Autore: FTA

6. Le provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto

Le provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto

L’art. 1748, III comma, c.c., riconosce all’agente il diritto alle provvigioni sugli affari conclusi dalla preponente dopo la cessazione del contratto (c.d. provvigioni postume) in due ipotesi:

  • se la proposta è pervenuta all’agente o alla preponente prima della fine del contratto;
  • se gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dopo lo scioglimento del contratto e la conclusione dell’affare è da attribuirsi prevalentemente all’attività svolta dall’agente.

Il concetto della ragionevolezza del termine di cui all’art. 1748, III comma, c.c. ha dato luogo a diversi problemi interpretativi, che sono stati risolti dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. A.E.C.), attraverso la fissazione di un termine preciso in sostituzione della generica previsione “termine ragionevole” contenuta nel suddetto art. 1748 c.c.

In particolare, sia l’A.E.C. commercio 16/2/2009 (art. 5), sia l’A.E.C. industria 30/7/2014 (art. 6) hanno stabilito un termine di sei mesi dalla data di cessazione del contratto, decorso il quale l’affare non può ritenersi attribuibile all’agente, con la conseguenza che quest’ultimo non ha diritto alle relative provvigioni.

Ad ogni modo, per richiedere il pagamento delle provvigioni in questione, è necessario che l’agente abbia consegnato alla preponente una relazione dettagliata con gli affari in corso al termine del rapporto.

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5. Il problema della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia

La disciplina dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia risente in maniera significativa dei problemi di sovrapposizione tra codice civile e accordi economici collettivi (A.E.C.).

Infatti, a seguito dei decreti legislativi di attuazione della direttiva 86/653, il testo dell’art. 1751 c.c. è stato completamente modificato, venendo meno la correlazione in precedenza esistente tra codice civile e accordi economici collettivi, ai quali l’art. 1751 c.c. in passato effettuava un espresso rinvio.

Il nuovo testo dell’art. 1751 c.c. non contiene più alcun rinvio agli accordi economici collettivi, che però continuano a prevedere in proposito una disciplina specifica, determinando così non pochi problemi di coordinamento.

Dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale sul tema in esame, è intervenuta la Corte di Giustizia che, con una sentenza del marzo 2006, ha stabilito la sostanziale non conformità degli accordi economici collettivi (in particolare quelli del 1992) con il testo della direttiva 86/653.

Conseguenza diretta della suddetta sentenza della Corte di Giustizia avrebbe dovuto essere la declaratoria di inefficacia delle disposizioni contenute negli accordi economici collettivi, che riguardano la quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia.

Tuttavia in Italia sono seguite due sentenze della Corte di Cassazione dell’ottobre 2006, confermate poi da numerose pronunce successive, secondo cui i criteri di calcolo indicati negli accordi economici collettivi costituirebbero una sorta di minimo garantito per l’agente.

In altri termini, mentre sino al marzo 2006 i criteri degli accordi economici collettivi erano ritenuti maggioritari come un valido e generale metodo di calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, l’attuale posizione della giurisprudenza della Cassazione considera gli accordi economici collettivi come un mero trattamento minimo, salva la facoltà dell’agente di richiedere, laddove più favorevole, il diverso trattamento previsto dall’art. 1751 c.c.

Da un punto di vista operativo ne consegue che attualmente, quando cessa un contratto di agenzia, è possibile quantificare l’indennità di cessazione del rapporto dovuta all’agente in una “forbice” compresa tra un limite minimo, calcolato secondo gli accordi economici collettivi, e un limite massimo calcolato in applicazione dell’unica indicazione fornita dall’art. 1751 c.c., ossia un’annualità di retribuzioni calcolate sulla media delle somme percepite dall’agente negli ultimi cinque anni di durata del contratto oppure calcolate sulla media delle somme percepite dall’agente nel corso dell’intero rapporto, se esso è stato di durata inferiore ai cinque anni.

Peraltro spesso tale “forbice” è molto ampia, in quanto nella prassi la differenza tra il limite minimo e il limite massimo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia consiste in un importo rilevante.

Questa situazione di incertezza può determinare, in sede stragiudiziale, difficoltà per le parti ad individuare soluzioni transattive ragionevoli e, in sede giudiziale, quantificazioni diverse da parte dei giudici in casi simili.

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4. Le provvigioni indirette

Le provvigioni indirette

L’art. 1748, II comma, c.c. prevede il diritto dell’agente al riconoscimento delle c.d. provvigioni indirette, ossia le provvigioni anche per gli affari conclusi direttamente dalla preponente con clienti che l’agente aveva precedentemente acquisito per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o categoria o gruppo di clienti riservati all’agente. E’ comunque consentito alla parti di derogare alla predetta disposizione, accordandosi diversamente nel singolo contratto di agenzia.

In altri termini, salvo espresso accordo contrario, l’agente ha diritto alle c.d. provvigioni indirette anche per quegli affari che la preponente ha concluso direttamente con clienti appartenenti alla zona dell’agente o che lo stesso ha in precedenza acquisito per affari dello stesso tipo.

Secondo la giurisprudenza per il riconoscimento in favore dell’agente delle c.d. provvigioni indirette devono coesistere i due seguenti presupposti:

  • esclusiva di zona in favore dell’agente;
  • espletamento da parte dell’agente di una seppur minima attività promozionale, predisponendo un’organizzazione o svolgendo un’attività quantomeno informativa nei confronti del cliente, da cui scaturisca la conclusione del contratto.

Pertanto il diritto dell’agente alle c.d. provvigioni indirette non è da intendersi come una “rendita” derivante dal solo fatto che lo stesso agente beneficia dell’esclusiva di zona.

In buona sostanza, per il riconoscimento di tale diritto in capo all’agente è necessario anche lo svolgimento, diligente ed assiduo, dell’attività promozionale ed informativa da parte dell’agente stesso, in modo tale che gli affari conclusi direttamente dalla preponente siano comunque riconducibili a tale attività.

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3. Restituzione degli anticipi provvigionali

Sia la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. Sez. lavoro 20/3/2015 n. 5715), sia la giurisprudenza di merito (Trib. Monza Sez. lavoro 7/7/2015) sono tornate ad occuparsi del tema della restituzione degli anticipi provvigionali corrisposti agli agenti.

Il contenzioso tra agente e preponente relativamente alla restituzione degli anticipi provvigionali si verifica per lo più al termine del rapporto di agenzia (specie nel caso in cui è l’agente a recedere), quando la preponente ha corrisposto all’agente provvigioni in eccesso rispetto a quelle effettivamente maturate da quest’ultimo e/o in generale rispetto ai crediti di quest’ultimo derivanti a qualsiasi titolo dal rapporto di agenzia.

Come ribadito dalle due sentenze sopra menzionate, che si inseriscono in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in materia, la restituzione in via giudiziale, ai sensi dell’art. 2033 c.c., degli anticipi provvigionali corrisposti in eccesso ad un agente presuppone che:

  • nel contratto di agenzia sia specificato che si tratta di un “anticipo provvigionale soggetto a successivo conguaglio”;
  • nell’oggetto delle fatture sia inserita la dicitura “anticipo provvigionale” e non quella “provvigioni” o quella “minimo garantito”;
  •  l’avvenuto pagamento degli anticipi provvigionali da parte della preponente sia provato in via documentale (ad es. attraverso la produzione in giudizio delle copie delle disposizioni di bonifico);
  • la preponente dimostri in giudizio la mancata maturazione da parte dell’agente del diritto alle provvigioni ricevute.

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2. La Cassazione torna ad occuparsi del patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia

La Cassazione torna ad occuparsi del patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia

Con la sentenza dell’11/6/2015 la Cassazione è tornata ad occuparsi del patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia.

In particolare la Suprema Corte, dopo aver ricostruito l’evoluzione normativa dell’istituto in esame, ha affermato i principi giuridici qui di seguito sintetizzati.

  • Ai sensi dell’art. 1751 bis c.c. il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo la cessazione del rapporto di agenzia deve farsi per iscritto e deve riguardare la medesima zona, clientela e prodotti per i quali era stato concluso il contratto di agenzia. La durata massima del patto in questione è di 2 anni.
  • A partire dall’1/6/2001 il patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di agenzia si applica esclusivamente agli agenti che esercitano la loro attività in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonché, ove previsto dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. A.E.C.), a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali.
  • Dal tenore letterale dell’art. 1751 bis c.c. non si evince che tale norma prescrive contenuti essenziali del patto a pena di nullità, bensì che esso non può eccedere i limiti posti dalla norma medesima a tutela della libertà negoziale dell’agente per il periodo successivo all’estinzione del contratto di agenzia.
  • Se il patto di non concorrenza eccede i limiti previsti dall’art. 1751 bis c.c., esso rimane valido, ma non produce i suoi effetti per la parte eccedente tali limiti.
  • La mancata specificazione nel patto di non concorrenza della zona, della clientela o dei prodotti non può determinare di per sé l’invalidità del patto stesso, salvo il caso in cui tali elementi non sono determinati nel contratto di agenzia o comunque non sono determinabili in via interpretativa.
  • Sono leciti i patti di non concorrenza stipulati prima dell’1/6/2001 (data di entrata in vigore della legge n. 422/2000 che ha reso oneroso il patto in esame), che non prevedono un compenso per l’obbligo di astensione post contrattuale assunto dall’agente.
  • In assenza di una specifica disciplina transitoria predisposta dal legislatore, la legge n. 422/2000 non può trovare applicazione ai patti di non concorrenza stipulati antecedentemente alla sua entrata in vigore, sebbene rispetto ad un rapporto di agenzia cessato successivamente e ad un patto di non concorrenza che non ha ancora avuto esecuzione.

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1. legittimo il recesso per giusta causa della preponente se l’agente utilizza espressioni critiche

È legittimo il recesso per giusta causa della preponente se l’agente utilizza espressioni critiche aventi determinate caratteristiche

Con la sentenza 24/4/2015 il Tribunale di Palermo – Sezione Lavoro ha ritenuto legittimo il recesso per giusta causa intimato da una banca ad un promotore finanziario, che aveva utilizzato nei confronti della preponente espressioni critiche aventi le seguenti caratteristiche:

  • intento di conseguire ingiustificati vantaggi personali per il promotore anche a detrimento degli interessi della banca;
  • modalità tali da generare discredito fuori dall’ambito dei diretti interlocutori del promotore (e cioè i suoi manager), coinvolgendo anche soggetti estranei alla banca.

In particolare il Tribunale di Palermo ha stabilito che quando le critiche di un agente nei confronti della preponente hanno le caratteristiche sopra indicate vengono superati i limiti entro i quali – secondo una precedente sentenza della Cassazione (Cass. n. 12873/2004) – è lecito per un agente manifestare espressioni critiche verso la preponente.

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