali ordini.

Mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è, invece, occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.

In altri termini, il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento d’affari non si distinguono solo per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento di affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo e ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o la sporadica raccolta di ordini e non l’attività promozionale di conclusione di contratti.

Inoltre nella sentenza in commento la Cassazione ha individuato i parametri per distinguere la figura dell’agente da quella del procacciatore:

  • la pattuizione di anticipi provvigionali;
  • l’assegnazione di una zona;
  • la previsione di un patto di esclusiva;
  • la cadenza e gli importi delle fatture;
  • l’esistenza di un patto di non concorrenza al termine del rapporto.

In buona sostanza, i suddetti parametri individuati dalla Suprema Corte costituiscono degli indici della non genuinità del rapporto di procacciamento d’affari, che consentono la riqualificazione di tale rapporto come rapporto di agenzia.

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7. La Cassazione torna a pronunciarsi sulla ripartizione dell’onere della prova tra agente e preponente

La Cassazione torna a pronunciarsi sulla ripartizione dell’onere della prova tra agente e preponente

Con la sentenza n. 486 del 14/1/2016 la Cassazione ha ribadito che la ripartizione dell’onere della prova tra agente e preponente deve tener conto del principio della c.d. riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova.

Tale principio è riconducibile all’art. 24 della Costituzione ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio.

Pertanto, in base al principio giuridico sopra enunciato, in una causa promossa da un agente per il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto potrebbe essere ritenuta fondata la richiesta dell’agente di ottenere tutte le necessarie informazioni di carattere contabile (in possesso della sola preponente) indispensabili per assolvere l’onere probatorio a carico dell’agente relativo all’aumento del numero dei clienti e del volume di affari procurati nel corso del rapporto.

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6. Le provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto

Le provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto

L’art. 1748, III comma, c.c., riconosce all’agente il diritto alle provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto (c.d. provvigioni postume) in due ipotesi:

  • se la proposta è pervenuta all’agente o alla preponente prima della fine del contratto;
  • se gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dopo lo scioglimento del contratto e la conclusione dell’affare è da attribuirsi prevalentemente all’attività svolta dall’agente.

Il concetto della ragionevolezza del termine di cui all’art. 1748, III comma, c.c. ha dato luogo a diversi problemi interpretativi, che sono stati risolti dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. A.E.C.), attraverso la fissazione di un termine preciso in sostituzione della generica previsione “termine ragionevole” contenuta nel suddetto art. 1748 c.c.

In particolare, sia l’A.E.C. commercio 16/2/2009 (art. 5), sia l’A.E.C. industria 30/7/2014 (art. 6) hanno stabilito un termine di sei mesi dalla data di cessazione del contratto, decorso il quale l’affare non può ritenersi attribuibile all’agente, con la conseguenza che quest’ultimo non ha diritto alle relative provvigioni.

Ad ogni modo, per richiedere il pagamento delle provvigioni in questione, è necessario che l’agente abbia consegnato alla preponente una relazione dettagliata con gli affari in corso al termine del rapporto.

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5. Il problema della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia

La disciplina dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia risente in maniera significativa dei problemi di sovrapposizione tra codice civile e accordi economici collettivi (A.E.C.).

Infatti, a seguito dei decreti legislativi di attuazione della direttiva 86/653, il testo dell’art. 1751 c.c. è stato completamente modificato, venendo meno la correlazione in precedenza esistente tra codice civile e accordi economici collettivi, ai quali l’art. 1751 c.c. in passato effettuava un espresso rinvio.

Il nuovo testo dell’art. 1751 c.c. non contiene più alcun rinvio agli accordi economici collettivi, che però continuano a prevedere in proposito una disciplina specifica, determinando così non pochi problemi di coordinamento.

Dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale sul tema in esame, è intervenuta la Corte di Giustizia che, con una sentenza del marzo 2006, ha stabilito la sostanziale non conformità degli accordi economici collettivi (in particolare quelli del 1992) con il testo della direttiva 86/653.

Conseguenza diretta della suddetta sentenza della Corte di Giustizia avrebbe dovuto essere la declaratoria di inefficacia delle disposizioni contenute negli accordi economici collettivi, che riguardano la quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia.

Tuttavia in Italia sono seguite due sentenze della Corte di Cassazione dell’ottobre 2006, confermate poi da numerose pronunce successive, secondo cui i criteri di calcolo indicati negli accordi economici collettivi costituirebbero una sorta di minimo garantito per l’agente.

In altri termini, mentre sino al marzo 2006 i criteri degli accordi economici collettivi erano ritenuti maggioritari come un valido e generale metodo di calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, l’attuale posizione della giurisprudenza della Cassazione considera gli accordi economici collettivi come un mero trattamento minimo, salva la facoltà dell’agente di richiedere, laddove più favorevole, il diverso trattamento previsto dall’art. 1751 c.c.

Da un punto di vista operativo ne consegue che attualmente, quando cessa un contratto di agenzia, è possibile quantificare l’indennità di cessazione del rapporto dovuta all’agente in una “forbice” compresa tra un limite minimo, calcolato secondo gli accordi economici collettivi, e un limite massimo calcolato in applicazione dell’unica indicazione fornita dall’art. 1751 c.c., ossia un’annualità di retribuzioni calcolate sulla media delle somme percepite dall’agente negli ultimi cinque anni di durata del contratto oppure calcolate sulla media delle somme percepite dall’agente nel corso dell’intero rapporto, se esso è stato di durata inferiore ai cinque anni.

Peraltro spesso tale “forbice” è molto ampia, in quanto nella prassi la differenza tra il limite minimo e il limite massimo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia consiste in un importo rilevante.

Questa situazione di incertezza può determinare, in sede stragiudiziale, difficoltà per le parti ad individuare soluzioni transattive ragionevoli e, in sede giudiziale, quantificazioni diverse da parte dei giudici in casi simili.

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