Autore: FTA Pagina 2 di 26

95. Quando l’influencer può essere inquadrato come agente di commercio?

Con la sentenza n. 2615 del 4 marzo 2024 il Tribunale di Roma ha individuato gli elementi sulla base dei quali l’influencer può essere inquadrato come agente di commercio con le relative conseguenze anche sotto il profilo della iscrizione e contribuzione Enasarco.

Nel caso di specie tra la società e gli influencer era stato stipulato un accordo scritto in base al quale “[…] l’influencer dovrà promuovere per conto nostro prodotti del brand di proprietà di […] sulle pagine social media e siti di proprietà dell’influencer, indicando nelle proprie pagine web il codice personalizzato […] per ogni singolo ordine direttamente procurato e andato a buon fine, l’influencer avrà diritto di percepire dalla Società un compenso nella misura del 10%”.

In buona sostanza, secondo il Tribunale di Roma il codice sconto personalizzato funge da collegamento ai siti web della società ed allo stesso tempo permette alla società di determinare gli ordini riconducibili all’influencer, con la conseguenza che l’influencer svolge una vera e propria attività promozionale di vendita per cui riceve un compenso determinato in funzione degli ordini direttamente procurati dallo stesso influencer e andati a buon fine, e cioè una retribuzione in forma provvigionale liquidata con cadenze periodiche per lo più mensili.

Pertanto, nella sentenza in esame il Giudice ha stabilito che un’attività del genere è riconducibile alla fattispecie civilistica dell’agenzia regolata dagli artt. 1742 e seguenti del codice civile, i cui caratteri distintivi sono la continuità e la stabilità, che nel caso di specie sono stati riscontrati dal Tribunale nel suddetto accordo scritto e nella fatturazione provvigionale periodica.

 

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94. Il foro competente per territorio nelle cause tra agente-persona fisica e preponente

Con ordinanza n. 11932 del 3 maggio 2024 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della questione relativa al foro competente per territorio nelle cause tra agente-persona fisica e preponente.

In particolare, nel suddetto provvedimento la Suprema Corte ha affermato che:

  • nelle cause relative a rapporti di agenzia con agente-persona fisica il foro competente per territorio coincide con il foro in cui l’agente ha il suo domicilio;
  • per domicilio dell’agente deve intendersi il luogo in cui l’agente ha stabilito il centro dei suoi affari;
  • il criterio sopra indicato per la determinazione del foro territorialmente competente trova applicazione anche nell’ipotesi di causa promossa successivamente alla cessazione del rapporto di agenzia con la precisazione che, in tal caso, deve farsi riferimento all’ultimo domicilio dell’agente in costanza di rapporto di agenzia.

 

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93. All’agente persona fisica con showroom si applica il rito del lavoro

Con sentenza n. 6803 del 14 marzo 2023 la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di un agente del settore moda, che operava come agente persona fisica e aveva uno showroom.

In particolare, nella pronuncia in esame la Suprema Corte ha affermato che nel caso in cui l’agente di commercio sia una persona fisica:

  • per escludere la competenza del giudice del lavoro a decidere una controversia in materia di contratto di agenzia, occorre dimostrare che l’agente abbia organizzato la propria attività con criteri imprenditoriali tali da far concludere che egli si limiti ad organizzare e dirigere i suoi collaboratori, non realizzando una collaborazione meramente ausiliaria dell’attività altrui ma gestendo un’impresa autonoma propria;
  • opera una presunzione che induce a propendere per la conclusione che la prestazione sia resa in maniera continuativa e coordinata, ricorrendo quindi i presupposti del rapporto di cd. parasubordinazione, che appunto radica la competenza del giudice del lavoro a decidere una controversia in materia di contratto di agenzia;
  • deve pienamente escludersi che valgono a provare un’organizzazione a carattere imprenditoriale la mera titolarità di partita Iva e la disponibilità di uno showroom, che costituiscono i requisiti minimi per esercitare l’attività agenziale, che comporta l’emissione di fatture per le provvigioni e necessita di un luogo adeguato a mostrare la merce ai clienti.

In buona sostanza, nella sentenza in commento la Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso di agente persona fisica la disponibilità di uno showroom non costituisce di per sé un indice di organizzazione a carattere imprenditoriale, essendo uno dei requisiti minimi per lo svolgimento dell’attività di agente di commercio. Pertanto, anche all’agente persona fisica con showroom si applica il rito del lavoro in caso di controversie giudiziarie inerenti il rapporto di agenzia con la preponente.

 

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80. Legittimo il licenziamento per violazione delle procedure aziendali

Con ordinanza n. 6827 del 14 marzo 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità del licenziamento per giusta causa di due lavoratori che avevano violato le procedure aziendali esponendo la datrice di lavoro ad un danno economico e a sanzioni amministrative.

Più precisamente tale licenziamento per giusta causa ai sensi e per gli effetti dell’art. 2119 del codice civile ha avuto ad oggetto il caricamento, effettuato dai lavoratori in contrasto con le procedure aziendali, di merce di significativo valore commerciale (lamiere), che non corrispondeva ai regolari documenti di trasporto ed era di maggior valore rispetto a quanto ivi indicato, su un automezzo destinato ad uno specifico cliente della datrice di lavoro e fermato a seguito di ispezione.

La Suprema Corte ha confermato la responsabilità disciplinare di entrambi i lavoratori per aver operato, per la parte di rispettiva competenza, in maniera gravemente difforme rispetto alla prassi e alle regole aziendali, esponendo l’azienda al pericolo di un danno economico grave e al rischio di far circolare merci con irregolari documenti di trasporto, con possibili conseguenze amministrative.

Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ha pertanto ritenuto la sanzione disciplinare espulsiva comminata ad entrambi i lavoratori adeguata e proporzionata alla gravità dei fatti contestati.

Riguardo al concetto di proporzionalità e di giusta causa ex art. 2119 c.c. la Suprema Corte ha infine evidenziato che:

  • la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni ascrivibili alla tipologia delle c.d. clausole generali, che sono di contenuto illimitato e delineano un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama;
  • le specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità davanti alla Suprema Corte come violazione di legge, mentre invece l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e la loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento ex art. 2119 del codice civile si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, che è demandato al Giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) ed è incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici.

 

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92. La questione della legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli A.E.C.

Con la sentenza n. 350 del 3 aprile 2024 il Tribunale di Catanzaro si è pronunciato sulla questione della legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. “A.E.C.”), ribadendo al riguardo i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia europea nella nota sentenza del 23 marzo 2006.

Con la pronuncia C-465/04 del 23 marzo 2006 la Corte di Giustizia europea ha contestato la legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli Accordi Economici Collettivi. Tali accordi, secondo la Corte di Giustizia europea, possono derogare alla disciplina dettata dalla direttiva 86/653/CEE solo se, con un’analisi ex ante, dall’applicazione dell’Accordo Economico Collettivo possa derivare all’agente un trattamento economicamente più favorevole rispetto all’indennità di cui all’art. 1751 codice civile.

Dal momento che non sono previsti degli strumenti di calcolo che permettono di pronosticare l’ammontare dell’indennità di fine rapporto ex art. 1751 codice civile e tale indennità può essere conosciuta e calcolata solamente dopo lo scioglimento del rapporto e posto che, secondo la Corte di Giustizia europea, la valutazione sul fatto che il trattamento degli Accordi Economici Collettivi sia (sempre) più favorevole rispetto alla disciplina civilistica di cui all’art. 1751 codice civile deve essere fatto ex ante, è chiaro che, seguendo tale ragionamento, solamente un sistema di calcolo che garantisca sempre il massimo dell’indennità potrà essere considerato in linea con i principi dettati dalla direttiva europea e con la sentenza della Corte di Giustizia europea del 23 marzo 2006.

In particolare, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza del 23 marzo 2006, il raffronto tra le discipline legale e pattizia dev’essere effettuato con riferimento al caso concreto, pervenendosi alla dichiarazione di nullità della parte del contratto risultata sfavorevole all’agente.

Ciò comporta per questo l’onere di provare nel giudizio di merito con dettagliati calcoli conformi ad entrambi i criteri, legale e contrattuale, la differenza peggiorativa, e per la preponente l’onere di provare il contrario, anche attraverso l’eventuale considerazione complessiva delle clausole e la relativa compensazione di vantaggi e svantaggi, ritenendo altresì che l’art. 1751, comma 6, codice civile si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi dell’art. 1751 codice civile deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione degli Accordi Economici Collettivi.

In tale quadro argomentativo delineato dalla Corte di Giustizia europea, appare comunque in via di consolidamento l’orientamento della Cassazione secondo il quale i criteri di quantificazione dell’indennità di fine rapporto previsti dagli Accordi Economici Collettivi devono considerarsi comunque come un trattamento minimo che deve essere garantito all’agente, salvo la necessità da parte del giudice, una volta riscontrata l’esistenza o meno dei requisiti previsti dall’art. 1751 codice civile, di effettuare una sorta di valutazione caso per caso al fine di valutare l’equità della soluzione derivante dagli Accordi Economici Collettivi con facoltà discrezionale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

 

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79. Legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo a seguito della scelta di sostituire un dipendente con un agente di commercio

Con sentenza n. 1539 del 25 marzo 2024 il Tribunale di Napoli Sezione lavoro si è pronunciato sulla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato dalla datrice di lavoro ad una dipendente per soppressione del posto di lavoro e sostituzione della medesima dipendente con un agente di commercio.

In particolare, nel caso in questione la datrice di lavoro ha ricondotto il suddetto licenziamento alla decisione di “sopprimere la posizione lavorativa di addetto alla rete commerciale per l’Area Campania e Basilicata” ricoperta dalla dipendente.

Nella comunicazione di licenziamento la datrice di lavoro ha comunicato l’impossibilità di procedere ad una ricollocazione della dipendente licenziata in quanto le mansioni precedentemente svolte dalla ricorrente sono state affidate ad un agente di commercio.

In buona sostanza, rispetto al giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro ha rappresentato la necessità del licenziamento a fronte della scelta aziendale di soppressione della posizione lavorativa, per uniformare le modalità di gestione degli affari su tutto il territorio.

Parte resistente ha, infatti, dedotto che la propria rete commerciale è sempre stata costituita esclusivamente da agenti, tranne che nel caso della ricorrente, allegando la volontà di addivenire ad una uniformità di trattamento economico e normativo, al fine anche di facilitare la propria gestione contabile – amministrativa.

La datrice di lavoro ha depositato in atti i contratti di agenzia stipulati nel corso degli anni con i singoli agenti, dando così prova dell’effettiva organizzazione aziendale secondo lo schema riportato in giudizio, confermando che l’unica inquadrata come dipendente era effettivamente la ricorrente.

È risultato in causa altresì pacifico – in quanto riportato da entrambe le parti – che, prima di procedere al licenziamento, la posizione di agente era stata offerta anche alla ricorrente, che l’ha rifiutata.

Pertanto, il Tribunale di Napoli ha ritenuto effettivamente sussistente il giustificato motivo oggettivo posto dalla resistente a fondamento del licenziamento della ricorrente.

A supporto il Tribunale ha ribadito che in tema di giustificato motivo oggettivo la giurisprudenza di legittimità ha da anni affermato il principio secondo cui in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo la verifica del giudice circa la legittimità del recesso si deve concentrare su tre elementi:

  • l’effettività delle ragioni poste dal datore di lavoro a giustificazione della decisione di ridimensionamento e riassetto organizzativo del personale, con la precisazione, tuttavia, che tale indagine deve essere limitata al dato oggettivo e non può estendersi ad un sindacato sull’opportunità della scelta fatta dal datore di lavoro, rispetto a cui l’imprenditore gode dell’autonomia garantita dall’art. 41 Cost.;
  • l’esistenza del nesso di causalità tra l’individuazione del posto da sopprimere rispetto al riassetto organizzativo;
  • l’inesistenza di soluzioni alternative al licenziamento.

Alla luce di tali elementi il licenziamento per giustificato motivo oggettivo a seguito della scelta della datrice di lavoro di sostituire un dipendente con un agente di commercio è stato ritenuto legittimo dal Tribunale di Napoli Sezione Lavoro e la domanda di impugnativa da parte della dipendente è stata quindi rigettata con la sentenza in commento.

 

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13. Il danno da responsabilità precontrattuale nel contratto di franchising

Con la sentenza n. 975 del 2 aprile 2024 la Corte di Appello di Milano si è pronunciata sul tema del danno da responsabilità precontrattuale nel contratto di franchising.

In particolare, in tale sentenza la Corte territoriale adita ha stabilito che:

  • qualora l’affiliato promuova un’azione diretta ad ottenere il risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale, in quanto il danno patrimoniale lamentato dall’affiliato sarebbe stato causato dalla condotta tenuta dall’affilliante prima della stipulazione del contratto di franchising in violazione di quanto previsto dall’art. 6 legge n. 129 del 6 maggio 2004, il danno risarcibile è costituito dalla perdita patrimoniale subìta dall’affiliato per aver concluso il contratto di franchising facendo affidamento sul fatto che l’affiliante effettivamente attuasse tutte le condotte pubblicizzate nel sito Internet (benché le stesse non fossero state specificamente incluse tra gli obblighi contrattuali dell’affiliante), che non avrebbe, invece, poi attuato, e sul fatto che la previsione di ricavato contenuta nel conto economico previsionale fosse attendibile, mentre si sarebbe rivelata erronea;
  • il danno da responsabilità precontrattuale non può che essere quello che avrebbe potuto essere evitato se l’affiliante si fosse comportato correttamente nella fase precontrattuale, e cioè evitando di fare promesse, poi non mantenute, nella conclusione e nell’esecuzione del contratto di franchising o di fare previsioni economiche rivelatesi errate;
  • il danno risarcibile è costituito dalle perdite derivate all’affiliato per il fatto di aver concluso ed eseguito il contratto di franchising che, qualora l’affiliante avesse fornito le informazioni ritenute corrette, l’affiliato non avrebbe mai stipulato.

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91. Le due tipologie di indennità in caso di cessazione del contratto di agenzia

Con la sentenza n. 350 del 3 aprile 2024 il Tribunale di Catanzaro si è pronunciato sulle due tipologie di indennità in caso di cessazione del contratto di agenzia, evidenziandone le differenze.

In particolare, in tale pronuncia il Giudice adito ha affermato quanto segue.

Nel caso di cessazione del contratto di agenzia all’agente sono dovute – alternativamente – due tipologie di indennità: quelle legali e quelle negoziali previste dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. “A.E.C.”).

Le indennità legali riguardano l’indennità di cessazione del rapporto e sono disciplinate dall’art. 1751 codice civile. Esse non possono essere riconosciute all’agente che abbia esercitato il recesso senza alcuna responsabilità della preponente e comunque ai fini del loro riconoscimento non è sufficiente la provvista di nuovi clienti o il sensibile incremento degli affari con quelli vecchi, ma occorre anche che alla cessazione del rapporto la preponente continui a ricevere sostanziali vantaggi dai clienti procurati dall’agente ovvero dall’incremento di affari con i clienti preesistenti.

Le indennità negoziali, invece, sono disciplinate dagli Accordi Economici Collettivi e si articolano nelle tre seguenti voci:

  • l’indennità di risoluzione del rapporto (c.d. “FIRR”), che è dovuta in ogni caso di cessazione del contratto di agenzia;
  • l’indennità suppletiva di clientela, che è dovuta quando il contratto si scioglie o ad iniziativa della preponente per fatto non imputabile all’agente o su iniziativa dell’agente per circostanze attribuibili alla preponente
  • l’indennità meritocratica, che spetta all’agente allo scioglimento del contratto solo nel caso in cui l’importo complessivo del FIRR e dell’indennità suppletiva di clientela non superi il massimale stabilito per l’indennità di fonte legale e l’agente, al momento della cessazione, abbia procurato nuovi clienti o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e la preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti.

Più nello specifico, l’art. 1751 codice civile dispone che, all’atto della cessazione del rapporto, la preponente è tenuta a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni:

  • l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti;
  • la preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
  • il pagamento di tale indennità sia equo, tenendo conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

Il terzo comma dell’art. 1751 codice civile prevede che l’indennità non è dovuta nei tre seguenti casi:

  • quando la preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto;
  • l’agente receda dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività;
  • quando, ai sensi di un accordo con la preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’agenzia.

Riguardo all’ammontare dell’indennità, il terzo comma dell’art. 1751 codice civile dispone che la stessa non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.

Il criterio di cui all’ art. 1751 codice civile non contiene alcun metodo di calcolo, ma solo un tetto massimo (ossia un’annualità da calcolarsi secondo la media provvigionale degli ultimi 5 anni) e due condizioni all’avverarsi delle quali è subordinato il maturare dell’indennità, ossia che:

  • l’agente abbia procurato nuovi clienti e/o “intensificato” il fatturato di quelli già esistenti
  • l’indennità sia “equa” alla luce di “tutte le circostanze del caso ivi comprese le provvigioni che l’agente perde a seguito della cessazione del contratto.

Dall’altra parte, la disciplina contrattuale – alternativa – degli Accordi Economici Collettivi (c.d. “A.E.C.”) stabilisce un metodo di calcolo certo e preciso, articolato su tre diverse voci:

  • l’indennità di risoluzione del rapporto (il “FIRR”, costituito da un accantonamento annuale presso l’apposito Fondo gestito dall’Enasarco) calcolata sulla base dei dettami degli AEC;
  • l’indennità suppletiva di clientela, riconosciuta all’agente anche in assenza di un incremento della clientela;
  • l’indennità meritocratica, collegata all’incremento della clientela e/o giro di affari.

 

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78. La novità in materia di lavoro subordinato a tempo determinato

È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 febbraio 2024 la legge n. 18 del 23 febbraio 2024 di conversione del D.L. n. 215 del 30 dicembre 2023 c.d. Decreto Milleproroghe, che contiene una novità in materia di contratto di lavoro a tempo determinato.

Come noto, il Decreto Lavoro n. 48 del 4 maggio 2023 era intervenuto in materia di causali giustificatrici per i rapporti di lavoro a tempo determinato prevedendo la possibilità, fino alla data del 30 aprile 2024, di stipulare contratti a tempo determinato di durata superiore ai 12 mesi in presenza di accordo individuale tra le parti, fatto salvo quanto previsto dai contratti collettivi e per la sostituzione di altri lavoratori.

La suddetta legge di conversione del Decreto Milleproroghe ha invece fissato al 31 dicembre 2024 il termine per l’utilizzo della causale prevista dall’art. 24 del citato Decreto Lavoro e cioè “per esigenze di natura tecnica organizzativa o produttiva individuate dalle parti”.

In buona sostanza, con il c.d. Decreto Milleproroghe è stata prorogata sino al 31 dicembre 2024 la possibilità per le parti del contratto individuale di lavoro di individuare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustifichino l’apposizione, nei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, di un termine superiore ai 12 mesi e fino a 24 mesi.

 

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90. L’attività dell’agente di commercio

Con la sentenza n. 4561 del 20 febbraio 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul contenuto dell’attività dell’agente di commercio.

In particolare, in tale sentenza la Suprema Corte ha affermato che:

  • l’attività dell’agente di commercio ha un contenuto vario e non predeterminato, che include, in una vasta gamma di prestazioni, il compito di propaganda, la predisposizione dei contratti, la ricezione e la trasmissione delle proposte alla preponente, senza presupporre, quale elemento imprescindibile, l’attività di ricerca del cliente;
  • il contratto d’agenzia, pur nel multiforme atteggiarsi delle prestazioni, postula, per un verso, la promozione della conclusione di contratti in una zona determinata per conto della preponente e, per altro verso, il nesso di causalità tra l’opera promozionale svolta dall’agente nei confronti del cliente e la conclusione dell’affare, cui si riferisce la richiesta di provvigione;
  • l’attività di promozionale finalizzata alla conclusione di contratti per conto della preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma si deve configurare come attività di convincimento del potenziale cliente a ordinare i prodotti della preponente;
  • pur nella pluralità di prestazioni riconducibili all’attività dell’agente, l’esistenza del contratto di agenzia è legata al riscontro che il soggetto che svolge l’attività promozionale abbia anche partecipato attivamente alla conclusione del contratto, posto che deve necessariamente sussistere un nesso causale tra l’attività promozionale svolta dall’agente e la conclusione dell’affare, che è all’origine della richiesta di provvigione.

 

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