Con ordinanza n. 9258 dell’8 aprile 2025 la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro è tornata a pronunciarsi sul tema dei vizi del patto di non concorrenza post-contrattuale in riferimento al corrispettivo dovuto dal datore di lavoro al dipendente durante il rapporto di lavoro.
La Suprema Corte ha ribadito che, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza post-contrattuale in un rapporto di lavoro subordinato, il corrispettivo dovuto al dipendente per tale patto, essendo un elemento distinto dalla retribuzione, deve innanzitutto possedere i requisiti previsti dall’articolo 1364 Codice civile secondo cui l’oggetto di un contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile.
Inoltre, se il corrispettivo per il patto di non concorrenza post-contrattuale è determinato o determinabile, va verificato ai sensi dell’articolo 2125 codice civile che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno.
Nello specifico l’articolo 2125 codice civile stabilisce che il patto, con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto è nullo:
- se non risulta da atto scritto;
- se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro;
- se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere:
- superiore a cinque anni se si tratta di dirigenti;
- superiore a tre anni negli altri casi;
- se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nelle misure sopra indicate.
Infine, l’ordinanza in commento ha ribadito che la verifica sull’eventuale sproporzione economica del compenso pattuito per il patto di non concorrenza post-contrattuale va fatta in particolare con riferimento al sacrificio successivo alla cessazione del contratto richiesto al lavoratore dipendente e alla riduzione delle capacità di guadagno dello stesso lavoratore indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto al lavoratore rappresenti per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, pena la nullità dell’intero patto di concorrenza post-contrattuale.
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