Con la sentenza n. 26267 del 6 novembre 2017 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla differenza tra l’espressione “minimo provvigionale garantito” e l’espressione “anticipo provvigionale”.

La sentenza in commento trae origine dalla previsione in un contratto di agenzia di un promotore finanziario di un compenso “minimo provvigionale garantito” condizionato al raggiungimento di un determinato obiettivo di produzione.

Secondo la prospettazione della banca – preponente il compenso minimo provvigionale garantito era dovuto al promotore solo nell’ipotesi di integrale raggiungimento dell’obiettivo e che, in caso contrario, tale compenso non gli era dovuto, né sussisteva alcun obbligo per la preponente di riparametrare il compenso in base al grado di raggiungimento dell’obiettivo, trattandosi di una mera facoltà della stessa preponente.

La Corte di Cassazione – dopo aver ribadito che la pattuizione di un compenso minimo garantito non è incompatibile con un contratto di agenzia – ha confermato l’interpretazione della Corte d’Appello, secondo cui l’espressione “minimo provvigionale garantito” utilizzata nel contratto di agenzia in questione mal si concilia con un compenso soltanto anticipato, osservando che di solito si usa l’espressione “anticipo provvigionale” quando si tratta di un compenso soggetto a restituzione, qualora non coperto dalle provvigioni effettivamente maturate dall’agente.

In buona sostanza, rigettando il ricorso della banca – preponente, la Suprema Corte ha affermato che un compenso soggetto a restituzione parziale o totale in caso di mancato raggiungimento di determinati obiettivi non costituisce un “compenso minimo garantito”, bensì un “anticipo provvigionale”.

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