Con l’ordinanza n. 697 del 18 gennaio 2021 la Corte di Cassazione si è pronunciata sugli elementi per cui la collaborazione con un consulente possa configurare un rapporto di lavoro subordinato, affermando che di per sé è irrilevante l’assegnazione di un ufficio personale al consulente.

 

La Corte di Cassazione ha motivato tale ordinanza sulla base delle argomentazioni qui di seguito esposte.

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, la prolungata esecuzione ed il nomen iuris, pur essendo elementi necessari di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.

Non vi è alcun contrasto con i principi secondo cui la natura subordinata può ravvisarsi anche in presenza di prestazioni discontinue e non esclusive, posto che nel caso concreto vi è stata una valutazione di elementi di fatto che, nello specifico, hanno avvalorato il contesto probatorio ritenuto insufficiente ai fini di dimostrare il presupposto della eterodirezione, che non può concretarsi nell’assegnazione di un ufficio personale al consulente.

Nel caso di specie la eterodirezione è stata ritenuta assente nell’articolazione effettiva e concreta del rapporto lavorativo instaurato tra le parti, che è stato invece considerato una collaborazione paritaria senza vincolo di subordinazione.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che l’assenza di richieste di permessi o di ferie da parte del consulente e la mancata assegnazione di un badge da parte dell’azienda al consulente stesso sono elementi che escludono nella fattispecie la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato.

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