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92. Legittimo il licenziamento del dipendente infedele

Con sentenza n. 28365 del 27 ottobre 2025 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità del licenziamento del dipendente che risulti infedele a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro sul personal computer del lavoratore, ritenendo valida l’informativa fornita dall’azienda sulla possibilità di effettuare controlli in caso di rilevate anomalie.

La vicenda in questione scaturisce dal licenziamento per giusta causa intimato da un’azienda a un lavoratore dopo avergli contestato l’uso improprio dei sistemi informatici aziendali.

Nel caso di specie, il lavoratore aveva utilizzato in modo improprio i sistemi informatici aziendali, compiendo accessi non autorizzati e diffondendo dati riservati.

A seguito dell’impugnazione di tale licenziamento da parte del lavoratore, che eccepiva di non aver ricevuto un’adeguata informativa da parte dell’azienda, il Tribunale aveva parzialmente accolto il ricorso del dipendente, che poi veniva integralmente respinto dalla Corte d’Appello confermando la legittimità del licenziamento.

La Corte d’Appello ha ritenuto che i reiterati comportamenti del lavoratore compiuti in violazione della policy interna erano tali da compromettere la fiducia datoriale.

Contro la decisione della Corte territoriale il lavoratore ha proposto ricorso davanti alla Corte di Cassazione, adducendo motivi di impugnazione che vanno dalla contestazione della proprietà del notebook alla presunta violazione della normativa privacy, con conseguente richiesta di accertamento dell’illegittimità e/o sproporzione del licenziamento per giusta causa in questione.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso in cassazione, confermando:

  • la legittimità dei controlli informatici effettuati dal datore di lavoro sui dispositivi aziendali assegnati al dipendente in conformità all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e al Regolamento UE 2016/679 (GDPR), dato che il dispositivo era di proprietà dell’impresa e, tramite policy interna, il lavoratore era stato informato in modo preventivo, chiaro e inequivoco della possibilità di verifiche in presenza di anomalie e circa le modalità, le finalità e i limiti di tale attività di verifica;
  • la qualificazione delle condotte contestate come idonee a ledere in modo irreparabile ai sensi e per gli effetti dell’art. 2119 del codice civile il vincolo fiduciario alla base di un rapporto di lavoro subordinato.

In buona sostanza, la Suprema Corte ha ritenuto che l’informativa sulla policy interna dei controlli in caso di anomalie rispettasse i requisiti di chiarezza e proporzionalità imposti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali, configurando un’attività da parte dell’azienda lecita e conforme ai principi di correttezza, necessità e minimizzazione del trattamento dei dati, per cui ha confermato il licenziamento per giusta causa del dipendente risultato infedele a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro sul personal computer assegnato al lavoratore.

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22. Quando sussiste l’abuso di dipendenza economica nel contratto di distribuzione commerciale

Con la sentenza n. 1644 del 1° ottobre 2025 la Corte d’Appello di Bologna ha fornito un importante contributo interpretativo in materia di abuso di dipendenza economica nel contratto di distribuzione commerciale (o contratto di concessione di vendita), chiarendo l’ambito applicativo dell’art. 9 della legge 192/1998.

La controversia da cui trae origine la suddetta sentenza riguardava un contratto di distribuzione commerciale tra una società produttrice di software e un distributore in cui quest’ultimo lamentava la presenza di clausole vessatorie nel contratto e l’illegittimità della disdetta contrattuale ricevuta, sostenendo l’esistenza di un abuso di dipendenza economica.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Bologna ha escluso la sussistenza dei presupposti di un abuso di dipendenza economica affermando che tale abuso si configura solo quando sussistono entrambi i seguenti elementi:

  • dipendenza economica qualificata, e cioè un effettivo squilibrio che impedisca al soggetto debole di reperire alternative sul mercato, anche per effetto degli investimenti specificamente dedicati al rapporto;
  • condotta abusiva intenzionale, ossia una condotta caratterizzata da un uso distorto del potere contrattuale per fini estranei alla normale attività commerciale.

Inoltre, nel caso in questione la Corte adita ha pure escluso l’abusività di alcune clausole del contratto di distribuzione sottoposto al suo vaglio, tra cui:

  • la clausola sugli obblighi di struttura adeguata, ritenendola funzionale a garantire una corretta distribuzione;
  • la clausola sul subentro automatico nei contratti, considerandola coerente con la logica distributiva;
  • la clausola sul patto di non concorrenza, reputandola giustificata da esigenze di sicurezza commerciale.

In buona sostanza, la sentenza in esame ha ribadito che non ogni situazione di dipendenza economica è vietata dalla legge, ma solo quella abusivamente sfruttata.

La decisione della Corte d’Appello di Bologna si inserisce, quindi, nel solco di un orientamento volto a bilanciare la tutela del contraente debole con la libertà di iniziativa economica, richiedendo una prova concreta dell’abuso.

 

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117. Recesso per giusta causa nel contratto di agenzia e onere della prova

Con sentenza n. 284 del 10 novembre 2025 il Tribunale di Como si è pronunciato in particolare sul tema dell’onere della prova in caso di recesso per giusta causa da un contratto di agenzia.

In particolare, nella sentenza in commento il Tribunale di Como ha stabilito che:

  • secondo la più recente giurisprudenza l’articolo 2119 codice civile, che prevede il recesso per giusta causa nel contratto di lavoro subordinato, è applicabile per analogia anche al contratto di agenzia a tempo indeterminato (in quanto contratto di durata caratterizzato da un intenso vincolo di collaborazione con obbligo reciproco di lealtà tra le parti), per cui solo in presenza di una giusta causa (cioè di un inadempimento della controparte di gravità tale da rendere intollerabile la prosecuzione anche temporanea del rapporto) è consentito alla parte adempiente intimare il recesso per giusta causa con effetto immediato e quindi in tal caso non è dovuto al contraente inadempiente il termine di preavviso di cui all’art. 1750 codice civile;
  • in base agli articoli 2697 codice civile e 24 Costituzione nonché al principio di vicinanza della prova spetta a chi esercita il preteso diritto di recedere per giusta causa allegare e fornire prova della sua sussistenza e quindi dello specifico fatto illecito o dell’inadempimento che integra la giusta causa;
  • tale principio dev’essere necessariamente conciliato con la regola dell’inversione dell’onere della prova stabilita in via generale dall’articolo 1218 codice civile, con la conseguenza che, se il recesso si basa su un inadempimento contrattuale dell’agente, l’onere della prova (dell’inadempimento, che è un fatto negativo) consiste nell’allegazione e prova della fonte legale o negoziale dell’obbligazione che si assume inadempiuta grava sulla preponente;
  • spetta poi all’agente, asseritamente inadempiente, allegare e provare di avere esattamente adempiuto ovvero altri fatti che rendano l’inadempimento non imputabile;
  • la mancanza dei presupposti richiesti per la giusta causa di recesso comporta la sua conversione in un recesso senza preavviso, che determina il ripristino del diritto della controparte a percepire le previste indennità e l’eventuale risarcimento del danno ulteriore.

 

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21. Distribuzione commerciale: indicazioni pratiche dalla giurisprudenza in assenza di contratto scritto

Con sentenza n. 2296 del 23 luglio 2025 la Corte d’Appello di Milano si è occupata di un rapporto di distribuzione commerciale a tempo indeterminato privo di disciplina pattizia scritta, prendendo posizione sui seguenti aspetti dei contratti di distribuzione commerciale.

  • Recesso ad nutum: nei contratti di distribuzione commerciale a tempo indeterminato privi di disciplina scritta, il recesso ad nutum è legittimo purché sia concesso un preavviso congruo, la cui durata deve essere valutata in relazione alla durata del rapporto, alle caratteristiche dell’attività svolta e alle capacità organizzative del distributore, senza che rilevi la mancanza di proiezione futura delle vendite già programmate alla data del recesso.
  • Esclusiva territoriale e vendita on line: il patto di esclusiva territoriale deve essere interpretato restrittivamente e, se stipulato in epoca anteriore allo sviluppo del commercio elettronico, non si estende automaticamente alle vendite online. Di conseguenza, è necessaria una pattuizione espressa per includere le vendite online nell’ambito dell’esclusiva del contratto di distribuzione commerciale.
  • Indennità di fine rapporto: la disciplina dell’indennità di fine rapporto prevista dall’art. 1751 codice civile per gli agenti di commercio non si applica in via analogica ai contratti di distribuzione commerciale, attesa la diversa struttura e funzione economico-sociale di tali rapporti caratterizzati dal corrispettivo costituito dal margine di rivendita anziché dalla provvigione.
  • Danno all’immagine e alla reputazione commerciale: il danno all’immagine e alla reputazione commerciale non può ritenersi in re ipsa. Occorre da parte del danneggiato una prova concreta del pregiudizio effettivamente subito in termini di perdita di clientela e di riduzione di fatturato o discredito professionale, posto che la mera allegazione o la richiesta di liquidazione equitativa non sono sufficienti.
  • Premi e incentivi commerciali: i premi di produzione o incentivi commerciali, in mancanza di specifica regolamentazione contrattuale che ne definisca presupposti e modalità di calcolo, rimangono rimessi alle valutazioni discrezionali del concedente, senza che i versamenti riferiti ad annualità pregresse possano configurare obbligo di corresponsione per periodi successivi.
  • Obblighi promozionali e inadempimento: l’inadempimento contrattuale per violazione di obblighi promozionali non è configurabile in assenza di disciplina pattizia specifica che definisca gli obblighi del distributore e gli obiettivi di vendita da raggiungere, non essendo sufficienti mere indicazioni di obiettivi auspicabili contenute in corrispondenza commerciale.

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91. Intelligenza artificiale e lavoro

Il 10 ottobre 2025 è entrata in vigore la legge sull’intelligenza artificiale, legge 23 settembre 2025 n. 132 recante “Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 223 del 25 settembre 2025.

Tale legge è costituita da 28 articoli, che trattano svariati temi e consolidano principi normativi già acquisiti, introducendo alcune disposizioni innovative su sanità, opere dell’ingegno e c.d. deepfake.

In materia di lavoro sono da segnalare i seguenti articoli:

Art. 11. Disposizioni sull’uso dell’intelligenza artificiale in materia di lavoro

  1. L’intelligenza artificiale è impiegata per migliorare le condizioni di lavoro, tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori, accrescere la qualità delle prestazioni lavorative e la produttività delle persone in conformità al diritto dell’Unione europea.
  2. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito lavorativo deve essere sicuro, affidabile, trasparente e non può svolgersi in contrasto con la dignità umana né violare la riservatezza dei dati personali. Il datore di lavoro o il committente è tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei casi e con le modalità di cui all’articolo 1-bis del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152.
  3. L’intelligenza artificiale nell’organizzazione e nella gestione del rapporto di lavoro garantisce l’osservanza dei diritti inviolabili del lavoratore senza discriminazioni in funzione del sesso, dell’età, delle origini etniche, del credo religioso, dell’orientamento sessuale, delle opinioni politiche e delle condizioni personali, sociali ed economiche, in conformità al diritto dell’Unione europea.

Art. 12. Osservatorio sull’adozione di sistemi di intelligenza artificiale nel mondo del lavoro

  1. Al fine di massimizzare i benefici e contenere i rischi derivanti dall’impiego di sistemi di intelligenza artificiale in ambito lavorativo, è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali l’Osservatorio sull’adozione di sistemi di intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, con il compito di definire una strategia sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito lavorativo, monitorare l’impatto sul mercato del lavoro e identificare i settori lavorativi maggiormente interessati dall’avvento dell’intelligenza artificiale. L’Osservatorio promuove la formazione dei lavoratori e dei datori di lavoro in materia di intelligenza artificiale.
  2. L’Osservatorio è presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali o da un suo rappresentante. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i componenti, le modalità di funzionamento, nonché gli ulteriori compiti e funzioni dell’Osservatorio medesimo. Ai componenti dell’Osservatorio non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
  3. All’istituzione e al funzionamento dell’Osservatorio si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

In particolare, secondo il suddetto art. 11 della legge n. 132 del 23 settembre 2025 il datore di lavoro dovrà:

  • informare i lavoratori in modo chiaro e comprensibile quando un’attività è svolta o controllata da un sistema di IA e cioè su: (i) quali attività sono gestite o supportate da sistemi intelligenti, (ii) quali dati vengono raccolti e con quali finalità, (iii) come vengono garantiti i principi di trasparenza, privacy e sicurezza;
  • garantire che i sistemi utilizzati siano affidabili, verificabili e sotto controllo umano;
  • vigilare affinché l’IA non introduca rischi aggiuntivi, come errori di analisi, discriminazioni o interpretazioni errate dei dati;
  • documentare le misure di sicurezza adottate e mantenere la tracciabilità delle decisioni automatizzate.

I decreti attuativi di tale legge, che dovranno essere emanati entro dodici mesi, disciplineranno gli aspetti più operativi, come per l’appunto in materia di lavoro: (i) le modalità di informazione ai lavoratori, (ii) la definizione dei livelli di rischio associati ai diversi sistemi di IA, (iii) i protocolli di verifica e validazione dei software intelligenti.

Nel frattempo, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in commento dovrà essere istituito presso il Ministero del Lavoro l’Osservatorio nazionale sull’intelligenza artificiale nel lavoro, previsto dal suddetto art. 12 della legge n. 132 del 23 settembre 2025, che avrà il compito di monitorare l’impatto delle tecnologie intelligenti sull’organizzazione del lavoro e sulla salute dei lavoratori.

 

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116. Contratto di agenzia: quando l’agente non ha diritto alle provvigioni

Con sentenza n. 434 del 17 settembre 2025 la Corte d’Appello di Bologna – Sezione Lavoro si è pronunciata sul tema delle provvigioni indirette e delle differenze provvigionali richieste da un agente dopo la cessazione del rapporto.

Nel caso che ha dato origine alla suddetta sentenza l’agente aveva convenuto in giudizio la preponente per richiedere, tra l’altro, il pagamento delle provvigioni indirette per affari conclusi direttamente dalla preponente con un cliente specifico, oltre che il pagamento di differenze provvigionali per una presunta riduzione unilaterale in corso di rapporto delle aliquote provvigionali dal 5% al 3%.

Con la sentenza in esame la Corte adita ha rigettato entrambe le richieste dell’agente rilevando che:

  • senza esclusiva di zona, l’agente non ha diritto alle provvigioni per gli affari conclusi direttamente dal preponente. Tale principio trova fondamento nell’art. 1748, comma 2, codice civile secondo cui: “la provvigione è dovuta anche per gli affari conclusi dal preponente con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente”;
  • il silenzio prolungato dell’agente e i comportamenti dello stesso agente valgono come accettazione tacita delle modifiche unilaterali. In particolare, la Corte ha evidenziato che: (i) la prima contestazione dell’agente era pervenuta oltre 30 mesi dopo la modifica unilaterale dell’aliquota provvigionale, (ii) nel frattempo, l’agente aveva continuato ad emettere fatture per importi corrispondenti alle nuove aliquote provvigionali, (iii) il contratto di agenzia prevedeva che le contestazioni dovevano essere fatte per iscritto entro 30 giorni dal ricevimento dell’estratto conto provvigionale.

 

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115. Contratto di agenzia: quando si realizza la violazione del patto di non concorrenza

Con sentenza n. 3555 del 10 luglio 2025 il Tribunale di Venezia si è pronunciato sul tema della violazione del patto di non concorrenza da parte di un agente di commercio.

Nel caso che ha dato origine alla suddetta sentenza l’agente aveva stipulato un nuovo contratto di agenzia con un’azienda diversa per la vendita di piatti doccia in ceramica, mentre il precedente contratto di agenzia riguardava piatti doccia in resina.

L’agente considerava i prodotti come differenti, poiché riteneva che la diversa natura del materiale comportasse una distinzione sostanziale tra le due tipologie di piatti doccia, tale da non configurare una reale concorrenza tra le aziende rappresentate.

Pertanto, l’agente aveva comunicato telefonicamente il nuovo incarico alla preponente, ritenendo sufficiente tale modalità, sebbene il contratto prevedesse esplicitamente l’obbligo di una comunicazione scritta per qualsiasi nuovo incarico di agenzia in concorrenza.

Con la sentenza in esame il Tribunale di Venezia ha ritenuto che l’agente avesse violato il patto di non concorrenza rilevando che:

  • la concorrenza sussiste anche quando i prodotti hanno caratteristiche diverse (ad esempio ceramica e resina), ma appartengono allo stesso settore merceologico;
  • la comunicazione telefonica non basta quando il contratto richiede espressamente la forma scritta;
  • la clausola risolutiva è valida e non viola l’art. 1355 del codice civile;
  • l’agente non ha diritto ad ottenere l’indennità di fine rapporto e l’indennità sostituiva del preavviso, in quanto in base all’art. 1751, 2° comma, del codice civile tali indennità non sono dovute quando il contratto di agenzia si risolve per inadempimento dell’agente.

 

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20. Quando è legittima la risoluzione di un contratto di distribuzione?

Con sentenza n. 2932 del 16 giugno 2025 il Tribunale di Torino si è pronunciato sul tema della risoluzione di un contratto di distribuzione commerciale, chiarendo quando il produttore può legittimamente risolvere il contratto per inadempimento del distributore.

Il caso sottoposto al Tribunale di Torino riguardava un contratto di distribuzione in esclusiva per prodotti cosmetici nel mercato mediorientale. Dopo anni di collaborazione apparentemente proficua, il produttore ha risolto il contratto contestando al distributore due violazioni specifiche:

  • il mancato pagamento di una fattura scaduta da oltre 15 giorni;
  • l’utilizzo non autorizzato del marchio aziendale su documenti commerciali.

Con la sentenza in commento il Tribunale adito ha stabilito che la risoluzione del contratto di distribuzione per inadempimento ex art. 1456 codice civile è legittima quando il distributore violi specifiche clausole contrattuali espressamente previste come causa di risoluzione immediata, anche in presenza di inadempimenti reciproci delle parti.

In particolare, il Tribunale di Torino ha osservato che: 

  • quando il contratto prevede termini specifici per i pagamenti e clausole di risoluzione automatica per ritardi superiori a 15 giorni, il mancato rispetto di tali scadenze giustifica la risoluzione anche se l’importo rappresenta solo una frazione del fatturato complessivo;
  • l’utilizzo di domini internet contenenti i marchi del produttore, anche solo su documenti commerciali come note di debito, viola le clausole contrattuali di tutela della proprietà intellettuale quando avviene senza autorizzazione;
  • il distributore non può paralizzare la risoluzione invocando inadempimenti del produttore verificatisi successivamente alla scadenza dei propri obblighi contrattuali;
  • alla cessazione del contratto di distribuzione il distributore deve cessare immediatamente ogni utilizzo dei marchi del produttore, anche sui social media, pena l’applicazione di una penale giornaliera. Tuttavia, in caso di non immediata cessazione di utilizzo dei marchi del produttore sui social media da parte del distributore, per ottenere il risarcimento del danno ulteriore il produttore deve dimostrare il pregiudizio economico effettivamente subito, non essendo sufficiente la mera prova dell’uso non autorizzato.

 

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90. Onere probatorio in caso di infortunio sul luogo di lavoro

Con ordinanza n. 21714 del 28 luglio 2025 la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro si è pronunciata sul tema della responsabilità per un infortunio sul luogo di lavoro, enunciando il seguente principio in materia di onere probatorio:

  • sul lavoratore incombe l’onere di provare di avere subito un danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi;
  • sul datore di lavoro grava l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire l’evento lesivo.

In particolare, in caso di incidente sul lavoro le misure adottate dal datore di lavoro vengono sottoposte al giudizio del Giudice, che deve:

  • valutare se le misure di prevenzione del rischio predisposte dal datore di lavoro siano adatte alle condizioni del luogo ove è avvenuto l’incidente, anche considerando la posizione e la dimensione degli oggetti da movimentare eventualmente coinvolti nel sinistro;
  • accertare che il datore di lavoro, se del caso anche per mezzo del suo responsabile del servizio, abbia: (i) vigilato, in concreto, sulla corretta applicazione delle regole di sicurezza ad opera dei lavoratori, non essendo possibile rimettere alla loro discrezionalità ogni valutazione in ordine alla gestione dello spazio a loro disposizione, (ii) garantito la presenza di dispositivi idonei a prevenire i rischi potenziali, (iii) ricevuto segnalazioni dai dipendenti e le abbia trattate adeguatamente.

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114. Nuovo AEC commercio 2025 e indennità meritocratica

Il 1° luglio 2025 è entrato in vigore il nuovo Accordo Economico Collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia nel settore commercio (cosiddetto AEC commercio), che è stato sottoscritto il 4 giugno 2025.

Tra le novità dell’AEC commercio 2025 si segnalano alcune modifiche apportate alla disciplina dell’indennità meritocratica.

In particolare, il nuovo AEC commercio ha modificato i presupposti per il riconoscimento dell’indennità meritocratica e i criteri per la quantificazione di tale indennità.

Riguardo ai presupposti per il riconoscimento dell’indennità meritocratica nell’AEC commercio 2025 viene precisato che i presupposti per ottenere tale indennità sono:

  • l’apporto di nuovi clienti e/o sensibile sviluppo degli affari con i clienti esistenti;
  • l’esistenza di sostanziali vantaggi, che la preponente continua a ricevere dagli affari conclusi con tali clienti, da intendersi come aumento del fatturato.

Riguardo ai criteri per la quantificazione dell’indennità meritocratica nell’AEC commercio 2025 viene previsto che la quantificazione di tale indennità è pari al valore massimo previsto dall’articolo 1751 del codice civile detratto quanto dovuto a titolo di FIRR e di indennità suppletiva di clientela e quindi definitivamente calcolata secondo le diverse ipotesi descritte nelle tabelle allegate al nuovo AEC commercio 2025.

 

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