Tag: lavoro; patto di prova

77. Tutela indennitaria in assenza di un valido patto di prova

Con sentenza n. 497 del 6 novembre 2023 il Tribunale di Vicenza ha riaffermato il principio sulla tipologia di tutela da applicarsi in caso di nullità della clausola che contiene il patto di prova.

La nullità della clausola che contiene il patto di prova determina la automatica conversione dell’assunzione del lavoratore in prova in assunzione definitiva sin dall’inizio, con il conseguente venire meno del regime di libera recedibilità in prova.

Il recesso ad nutum intimato in assenza di valido patto di prova equivale ad un ordinario licenziamento soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo, assoggettato alla regola della tutela indennitaria di cui all’art. 3, comma 1, del D.lgs. n. 23 del 2015.

Tale articolo prevede espressamente che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio del lavoratore, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.

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74. L’oggetto del patto di prova nel contratto di lavoro

Con sentenza n. 8898 del 25 novembre 2023 il Tribunale di Roma ha ribadito che il patto di prova previsto in un contratto di lavoro deve contenere l’indicazione delle specifiche mansioni che ne costituiscono l’oggetto.

Nel caso di specie, a seguito della ricezione della lettera di recesso per mancato superamento del periodo di prova, il lavoratore aveva contestato la validità del patto di prova per mancata specificazione delle mansioni assegnate dalla datrice di lavoro.

Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda del lavoratore, perché la società datrice di lavoro aveva affidato al lavoratore compiti identificati sin dall’inizio del rapporto, anche in ragione del fatto che la mansione assegnata al lavoratore risultava essere un profilo professionale tipizzato nel contratto collettivo nazionale del lavoro di riferimento.

In buona sostanza, con la sentenza in commento il Tribunale di Roma ha ribadito il principio giurisprudenziale in base al quale l’indicazione delle mansioni può essere operata anche con rinvio alle declaratorie del CCNL, purché tale rinvio sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata.

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