Con ordinanza n. 23053 del 23 agosto 2024 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla proporzionalità della sanzione del licenziamento senza preavviso per giusta causa nel caso di un lavoratore, che aveva presentato alla datrice di lavoro alcune note di rimborso spese errate con conseguente rimborso non dovuto pari ad € 365,20.
Nell’ordinanza in commento la Suprema Corte è tornata in particolare a trattare il tema delle conseguenze e delle tutele applicabili in caso di difetto di proporzionalità del licenziamento rispetto al fatto contestato, ribadendo che:
- la valutazione della non proporzionalità rientra tra le ipotesi in cui è possibile applicare la reintegrazione nel posto di lavoro, solo se lo scollamento tra la gravità della condotta e la sanzione adottata emerga da una disposizione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, che preveda per tale fattispecie l’applicazione di una sanzione conservativa;
- in caso contrario la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra sempre nelle “altre ipotesi” in cui non sussistono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, che comportano l’applicazione della tutela indennitaria forte ex art. 18, comma 5°, della legge n. 300 del 1970.
La Corte di Cassazione ha ritenuto, quindi, che in astratto non va esclusa a priori l’esistenza di una giusta causa di licenziamento (giudizio da effettuarsi tenendo presenti la natura e la qualità del rapporto di lavoro, la qualità e il grado del vincolo di fiducia connesso al rapporto di lavoro, l’entità della violazione commessa e l’intensità dell’elemento soggettivo), ma nel caso concreto la sanzione applicata dalla datrice di lavoro alla condotta è sproporzionata rispetto all’entità della violazione commessa dal lavoratore, soprattutto in assenza di un fine illecito collegato alla medesima condotta, dato che nel giudizio di merito non è emersa l’esistenza di un preventivo accordo tra il lavoratore e il direttore, che ha autorizzato il suddetto rimborso spese, tale da fare opinare una collusione volta a frodare l’azienda.
Pertanto, sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha confermato l’illegittimità del licenziamento in questione per difetto di proporzionalità così come stabilito dal Tribunale in sede di opposizione Fornero e dalla Corte di Appello, che – da un lato – hanno dichiarato risolto il rapporto di lavoro respingendo la domanda di reintegrazione del lavoratore, ma – dall’altro lato – hanno condannato la società datrice di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
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