Categoria: Lavoro Pagina 5 di 10

52. Protocollo nazionale sullo smart working nel settore privato

Il 7 dicembre 2021 al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato raggiunto un accordo con le parti sociali per il primo “Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile” nel settore privato.

Di seguito sono illustrati i punti chiave di tale protocollo.

1) Adesione volontaria

L’adesione allo smart working avviene su base volontaria ed è subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale, fermo restando il diritto di recesso. Inoltre, l’eventuale rifiuto del lavoratore di aderire o svolgere la propria prestazione lavorativa in modalità agile non integra gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, né rileva sul piano disciplinare.

2) Accordo individuale

Si prevede la sottoscrizione di un accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore come definito dagli articoli 19 e 21 della legge n. 81/2017 e secondo quanto eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva. Tale accordo deve adeguarsi ai contenuti delle eventuali previsioni della contrattazione collettiva di riferimento ed essere coerente con le seguenti linee di indirizzo definite nel protocollo, prevedendo:

  • la durata dell’accordo, che può essere a termine o a tempo indeterminato;
  • l’alternanza tra i periodi di lavoro all’interno e all’esterno dei locali aziendali;
  • i luoghi eventualmente esclusi per lo svolgimento della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali;
  • gli aspetti relativi all’esecuzione della prestazione lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e alle condotte che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari nel rispetto della disciplina prevista nei contratti collettivi;
  • gli strumenti di lavoro;
  • i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecniche e/o organizzative necessarie ad assicurare la disconnessione;
  • le forme e le modalità di controllo della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, nel rispetto di quanto previsto sia dall’art. 4 della legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), sia dalla normativa in materia di protezione dei dati personali;
  • l’attività formativa eventualmente necessaria per lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile;
  • le forme e le modalità di esercizio dei diritti sindacali.

In presenza di un giustificato motivo, sia il datore sia il lavoratore possono recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato oppure senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.

3) Disconnessione

L’attività lavorativa svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro e per l’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati, nel rispetto dell’organizzazione delle attività assegnate dal responsabile a garanzia dell’operatività dell’azienda e dell’interconnessione tra le varie funzioni aziendali. La prestazione in smart working può essere articolata in fasce orarie, individuando, in ogni caso, la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa; a tal fine, devono essere adottate specifiche misure tecniche e/o organizzative per garantire la fascia di disconnessione. Nei casi di assenza c.d. legittima (es. malattia, infortuni, permessi retribuiti, ferie, etc.), il lavoratore può disattivare i propri dispositivi di connessione. Il lavoratore può richiedere la fruizione dei permessi orari previsti dai contratti collettivi o dalle norme di legge (a titolo esemplificativo, i permessi per particolari motivi personali o familiari, di cui all’art. 33 della legge n. 104/1992); invece, non possono essere di norma previste e autorizzate prestazioni di lavoro straordinario.

4) Luogo e strumenti di lavoro

Il lavoratore è libero di individuare il luogo ove svolgere la prestazione in modalità agile, purché lo stesso abbia caratteristiche tali da consentire la regolare esecuzione della prestazione in condizioni di sicurezza e riservatezza. Salvo diversi accordi, il datore di lavoro di norma fornisce la strumentazione tecnologica e informatica necessaria allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile. Tuttavia, se le parti concordano l’utilizzo di strumenti tecnologici e informatici propri del lavoratore, provvedono a stabilire i criteri e i requisiti minimi di sicurezza e possono essere previste eventuali forme di indennizzo per le spese.

5) Salute, sicurezza, infortuni e malattie professionali

In tema di salute e sicurezza sul lavoro, il protocollo stabilisce che ai lavoratori agili trova applicazione la disciplina di cui agli artt. 18, 22 e 23 della legge n. 81/2017, nonché il rispetto degli obblighi di salute e sicurezza previsti dal D. Lgs. n. 81/2008. Inoltre, la prestazione di lavoro in modalità agile deve essere eseguita esclusivamente in ambienti idonei, ai sensi della normativa vigente in tema di salute e sicurezza e di riservatezza dei dati trattati. Peraltro, il lavoratore agile ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; a tal fine, il datore di lavoro garantisce la copertura assicurativa INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche derivanti dall’uso dei videoterminali, nonché la tutela contro l’infortunio in itinere, secondo quanto previsto dalla legge.

6) Parità di trattamento, pari opportunità, lavoratori fragili e disabili

Ciascun lavoratore agile ha diritto, rispetto ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dei locali aziendali, allo stesso trattamento economico e normativo, anche con riferimento ai premi di risultato, e alle stesse opportunità rispetto ai percorsi di carriera, di iniziative formative e di ogni altra opportunità di specializzazione e progressione della propria professionalità, nonché alle stesse forme di welfare aziendale e di benefit previste dalla contrattazione collettiva. Le parti sociali promuovono lo svolgimento del lavoro in modalità agile, garantendo la parità tra i generi, anche per favorire l’effettiva condivisione delle responsabilità genitoriali e accrescere la conciliazione tra i tempi di vita e i tempi di lavoro. Inoltre, le parti sociali si impegnano a facilitare l’accesso al lavoro agile per i lavoratori in condizioni di fragilità e di disabilità, anche nella prospettiva di utilizzare tale modalità di lavoro come misura di accomodamento ragionevole.

7) Formazione

Per garantire a tutti i lavoratori agili pari opportunità nell’utilizzo degli strumenti di lavoro, le parti sociali ritengono necessario prevedere percorsi formativi finalizzati a incrementare specifiche competenze tecniche, organizzative, digitali, anche per un efficace e sicuro utilizzo degli strumenti di lavoro forniti in dotazione. Tali percorsi formativi potranno interessare anche i responsabili aziendali ad ogni livello, al fine di acquisire migliori competenze per la gestione dei gruppi di lavoro in smart working.

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51. Decreto Fisco sulla sicurezza nei luoghi di lavoro

Con il decreto legge n. 146 del 21 ottobre 2021, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 252 del 21 ottobre 2021, il Governo ha introdotto delle modifiche al decreto legislativo n. 81/2008, meglio noto come Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.

In particolare, il Governo ha rafforzato il sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), prevedendo una maggiore condivisione delle informazioni in esso contenute, riguardo: (i) il quadro produttivo e occupazionale, tenendo conto dei settori di attività, delle dimensioni, della consistenza e qualificazione delle imprese e delle dinamiche occupazionali; (ii) il quadro dei rischi generato dalla elaborazione di dati personali e giudiziari, anche in un’ottica di genere; (iii) il quadro di salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, contenente i dati su infortuni e malattie professionali, eventi morbosi e mortali classificati per settore di attività.

L’attività di vigilanza, finora svolta dalle ASL, viene affidata anche all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), a cui in precedenza era stata assegnata essenzialmente quella nel settore delle costruzioni edili o di genio civile.

Per rendere la vigilanza più incisiva viene favorito un maggior coordinamento di ASL e Ispettorato Nazionale del Lavoro per l’attività svolta a livello provinciale.

Inoltre il Governo ha sostituito la norma del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che regola il potere di sospensione per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, attribuendolo pure agli ispettori dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che possono disporre la sospensione dell’attività quando riscontrano “che almeno il 10 per cento dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti occupato, al momento dell’accesso ispettivo, senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro nonché, a prescindere dal settore di intervento, in caso di gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro di cui all’Allegato I”, anch’esso sostituito con la previsione per la prima volta degli importi delle somme aggiuntive dovute per ottenere la revoca della sospensione inflitta.

Infine, il Governo ha introdotto modifiche alla norma del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che disciplina i compiti degli organismi paritetici e alle notifiche preliminari richieste in presenza di cantieri temporanei e mobili, le quali verranno raccolte in un’apposita banca dati istituita presso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

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50. I soggetti sottoposti al controllo del green pass

Dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, tutti i lavoratori, ai fini dell’accesso nei luoghi di lavoro, devono possedere ed esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19.

In particolare, tale obbligo si applica a:

  • lavoratori dipendenti
  • lavoratori in somministrazione
  • lavoratori autonomi e collaboratori
  • datori di lavoro
  • soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di lavoro
  • lavoratori che accedono ai luoghi di lavoro anche sulla base di contratti esterni (manutentori, ecc.)

In buona sostanza sono obbligati ad avere il green pass tutti i lavoratori che accedono all’azienda (dipendenti, liberi professionisti, appaltatori, fornitori, collaboratori famigliari, volontari, ecc.), mentre non è previsto tale obbligo nei confronti delle persone esenti dalla campagna vaccinale (aventi certificato valido rilasciato da medico certificatore della campagna vaccinale) o clienti (per esempio, in un negozio).

Tale obbligo si applica anche per i lavoratori che, pur non accedendo all’interno della sede aziendale, operano in attività esterne come cantieri, ecc.

I datori di lavoro devono attivare la procedura di controllo sulle certificazioni verdi (green pass) così come richiesto dal decreto legge 21 settembre 2021 n. 127.

Le modalità di verifica previste nella procedura operativa richiedono un controllo frequente in quanto le disposizioni vigenti non consentono ai datori di lavoro o agli incaricati al controllo di acquisire informazioni circa la durata della validità della certificazione verde. È infatti vietato raccogliere fotocopie o fare fotografie delle certificazioni.

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49. Le FAQ del Governo sul controllo del green pass

Qui di seguito le risposte del Governo alle domande più frequenti riguardo al controllo dei green pass.

1) Come devono avvenire i controlli sul green pass dei lavoratori nel settore pubblico e in quello privato?

Ogni amministrazione/azienda è autonoma nell’organizzare i controlli, nel rispetto delle normative sulla privacy e delle linee guida emanate con il Dpcm 12 ottobre 2021. I datori di lavoro definiscono le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, anche a campione, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, e individuano con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento delle violazioni degli obblighi di cui ai commi 1 e 2. È opportuno utilizzare modalità di accertamento che non determinino ritardi o code all’ingresso. Nelle pubbliche amministrazioni, laddove l’accertamento non avvenga al momento dell’accesso al luogo di lavoro, esso dovrà avvenire su base giornaliera, prioritariamente nella fascia antimeridiana della giornata lavorativa, potrà essere generalizzato o a campione, purché in misura non inferiore al 20% del personale presente in servizio e con un criterio di rotazione che assicuri, nel tempo, il controllo su tutto il personale dipendente. Oltre all’app “VerificaC19”, saranno rese disponibili per i datori di lavoro, pubblici e privati, specifiche funzionalità che consentono una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni. Tali verifiche potranno avvenire attraverso:

  • l’integrazione del sistema di lettura e verifica del QR code del certificato verde nei sistemi di controllo agli accessi fisici, inclusi quelli di rilevazione delle presenze, o della temperatura;
  • per gli enti pubblici aderenti alla Piattaforma NoiPA, realizzata dal Ministero dell’economia e delle finanze, l’interazione asincrona tra la stessa e la Piattaforma nazionale-DGC;
  • per i datori di lavoro con più di 50 dipendenti, sia privati che pubblici non aderenti a NoiPA, l’interazione asincrona tra il Portale istituzionale INPS e la Piattaforma nazionale-DGC; per le amministrazioni pubbliche con almeno 1.000 dipendenti, anche con uffici di servizio dislocati in più sedi fisiche, una interoperabilità applicativa, in modalità asincrona, tra i sistemi informativi di gestione del personale e la Piattaforma nazionale-DGC.

2) Come è possibile, per i soggetti che non possono vaccinarsi per comprovati motivi di salute, dimostrare di poter accedere al luogo di lavoro?

I soggetti che, per comprovati motivi di salute, non possono effettuare il vaccino contro il COVID-19, dovranno esibire un certificato contenente l’apposito “QR code” in corso di predisposizione. Nelle more del rilascio del relativo applicativo, il personale esente – previa trasmissione della relativa documentazione sanitaria al medico competente dell’amministrazione di appartenenza – non potrà essere soggetto ad alcun controllo.

3) I soggetti che hanno diritto al green pass ma ne attendono il rilascio o l’aggiornamento come possono dimostrare di poter accedere al luogo di lavoro?

Per i soggetti in attesa di rilascio di valida certificazione verde e che ne abbiano diritto, nelle more del rilascio e dell’eventuale aggiornamento, sarà possibile avvalersi dei documenti rilasciati, in formato cartaceo o digitale, dalle strutture sanitarie pubbliche e private, dalle farmacie, dai laboratori di analisi, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta.

4) Quali provvedimenti deve prendere il datore di lavoro che accerta che il dipendente abbia effettuato l’accesso alla sede di servizio pur essendo sprovvisto di green pass? Quali sanzioni rischia il lavoratore?

Il lavoratore, pubblico o privato, è considerato assente ingiustificato, senza diritto allo stipendio, fino alla presentazione del green pass; nel caso di aziende con meno di 15 dipendenti, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta.
Nel caso in cui il lavoratore acceda al luogo di lavoro senza green pass, il datore di lavoro deve poi effettuare una segnalazione alla Prefettura ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa. Infatti il lavoratore che accede al luogo di lavoro senza green pass è soggetto, con provvedimento del Prefetto, a una sanzione amministrativa che va da 600 a 1.500 euro. Vengono poi applicate anche le sanzioni disciplinari eventualmente previste dai contratti collettivi di settore. Oltre alla retribuzione, non sarà più versata al lavoratore senza green pass qualsiasi altra componente della retribuzione, anche di natura previdenziale, avente carattere fisso e continuativo, accessorio o indennitario, previsto per la giornata di lavoro non prestata. I giorni di assenza ingiustificata non concorrono alla maturazione delle ferie e comportano la perdita della relativa anzianità di servizio.

5) Da chi devono essere effettuati i controlli sul green pass dei lavoratori che arrivano da società di somministrazione? Dalla società di somministrazione o dall’azienda in cui vengono distaccati?
I controlli devono essere effettuati da entrambe, sia dalla società di somministrazione, sia dall’azienda presso la quale il lavoratore svolge la propria prestazione.

6) I protocolli e le linee guida di settore contro il COVID-19, che prevedono regole sulla sanificazione delle sedi aziendali, sull’uso delle mascherine e sui distanziamenti, possono essere superati attraverso l’utilizzo del green pass?

No, l’uso del green pass è una misura ulteriore che non può far ritenere superati i protocolli e le linee guida di settore.

7) I clienti devono verificare il green pass dei tassisti o degli autisti di vetture a noleggio con conducente?

I clienti non sono tenuti a verificare il green pass dei tassisti o dei conducenti di NCC.

8) I parrucchieri, gli estetisti e gli altri operatori del settore dei servizi alla persona devono controllare il green pass dei propri clienti? E i clienti devono controllare il green pass di tali operatori?

Il titolare dell’attività deve controllare il pass dei propri eventuali dipendenti ma non deve richiederlo ai clienti, né questi ultimi sono tenuti a chiederlo a chi svolge l’attività lavorativa in questione.

9) È necessario verificare il green pass dei lavoratori autonomi che prestano i propri servizi a un’azienda e che per questo devono accedere alle sedi della stessa?

Sì, tutti coloro che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nelle sedi dell’azienda sono soggetti al controllo.

10) È possibile per il datore di lavoro verificare il possesso del green pass con anticipo rispetto al momento previsto per l’accesso in sede da parte del lavoratore?
Sì. Nei casi di specifiche esigenze organizzative, i lavoratori sono tenuti a rendere le comunicazioni relative al mancato possesso del green pass con il preavviso necessario al datore di lavoro per soddisfare tali esigenze.

11) Quali sanzioni rischia il datore di lavoro che non effettua le verifiche previste per legge?
Il datore di lavoro che non controlla il rispetto delle regole sul green pass è punito con una sanzione amministrativa che va da 400 a 1.000 euro.

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48. La sospensione dal servizio in caso di rifiuto a vaccinarsi contro il Covid-19

Con ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021 il Tribunale di Modena ha affrontato la questione dibattuta del rifiuto a vaccinarsi contro il Covid-19 da parte dei lavoratori, stabilendo che il datore di lavoro è legittimata a sospenderli dal servizio con conseguente blocco del pagamento dello stipendio.

Nella suddetta ordinanza viene sottolineato che il datore di lavoro si pone “come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica di lavoratori”.

Il Tribunale di Modena ha incluso il coronavirus tra gli agenti biologici per i quali è doverosa la protezione anche negli ambienti di lavoro, in particolare in quello sanitario, anche prima, come nel caso di specie, dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 44 del 2021, che ha fissato l’obbligo di vaccinazione per il personale sanitario.

Con l’ordinanza in commento il Giudice ha ritenuto pienamente legittimo il provvedimento di sospensione senza retribuzione adottato dal datore di lavoro operante nella RSA, impugnato con ricorso delle due addette no-vax con mansioni sanitarie.

In conclusione, va sottolineato che il Giudice non ha affermato che il datore di lavoro può obbligare i lavoratori no-vax a vaccinarsi; invece, ha stabilito che, in base alle norme di legge vigenti, al datore di lavoro è consentito di procedere con la sospensione del dipendente che si oppone alla somministrazione del vaccino.

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47. Il datore di lavoro può chiedere l’esibizione del Green Pass?

Dall’1 luglio 2021 è entrato in vigore nell’Unione Europea il Regolamento europeo n. 2021/953 relativo al c.d. “Green Pass europeo”.

L’art. 13 del DPCM del 17 giugno 2021 stabilisce che la verifica del c.d. “Green Pass” è consentita ai seguenti soggetti:

  • i pubblici ufficiali nell’esercizio delle relative funzioni;
  • il personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o nei pubblici esercizi;
  • i titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali è prescritto il possesso del Green Pass;
  • il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività per partecipare ai quali è prescritto il possesso del Green Pass;
  • i vettori aerei, marittimi e terrestri;
  • i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio assistenziali per l’accesso alle quali, in qualità di visitatori, è prescritto il possesso del Green Pass.

Pertanto, il datore di lavoro, non essendo menzionato tra i soggetti legittimati, non può chiedere ai suoi dipendenti l’esibizione del Green Pass, anche considerando che la finalità del Regolamento europeo n. 2021/953 è quella di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione.

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46. I fatti tipizzati nel CCNL non esauriscono le ipotesi di licenziamento

Con ordinanza n. 14777 del 27 maggio 2021 la Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alla Sezione lavoro la decisione in merito alla tutela applicabile nel caso di un licenziamento disciplinare ritenuto sproporzionato rispetto a una condotta che non risultava specificatamente elencata dal CCNL applicato tra quelle punibili con sanzione conservativa.

Infatti la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione ha criticato alla luce dei principi di uguaglianza e ragionevolezza la tesi dominante espressa negli ultimi anni secondo cui il licenziamento disciplinare illegittimo è soggetto a tutela reintegratoria (fatta salva l’ipotesi dell’insussistenza del fatto) solo nel caso in cui il contratto collettivo tipizza la condotta inadempiente e la riconduce ad una sanzione conservativa.

In particolare, l’art. 18, 4° e 5° comma, dello Statuto dei Lavoratori (nella versione modificata dalla c.d. legge Fornero) prevede, in caso di licenziamento disciplinare ingiustificato, una duplice possibile tutela:

  • reintegratoria e indennitaria, se il giudice accerta l’insussistenza del fatto contestato o che questo rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare;
  • meramente indennitaria, negli altri casi.

Il più recente orientamento della Corte riduce l’ambito della previsione delle “condotte punibili con una sanzione conservativa” alle sole ipotesi in cui il contratto collettivo o il codice disciplinare del datore di lavoro abbiano tipizzato i casi punibili con la sanzione conservativa, delineandone tutti gli elementi costitutivi.

La Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione (che è quella a cui è demandata la pronuncia su questioni sulle quali la Corte si è ormai pronunciata in maniera uniforme, ma che può dissentirne, rimettendo la questione alla Sezione lavoro), investita del giudizio che verte sulle conseguenze di un licenziamento per giusta causa, ha rilevato l’irrazionalità del suddetto recente orientamento, in ragione del fatto che i contratti collettivi solo raramente “tipicizzano” le ipotesi disciplinari, utilizzando invece, quanto meno come norma di chiusura, formule generiche (inadempimento lieve e grave, negligenza lieve etc.).

Inoltre, secondo la suddetta Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, i contratti collettivi non decidono se tipizzare o usare formule generiche in funzione della disciplina di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Del resto ciò sarebbe assurdo, quando a redigere il codice disciplinare sia unilateralmente il datore di lavoro.

Infine, secondo la Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, appare discriminatorio trattare diversamente ipotesi tipizzate e altre che hanno, nell’intenzione dei contraenti collettivi o del datore di lavoro, identica rilevanza disciplinare, ma che sono espresse con formule riassuntive e/o generiche.

In conclusione, la Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione ha rimesso alla normale udienza di trattazione in contraddittorio presso la Sezione lavoro la rivalutazione della questione in considerazione dei rilievi sopra esposti.

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45. Deroga al blocco dei licenziamenti

Con sentenza n. 2362 del 12 marzo 2021 il Tribunale di Roma si è pronunciato sulla deroga al divieto di intimazione del licenziamento per cessazione definitiva dell’attività di impresa a seguito del COVID.

In particolare, il suddetto Tribunale ha statuito che il datore di lavoro non può limitarsi a fornire la prova di non svolgere alcuna attività, ma deve provare che l’attività di impresa è cessata in modo definitivo, in conseguenza della messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività.

Nel caso di specie, poiché tale circostanza non si era ancora verificata, risultando dalla visura prodotta che l’impresa non era definitivamente cessata, né cancellata, né messa in liquidazione, pur risultando inattiva, il Tribunale di Roma ha dichiarato la nullità del licenziamento e condannato la società a reintegrare il lavoratore.

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44. Videosorveglianza dei lavoratori e tutela del patrimonio aziendale

Con sentenza n. 3255 del 27 gennaio 2021 la Cassazione Penale ha escluso la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “Statuto dei lavoratori”) in materia di videosorveglianza, quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale.

Nel caso di specie erano stati installati impianti video a seguito del verificarsi di mancanze di merce nel magazzino ed erano rivolti solo verso la cassa e le scaffalature, per cui – sebbene posti sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro – il loro utilizzo non implicava un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o comunque restava necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.

Secondo la sentenza in commento le riprese effettuate con la videosorveglianza possono, quindi, essere legittimamente utilizzate nel processo penale eventualmente instauratosi a carico dell’autore delle condotte illecite ai danni dell’azienda.

In buona sostanza, secondo la Suprema Corte, la preventiva autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro o l’accordo con le rappresentanze sindacali sono necessari solo quando dall’attività di videosorveglianza derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti e della loro prestazione lavorativa, mentre quando le riprese interne siano finalizzate alla raccolta di prove dell’illecita condotta di taluno dei dipendenti ai danni dell’impresa non sono richieste le autorizzazioni previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

 

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43. Privacy e obbligo di vaccinazione contro il COVID-19

Il datore di lavoro può chiedere ai propri dipendenti di vaccinarsi contro il COVID per accedere ai luoghi di lavoro e per svolgere determinate mansioni, ad esempio in ambito sanitario? Può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati? O chiedere conferma della vaccinazione direttamente ai lavoratori?

A queste domande ha risposto il Garante per la privacy il 17 febbraio 2021 con alcune FAQ pubblicate sul proprio sito internet.

L’intento dell’Autorità è stato quello di fornire indicazioni utili ad imprese, enti e amministrazioni pubbliche affinché possano applicare correttamente la disciplina sulla protezione dei dati personali nel contesto emergenziale, anche al fine di prevenire possibili trattamenti illeciti di dati personali e di evitare inutili costi di gestione o possibili effetti discriminatori.

In particolare, nelle suddette FAQ il Garante per la privacy ha chiarito che:

  • il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali, posto che il consenso del dipendente non può costituire, in questi casi, una condizione di liceità del trattamento dei dati, essendo ciò non consentito né dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro né dalle disposizioni sull’emergenza sanitaria;
  • il datore di lavoro può, invece, acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica redatti dal medico competente;
  • nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario, si applicano le disposizioni vigenti sulle “misure speciali di protezione” previste per tali ambienti lavorativi (art. 279 del D.lgs. n. 81/2008 – Testo unico sulla sicurezza e salute sul  lavoro). Anche in questi casi – in attesa di un intervento del legislatore nazionale che eventualmente imponga la vaccinazione anti COVID-19 quale condizione per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni – solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario e il contesto lavorativo, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti. Il datore di lavoro deve quindi limitarsi ad attuare, sul piano organizzativo, le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità.

 

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