Autore: FTA Pagina 3 di 26

89. L’indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia

Con la sentenza n. 3713 del 9 febbraio 2024 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi dell’indennità di fine rapporto di cui all’art. 1751 codice civile.

In particolare, in tale sentenza la Suprema Corte ha stabilito che:

  • l’indennità di fine rapporto prevista dall’art. 1751 codice civile spetta all’agente quando questi abbia procurato nuovi clienti alla preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e la preponente riceva ancora, dopo la cessazione del rapporto, sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
  • la prova della spettanza del diritto all’indennità di fine rapporto compete all’agente, salvi i temperamenti che discendono dal principio di vicinanza alle fonti di prova riguardo ai fatti la cui dimostrazione possa esser data solo dalla preponente;
  • il giudice deve stabilire se l’indennità sia equa in base ad una verifica in concreto, valutando le sole “circostanze del caso”, intendendosi per tali tutti gli elementi, ulteriori e diversi rispetto a quelli costitutivi, che siano idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del “quantum” spettante all’agente;
  • l’importo dell’indennità di fine rapporto non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione;
  • l’art. 17 della direttiva 86/653/CEE del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, non prevede un calcolo da compiere in maniera analitica, ma consente l’utilizzo di metodi di calcolo diversi e, segnatamente, di metodi sintetici, che valorizzino ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima.

 

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77. Tutela indennitaria in assenza di un valido patto di prova

Con sentenza n. 497 del 6 novembre 2023 il Tribunale di Vicenza ha riaffermato il principio sulla tipologia di tutela da applicarsi in caso di nullità della clausola che contiene il patto di prova.

La nullità della clausola che contiene il patto di prova determina la automatica conversione dell’assunzione del lavoratore in prova in assunzione definitiva sin dall’inizio, con il conseguente venire meno del regime di libera recedibilità in prova.

Il recesso ad nutum intimato in assenza di valido patto di prova equivale ad un ordinario licenziamento soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo, assoggettato alla regola della tutela indennitaria di cui all’art. 3, comma 1, del D.lgs. n. 23 del 2015.

Tale articolo prevede espressamente che nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio del lavoratore, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.

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76. L’onere della prova dell’aliunde perceptum

Con ordinanza n. 1533 del 15 gennaio 2024 la Corte di Cassazione ha ribadito il principio che, in caso di licenziamento, l’eccezione del c.d. aliunde perceptum deve essere provata dal datore di lavoro che la sollevi ogni qual volta si discuta del danno da lucro cessante del lavoratore.

Secondo la giurisprudenza l’onere di provare l’aliunde perceptum è a carico del datore di lavoro, sia con riferimento alla sussistenza di un diverso rapporto di lavoro, sia con riferimento all’ammontare dei compensi percepiti.

Pertanto, ai fini dell’aliunde perceptum, si tiene conto di quanto ricevuto dal lavoratore per effetto dello svolgimento di attività lavorativa subordinata o autonoma dopo il licenziamento, purché non si tratti di attività che l’interessato avrebbe svolto ugualmente anche in costanza di rapporto.

 

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88. Le variazioni unilaterali nel contratto di agenzia

Con sentenza n. 324 del 12 gennaio 2024 la Corte d’Appello di Brescia si è pronunciata sul meccanismo delle variazioni unilaterali nel contratto di agenzia.

In particolare, in tale pronuncia la Corte territoriale adita ha stabilito che:

  • non può essere messa in dubbio la validità della norma della contrattazione collettiva che consente alla preponente di apportare una modifica unilaterale del contratto agenzia senza il consenso dell’agente di commercio;
  • la variazione unilaterale del contenuto economico del rapporto di agenzia è stata stabilita in sede di contrattazione collettiva dalle parti sociali, quali portatrici degli interessi contrapposti delle parti del contratto di agenzia. Le parti sociali, infatti, hanno stabilito di comune accordo i limiti e le condizioni in presenza delle quali la variazione non necessita del consenso dell’agente (variazioni di lieve e di media entità) ovvero consente a quest’ultimo di provocare mediante la non accettazione della modifica la risoluzione del contratto per fatto imputabile alla preponente (variazioni di sensibile entità);
  • la giurisprudenza consolidata di legittimità ritiene ammissibili le variazioni del contenuto del contratto di agenzia ad opera della preponente, affermando che l’attribuzione alla stessa del potere di modificare talune clausole, come quelle relative all’ambito territoriale e alla misura delle provvigioni, può essere giustificata dalla necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il corso del tempo, con il limite, peraltro, dell’osservanza dei principi di correttezza e buona fede da parte del titolare di tale potere.

Nel caso specifico oggetto dell’esame della Corte d’Appello di Brescia la variazione comunicata dalla preponente all’agente aveva inciso in misura inferiore al 20% rispetto al totale delle provvigioni complessivamente maturate dallo stesso agente nell’anno precedente, con la conseguenza che non si trattava in concreto di entità tale da risultare contraria ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli articoli 1175 e 1375 codice civile.

Inoltre, nel caso da cui trae origine la sentenza in commento la Corte territoriale adita aveva accertato che:

  • la preponente aveva comunicato all’agente la variazione con un congruo preavviso specificando che la perdita del cliente sarebbe stata operativa dal successivo 10 aprile nel pieno rispetto della previsione dell’AEC secondo la quale le variazioni di “media entità” (quelle incidenti in misura compresa tra il 5 e il 20% delle provvigioni, tra le quali si colloca, per quanto accertato, la variazione legata alla perdita del cliente Alfa possono essere realizzate con un preavviso di almeno due mesi per gli agenti plurimandatari);
  • l’agente, invece, aveva dichiarato di non volere accettare la variazione unilaterale del contratto di agenzia e di non volere proseguire il rapporto dopo il 10 aprile 2017 alle mutate condizioni, determinando così la risoluzione del contratto di agenzia su iniziativa dell’agente medesimo;
  • stante la risoluzione del contratto di agenzia su iniziativa dell’agente, ne consegue non possono essere accolte le domande le domande di riconoscimento dell’indennità sostitutiva del preavviso e delle indennità di fine rapporto (indennità ex art. 1751 codice civile o, in subordine, indennità suppletiva di clientela prevista dagli Accordi Economici Collettivi), in quanto le suddette indennità, per espressa previsione delle relative disposizioni del codice civile e degli Accordi Economici Collettivi non vengono attribuiti all’agente nel caso in cui la risoluzione del contratto sia dovuta a iniziativa dello stesso.

 

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87. Decadenza dal diritto ad ottenere l’indennità di fine rapporto

Con sentenza n. 10809 del 23 novembre 2023 il Tribunale di Napoli si è pronunciato sulla decadenza dell’agente dal diritto ad ottenere l’indennità di fine rapporto.

In particolare, in tale sentenza il Giudice adito ha stabilito che:

  • l’art. 1751, 5° comma, codice civile prevede che l’agente decade dal diritto all’ indennità se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto, omette di comunicare alla preponente l’intenzione di far valere i propri diritti e chiedere il pagamento delle indennità;
  • si tratta di una richiesta che non esige una particolare forma o contenuto, essendo sufficiente la semplice domanda di pagamento delle indennità, senza alcun’altra precisazione. È però opportuno che la comunicazione sia inviata alla preponente a mezzo PEC o a mezzo raccomandata a.r., e ciò al fine di fornire all’agente la prova dell’invio e del ricevimento da parte della preponente della richiesta di pagamento;
  • il termine di decadenza di un anno si applica anche alla richiesta delle indennità previste dagli Accordi Economici Collettivi (FIRR, indennità suppletiva di clientela, indennità meritocratica), che all’art. 13 dell’Accordo Economico Collettivo settore commercio richiama espressamente la disposizione di cui all’art. 1751 codice civile, al fine di darvi piena ed esaustiva applicazione.

La pronuncia in commento è in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale prevalente nella parte in cui statuisce l’applicazione del termine annuale di decadenza di cui all’art. 1751, 5° comma, codice civile anche alle indennità previste dagli Accordi Economici Collettivi (e cioè FIRR, indennità suppletiva di clientela, indennità meritocratica), in quanto tali indennità sono soggette al termine di prescrizione di dieci anni.

 

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75. Da quando decorre il termine per le sanzioni disciplinari?

Con la sentenza n. 378 del 20 novembre 2023 il Tribunale di Alessandria Sezione lavoro ha precisato il giorno di decorrenza del termine per emettere il provvedimento disciplinare da parte del datore di lavoro.

Se la disposizione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro in tema di sanzioni disciplinari prevede che la misura sanzionatoria debba essere adottata dal datore di lavoro “entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore … per presentare le sue controdeduzioni”, tale disposizione deve essere correttamente intesa nel senso che il “dies a quo” di decorrenza del termine per il provvedimento disciplinare vada collocato:

  • allo scadere dei 5 giorni previsti dall’art. 7, comma 5, dello Statuto dei lavoratori per le sanzioni superiori al rimprovero verbale; ovvero
  • allo scadere del diverso e maggior termine concesso dal datore di lavoro al lavoratore per potersi adeguatamente difendere, anche con l’intervento di un rappresentante sindacale.

In buona sostanza, in tema di sanzioni disciplinari il termine di 5 giorni indicato dall’art. 7, comma 5, dello Statuto dei lavoratori per l’adozione di sanzioni più gravi rispetto al rimprovero verbale, decorrente dalla contestazione del fatto per iscritto, va inteso come termine minimo che deve intercorrere tra la contestazione e la decisione, tenuto anche conto del diritto del lavoratore a presentare le proprie difese o a essere ascoltato.

Pertanto, nel caso di specie, nel confermare in sede di opposizione l’ordinanza che aveva dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato alla lavoratrice ricorrente, il Tribunale adito ha tenuto conto dell’accordo di differimento dell’audizione intervenuto tra datore di lavoro e il delegato sindacale ed ha ritenuto rispettato il termine di 15 giorni previsto dal CCNL, facendolo decorrere dalla data dell’audizione in cui la lavoratrice medesima aveva potuto esporre verbalmente, assistita dall’organizzazione sindacale, le proprie tesi difensive.

 

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74. L’oggetto del patto di prova nel contratto di lavoro

Con sentenza n. 8898 del 25 novembre 2023 il Tribunale di Roma ha ribadito che il patto di prova previsto in un contratto di lavoro deve contenere l’indicazione delle specifiche mansioni che ne costituiscono l’oggetto.

Nel caso di specie, a seguito della ricezione della lettera di recesso per mancato superamento del periodo di prova, il lavoratore aveva contestato la validità del patto di prova per mancata specificazione delle mansioni assegnate dalla datrice di lavoro.

Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda del lavoratore, perché la società datrice di lavoro aveva affidato al lavoratore compiti identificati sin dall’inizio del rapporto, anche in ragione del fatto che la mansione assegnata al lavoratore risultava essere un profilo professionale tipizzato nel contratto collettivo nazionale del lavoro di riferimento.

In buona sostanza, con la sentenza in commento il Tribunale di Roma ha ribadito il principio giurisprudenziale in base al quale l’indicazione delle mansioni può essere operata anche con rinvio alle declaratorie del CCNL, purché tale rinvio sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata.

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86. Esibizione delle scritture contabili per ottenere le provvigioni indirette

Con sentenza n. 34690 del 12 dicembre 2023 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla richiesta di esibizione delle scritture contabili della preponente formulata in giudizio dall’agente per ottenere il pagamento delle provvigioni indirette.

In particolare, in tale sentenza la Suprema Corte ha stabilito che:

  • il diritto ad ottenere l’esibizione delle scritture contabili della preponente sussiste anche nel caso in cui l’agente chiede il pagamento delle provvigioni c.d. indirette;
  • il diritto alle provvigioni c.d. indirette compete in ogni caso di intervento della preponente nella zona di esclusiva riservata all’agente;
  • se la preponente non fornisce all’agente la necessaria documentazione contabile degli affari che sono stati conclusi dalla preponente nella zona di esclusiva dell’agente durante il rapporto, in sede giudiziale l’agente può chiedere l’esibizione della contabilità della preponente per fornire la prova delle provvigioni indirette a lui spettanti.

In buona sostanza, con la pronuncia in esame la Cassazione ha stabilito che l’agente ha diritto ad ottenere l’esibizione delle scritture contabili della preponente anche quando richiede il pagamento delle provvigioni indirette.

 

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23. Eccezione di decadenza ex art. 1751 c.c. in un contratto internazionale di agenzia

Con sentenza n. 364 del 12 ottobre 2023 il Tribunale di Treviso – Sezione Lavoro si è pronunciato su un contratto di agenzia internazionale tra un agente austriaco e una preponente italiana.

Tale sentenza trae origine da un recesso ordinario effettuato dall’azienda italiana con concessione parziale del periodo di preavviso dovuto.

Dopo la cessazione del rapporto di agenzia, l’agente austriaco inviava alla preponente italiana una lettera avanzando la richiesta di “Ausgleichsanprunch”, non quantificando tale richiesta.

L’agente austriaco conveniva in giudizio la preponente italiana dinanzi al Tribunale di Treviso, posto che il contratto internazionale di agenzia prevedeva come legge applicabile quella italiana e come foro competente quello di Treviso.

L’agente austriaco formulava varie richieste nei confronti dell’azienda italiana, tra cui il pagamento dell’indennità di fine rapporto.

Costituitasi in giudizio la preponente italiana eccepiva la decadenza dell’agente austriaco dal diritto a ottenere il pagamento dell’indennità di fine rapporto ex art. 1751 codice civile, in quanto l’agente non aveva mai richiesto espressamente tale indennità entro un anno dalla cessazione del rapporto.

Con la sentenza in questione il Tribunale respingeva l’eccezione di decadenza sollevata dall’azienda italiana, rilevando che il termine “Ausgleichsanprunch” è il termine tedesco corrispondente all’indennità di fine rapporto ex art. 1751 codice civile.

In buona sostanza, con la pronuncia in esame il Tribunale di Treviso ha stabilito che in un contratto internazionale di agenzia la richiesta di pagamento dell’indennità di fine rapporto formulata da un agente straniero, entro un anno dalla cessazione di tale contratto, interrompe la decadenza dal diritto ad ottenere tale indennità, seppure nella richiesta sia stata utilizzata la parola che nel paese di origine dell’agente straniero equivale a “indennità di fine rapporto”.

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73. Il punto del Ministero del Lavoro sul contratto di lavoro subordinato a termine

Con circolare n. 9 del 9 ottobre 2023 il Ministero del Lavoro ha fornito le prime indicazioni sulle innovazioni più significative introdotte dal decreto-legge n. 48 del 4 maggio 2023 sulla disciplina del contratto di lavoro subordinato a termine.

Per garantire l’uniforme applicazione delle nuove disposizioni con tale circolare il Ministero del Lavoro ha evidenziato innanzitutto che:

  • il decreto-legge n. 48 del 4 maggio 2023 ha lasciato inalterato il limite massimo di durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato che possono intercorrere tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, che resta fissato in ventiquattro mesi, fatte salve le diverse previsioni dei contratti collettivi e la possibilità di un’ulteriore stipula di un contratto a tempo determinato, della durata massima di dodici mesi, presso la sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Non ha, altresì, subìto variazioni il numero massimo di proroghe consentite – sempre quattro nell’arco temporale di ventiquattro mesi – oltre che il regime delle interruzioni (c.d. stop and go) tra un contratto di lavoro e l’altro;
  • il decreto-legge n. 48 del 4 maggio 2023 modifica, invece, le specifiche condizioni che possono legittimare l’apposizione del termine al contratto di lavoro, la disciplina delle condizioni delle proroghe e dei rinnovi, nonché le modalità di computo dei limiti percentuali dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di somministrazione.

Sono state, infatti, del tutto soppresse le condizioni in precedenza riferite ad esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro e ad esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria del datore di lavoro.

La riforma in esame ha inteso valorizzare il ruolo della contrattazione collettiva nella individuazione dei casi che consentono di apporre al contratto di lavoro un termine superiore ai dodici mesi, ma in ogni caso non eccedente la durata massima di ventiquattro mesi:

  • riaffermando la prerogativa, già in precedenza riconosciuta alla contrattazione collettiva, di individuare tali casi, purché ciò avvenga ad opera dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali delle suddette associazioni, ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria;
  • specificando che le condizioni possano essere individuate dai contratti collettivi applicati in azienda, in un’ottica di valorizzazione della contrattazione di prossimità;
  • introducendo la possibilità per le parti del contratto individuale di lavoro di individuare – in assenza di specifiche previsioni contenute nei contratti collettivi – esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro di durata superiore ai dodici mesi (ma ugualmente non superiore ai ventiquattro mesi).

La possibilità per le parti di individuare nel contratto individuale di lavoro le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva è consentita entro la data del 30 aprile 2024, data che è riferita alla stipula del contratto di lavoro, la cui durata potrà anche andare oltre il 30 aprile 2024.

Le proroghe e i rinnovi possono intervenire liberamente, senza alcuna condizione, nei primi dodici mesi, mentre vige l’obbligo delle condizioni per eventuali periodi successivi ai dodici mesi.

Resta fermo l’onere per il datore di lavoro di specificare nel contratto le regioni concrete ed effettive della sostituzione di altri lavoratori, essendo comunque vietata la sostituzione per i lavoratori che esercitino il diritto di sciopero.

Restano, infine, utilizzabili le causali introdotte da qualsiasi livello della contrattazione collettiva che individuino concrete condizioni per il ricorso al contratto a termine, purché non si limitino ad un mero rinvio alle fattispecie legali di cui alla previgente disciplina, ormai superata dalla riforma in esame.

 

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