Autore: FTA Pagina 11 di 26

54. Target di vendita e clausola risolutiva espressa

Con sentenza n. 142 del 7 aprile 2021 il Tribunale di Busto Arsizio – Sezione lavoro si è pronunciato sul tema della cessazione con effetto immediato di un contratto di agenzia in caso di mancato raggiungimento da parte dell’agente del target di vendita prefissato.

In particolare, nella sentenza in esame il Giudice adito ha ritenuto che:

  • è legittima la cessazione con effetto immediato effettuata dalla preponente, in applicazione della clausola risolutiva espressa presente nel contratto di agenzia, avendo realizzato l’agente risultati di vendita molto al di sotto del target di vendita contrattualmente pattuito tra le parti;
  • nonostante negli anni precedenti la preponente non si sia avvalsa della clausola risolutiva espressa quando l’agente non aveva raggiunto i precedenti target di vendita, ad ogni modo il fatto che un determinato comportamento sia stato in precedenza tollerato non esclude la possibilità e la legittimità di ritenere, successivamente, tale comportamento, ripetuto nel tempo, intollerabile;
  • a prescindere dalla clausola risolutiva espressa presente nel contratto di agenzia oggetto di causa, l’inadempimento imputato all’agente consistente nel mancato raggiungimento del target di vendita integra di per sé gli estremi della giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c., contestata dalla preponente nella medesima lettera di cessazione del contratto di agenzia;
  • il dato oggettivo dello scarso rendimento dell’agente evidenziato dal significativo scostamento dal target di vendita è causalmente ricollegabile al mancato svolgimento da parte dello stesso agente dell’attività promozionale con la dovuta diligenza e alla mancata visita periodica della clientela rientrante nella zona a lui attribuita.

La sentenza in commento è interessante, in quanto rientra tra le varie sentenze successive alla pronuncia della Cassazione Sezione Lavoro 18 maggio 20111 n. 10934, in cui è stato stabilito che l’esigenza di un giudizio di gravità dell’inadempimento non sussiste nel caso della previsione di una clausola risolutiva per mancato raggiungimento di un target di vendita quando lo scostamento rispetto a tale target è stato molto significativo e quindi tale inadempimento integra di per sé gli estremi della giusta causa di cui all’art. 2119 c.c.

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44. Videosorveglianza dei lavoratori e tutela del patrimonio aziendale

Con sentenza n. 3255 del 27 gennaio 2021 la Cassazione Penale ha escluso la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “Statuto dei lavoratori”) in materia di videosorveglianza, quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale.

Nel caso di specie erano stati installati impianti video a seguito del verificarsi di mancanze di merce nel magazzino ed erano rivolti solo verso la cassa e le scaffalature, per cui – sebbene posti sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro – il loro utilizzo non implicava un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o comunque restava necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.

Secondo la sentenza in commento le riprese effettuate con la videosorveglianza possono, quindi, essere legittimamente utilizzate nel processo penale eventualmente instauratosi a carico dell’autore delle condotte illecite ai danni dell’azienda.

In buona sostanza, secondo la Suprema Corte, la preventiva autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro o l’accordo con le rappresentanze sindacali sono necessari solo quando dall’attività di videosorveglianza derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti e della loro prestazione lavorativa, mentre quando le riprese interne siano finalizzate alla raccolta di prove dell’illecita condotta di taluno dei dipendenti ai danni dell’impresa non sono richieste le autorizzazioni previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

 

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53. Quando è lecito recedere senza indennizzo da un contratto di agenzia in prova?

Con sentenza n. 7823 dell’1 dicembre 2020 il Tribunale di Milano si è pronunciato sul tema del recesso da un contratto di agenzia durante il periodo di prova.

In particolare, nella suddetta sentenza il Giudice adito ha affermato che:

  • nel contratto di agenzia le parti possono inserire un patto di prova per valutare reciprocamente la convenienza di rendere stabile ovvero di risolvere il vincolo contrattuale, subordinando la definitività del rapporto al mancato esercizio della facoltà di recesso entro il periodo di tempo all’uopo prestabilito;
  • tale patto è pienamente valido, purché (secondo l’accertamento del giudice del merito) il periodo destinato alla effettuazione dell’esperimento sia limitato al tempo necessario e sufficiente per consentire alle parti di compiere l’anzidetta valutazione;
  • la clausola contrattuale, che prevede a favore di entrambe le parti la facoltà di recedere dal contratto senza l’obbligo di preavviso o di pagamento dell’indennità sostitutiva, non ha carattere vessatorio e, quindi, non richiede una specifica approvazione per iscritto, anche se inserita nelle condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti.

In buona sostanza, nella sentenza in esame il Tribunale di Milano ha stabilito la validità della clausola che prevede la facoltà di recesso durante il periodo di prova senza preavviso senza indennizzo alla controparte, a condizione che tale facoltà sia prevista in favore di entrambe le parti.

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43. Privacy e obbligo di vaccinazione contro il COVID-19

Il datore di lavoro può chiedere ai propri dipendenti di vaccinarsi contro il COVID per accedere ai luoghi di lavoro e per svolgere determinate mansioni, ad esempio in ambito sanitario? Può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati? O chiedere conferma della vaccinazione direttamente ai lavoratori?

A queste domande ha risposto il Garante per la privacy il 17 febbraio 2021 con alcune FAQ pubblicate sul proprio sito internet.

L’intento dell’Autorità è stato quello di fornire indicazioni utili ad imprese, enti e amministrazioni pubbliche affinché possano applicare correttamente la disciplina sulla protezione dei dati personali nel contesto emergenziale, anche al fine di prevenire possibili trattamenti illeciti di dati personali e di evitare inutili costi di gestione o possibili effetti discriminatori.

In particolare, nelle suddette FAQ il Garante per la privacy ha chiarito che:

  • il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali, posto che il consenso del dipendente non può costituire, in questi casi, una condizione di liceità del trattamento dei dati, essendo ciò non consentito né dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro né dalle disposizioni sull’emergenza sanitaria;
  • il datore di lavoro può, invece, acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica redatti dal medico competente;
  • nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario, si applicano le disposizioni vigenti sulle “misure speciali di protezione” previste per tali ambienti lavorativi (art. 279 del D.lgs. n. 81/2008 – Testo unico sulla sicurezza e salute sul  lavoro). Anche in questi casi – in attesa di un intervento del legislatore nazionale che eventualmente imponga la vaccinazione anti COVID-19 quale condizione per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni – solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario e il contesto lavorativo, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti. Il datore di lavoro deve quindi limitarsi ad attuare, sul piano organizzativo, le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità.

 

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11. Trasferimento del know how nel franchising

Con sentenza del 17 febbraio 2021 il Tribunale di L’Aquila si è occupato del tema del trasferimento del know how nel franchising, pronunciandosi in particolare su un caso in cui tale trasferimento si è concretizzato nella consegna al franchisee di una brochure.

Nella suddetta sentenza il Giudice adito, dopo aver precisato che il trasferimento del know how da parte del franchisor in favore del franchisee costituisce una delle obbligazioni fondamentali a carico del franchisor, ha stabilito che:

  • nel caso di specie non possono ritenersi integrati i presupposti della formazione tecnica e della trasmissione del necessario know how da parte del franchisor, qualora quest’ultimo si limiti a consegnare al franchisee una brochure e attestati di poche ore di formazione;
  • di conseguenza, essendo configurabile un inadempimento da parte del franchisor, è fondata la domanda di risoluzione del contratto di franchising formulata dal franchisee.

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52. Impatto delle variazioni unilaterali delle provvigioni sul fatturato dell’agente

Con sentenza n. 115 del 12 novembre 2020 il Tribunale di Mantova si è pronunciato su un caso in cui un agente di commercio si lamentava del fatto che la società preponente aveva ridotto unilateralmente la provvigione, invocando l’applicazione del c.d. Jobs Act del lavoro autonomo.

Innanzitutto il Giudice adito ha escluso l’applicazione al caso di specie del c.d. Jobs Act del lavoro autonomo, in quanto tale provvedimento legislativo prevede che devono considerarsi abusive e prive di effetto le clausole che consentono al datore di lavoro di modificare unilateralmente uno o più elementi del contratto a suo tempo stipulato.

Infatti, per espressa volontà del legislatore, il c.d. Jobs Act del lavoro autonomo si applica a tutti i lavoratori autonomi, purché non siano degli imprenditori oppure “piccoli imprenditori”.

Ebbene, per la prevalente giurisprudenza l’agente di commercio è, a seconda dell’organizzazione e dimensioni della sua attività e dell’investimento di capitali, un imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2082 del codice civile o, quanto meno, un piccolo imprenditore ai sensi dell’art. 2083 del codice civile.

Inoltre, il Tribunale di Mantova ha respinto anche la tesi dell’agente, secondo cui alla fattispecie in esame non si applicano gli Accordi Economici Collettivi (c.d. AEC), posto che le parti hanno aderito a tali accordi non solo per fatti concludenti, ma anche avendo richiamato espressamente la norma collettiva nel contratto individuale di agenzia.

Dopo aver accertato l’applicazione degli AEC al rapporto di agenzia per cui è causa, il Giudice ha considerato applicabile le disposizioni che consentono alla preponente di apportare unilateralmente modifiche al contratto e cioè l’art. 3 del AEC Accordo economico collettivo 16 febbraio 2009 settore commercio.

Pertanto, in coerenza con la lettera e la ratio della norma collettiva sopra richiamata, il Tribunale di Mantova ha ritenuto necessario valutare l’incidenza complessiva della riduzione della percentuale provvigionale sul fatturato dell’agente.

In particolare, secondo la sentenza in commento, non è sufficiente valutare la riduzione dell’aliquota provvigionale rispetto al monte provvigionale complessivamente maturato dal ricorrente nell’anno solare precedente alla variazione, ma bisogna necessariamente aggiungere a tale valutazione anche l’impatto sul fatturato complessivo dell’agente che ha avuto il contestuale abbassamento del prezzo unitario dei prodotti oggetto della variazione.

All’esito dell’istruttoria svolta, il Giudice adito ha reputato che nel caso di specie si è al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 3 del AEC Accordo economico collettivo 16 febbraio 2009 settore commercio, poiché la modifica alle condizioni contrattuali nel suo complesso ha apportato all’agente un aumento dei suoi guadagni e non una variazione in negativo, con salvezza della ratio della norma collettiva.

In buona sostanza, in base alla sentenza in esame va valutato l’impatto delle variazioni unilaterali delle provvigioni sul fatturato complessivo dell’agente per stabilire l’eventuale illegittimità di tali variazioni.

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42. Nullo il licenziamento in violazione del divieto di licenziamento per COVID-19

Con sentenza n. 112 dell’11 novembre 2020 il Tribunale di Mantova ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo di una dipendente assunta con contratto di apprendistato, essendo stato disposto in violazione del divieto di licenziamento per motivi economici di cui all’art. 46 del decreto-legge n. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia), convertito nella legge n. 27/2020 e successive integrazioni.

La lavoratrice, commessa presso un negozio di abbigliamento, ha impugnato giudizialmente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che le è stato comunicato il 9 giugno 2020 per chiusura del punto vendita presso il quale era adibita, deducendo che la datrice di lavoro non ha cessato l’attività aziendale perché è ancora attivo il negozio dove lavorava la dipendente e dove ancora lavorano delle colleghe della stessa lavoratrice, oltre ad essere ancora attivi altri punti vendita della medesima società in altre città.

La società ha ritenuto di non costituirsi in giudizio, con la conseguenza che, a prescindere dalla legislazione di emergenza, il Tribunale di Mantova ha ritenuto che la lavoratrice abbia diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro poiché la datrice di lavoro non ha provato di aver cessato l’attività come espressamente enunciato nella lettera di licenziamento.

Riguardo alla normativa emergenziale il Tribunale ha altresì affermato che dal carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti consegue la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con tale regola, con conseguente sanzione ripristinatoria del rapporto di lavoro ex art. 18, I comma, legge n. 300/1970 ed ex art. 2 decreto legislativo n. 23/2015, derivando la nullità dall’art. 1418 del codice civile.

In particolare, il Tribunale di Mantova ha evidenziato che la giurisprudenza prevalente ritiene applicabile al contratto di apprendistato la disciplina del licenziamento valevole per i contratti a tempo indeterminato, stante l’assimilabilità del rapporto di apprendistato all’ordinario rapporto di lavoro. Inoltre, il Giudice ha rilevato che il divieto dei licenziamenti per motivi economici è una tutela temporanea dei rapporti di lavoro per salvaguardare la stabilità del sistema economico e cioè una misura politico-economica del mercato del lavoro collegata ad esigenze di ordine pubblico.

Secondo la sentenza in commento, ne deriva che laddove sia violato il blocco dei licenziamenti, che è una norma con carattere imperativo, l’unica conseguenza possibile è la declaratoria di nullità del recesso da parte del datore di lavoro con il connesso diritto del dipendente ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro.

Sulla base delle argomentazioni sopra esposte sinteticamente, il Tribunale di Mantova ha accolto il ricorso della lavoratrice, dichiarando nullo il licenziamento a lei intimato il 9/6/2020 e disponendo la reintegra della stessa dipendente, oltre al pagamento in suo favore della retribuzione dalla data di licenziamento fino alla riammissione in servizio.

 

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41. Quando un consulente diventa un dipendente?

Con l’ordinanza n. 697 del 18 gennaio 2021 la Corte di Cassazione si è pronunciata sugli elementi per cui la collaborazione con un consulente possa configurare un rapporto di lavoro subordinato, affermando che di per sé è irrilevante l’assegnazione di un ufficio personale al consulente.

 

La Corte di Cassazione ha motivato tale ordinanza sulla base delle argomentazioni qui di seguito esposte.

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, la prolungata esecuzione ed il nomen iuris, pur essendo elementi necessari di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro.

Non vi è alcun contrasto con i principi secondo cui la natura subordinata può ravvisarsi anche in presenza di prestazioni discontinue e non esclusive, posto che nel caso concreto vi è stata una valutazione di elementi di fatto che, nello specifico, hanno avvalorato il contesto probatorio ritenuto insufficiente ai fini di dimostrare il presupposto della eterodirezione, che non può concretarsi nell’assegnazione di un ufficio personale al consulente.

Nel caso di specie la eterodirezione è stata ritenuta assente nell’articolazione effettiva e concreta del rapporto lavorativo instaurato tra le parti, che è stato invece considerato una collaborazione paritaria senza vincolo di subordinazione.

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che l’assenza di richieste di permessi o di ferie da parte del consulente e la mancata assegnazione di un badge da parte dell’azienda al consulente stesso sono elementi che escludono nella fattispecie la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato.

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40. Legge di Bilancio 2021 e Decreto Milleproroghe: le misure riguardanti il lavoro

Il 30 dicembre 2020 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 178 e cioè la c.d. “Legge di Bilancio 2021”, che contiene la proroga per l’anno 2021 di alcune misure emergenziali in materia di lavoro che hanno caratterizzato il 2020. Il 31 dicembre 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-Legge n. 183 e cioè il c.d. “Decreto Milleproroghe”, che contiene una specifica disposizione relativa alle misure che dipendono dalla proroga dello stato di emergenza.

Di seguito si illustrano le seguenti misure riguardanti il lavoro contenute nella “Legge di Bilancio 2021” e nel “Decreto Milleproroghe”: divieto di licenziamento, smart working, esoneri contributivi, rapporti a tempo determinato e somministrazione, bonus fiscale c.d. “rientro dei cervelli” e politiche attive.

Divieto di licenziamento

La Legge di Bilancio 2021 proroga ulteriormente il divieto di licenziamento fino al 31 marzo 2021, termine che rimane fisso e quindi applicabile a prescindere dall’utilizzo della cassa integrazione o dell’esonero contributivo.

Di conseguenza, fino a fine marzo 2021 continuerà ad essere vietato iniziare procedure di licenziamento collettivo e recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo “ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966”.

Vengono altresì confermate le eccezioni al divieto già oggi in vigore e cioè: (i) i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività d’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività; (ii) i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa ovvero ne sia disposta la cessazione; (iii) i licenziamenti intimati nei confronti di lavoratori che abbiano aderito ad accordi collettivi aziendali di incentivazione alla risoluzione dei rapporti di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

È previsto l’accesso alla NASpI anche qualora tali accordi prevedano la risoluzione consensuale del rapporto.

Resto inteso che i licenziamenti individuali per giusta causa o giustificato motivo soggettivo rimangono estranei all’ambito di applicazione del divieto.

Smart working

Il Decreto Milleproroghe ha confermato l’estensione dello smart working semplificato fino alla cessazione dello stato di emergenza, ma comunque non oltre il 31 marzo 2021.

Non è stato invece reintrodotto il diritto, di cui si era discusso nella definizione del testo del Decreto Milleproroghe, a favore dei genitori di figli con meno di 14 anni di utilizzare lo smart working fino al 31 marzo 2021.

Esoneri contributivi

La Legge di Bilancio 2021 conferma diversi esoneri contributivi previsti in caso di assunzione di determinate categorie di lavoratori e più precisamente: (i) in favore dei datori che assumono giovani lavoratori subordinati di età inferiore ai 36 anni a tempo indeterminato anche in caso di conversione da tempo determinato; (ii) in favore dei datori che assumono donne disoccupate da almeno 6 mesi residenti in Calabria, Puglia, Sicilia, Campania e Basilicata o che svolgano la loro attività in un settore con una disparità occupazionale di genere superiore al 25 per cento (settori previsti, per il 2021, dal Decreto Interministeriale n. 234 del 16 ottobre 2020) o per le donne in generale disoccupate da almeno 24 mesi, nel biennio 2021-2022; (iii) in favore di tutti i lavoratori, sia quelli già assunti che di nuova assunzione, impiegati in imprese che operano nel Mezzogiorno per il periodo 2021-2029 e già previsto dal Decreto Agosto, c.d. Decontribuzione Sud.

Tutte le agevolazioni saranno concesse previe autorizzazioni della Commissione Europea.

Rapporti a tempo determinato e somministrazione

Viene altresì prorogata la possibilità di rinnovare o prorogare i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere, anche in regime di somministrazione, pur in assenza delle causali previste dal Decreto Dignità.

Tale misura è stata prorogata sino al 31 marzo 2021 alle stesse condizioni già in vigore, con la conseguenza che i datori di lavoro potranno ricorrere al rinnovo o alla proroga a-causale per una sola volta e per un periodo massimo di 12 mesi, fermo restando la durata massima complessiva di 24 mesi. Trattandosi della proroga di una misura già in essere, i datori di lavoro che hanno già usufruito della proroga a-causale in passato non potranno più beneficiarne.

Bonus fiscale c.d. “rientro dei cervelli”

La Legge di Bilancio 2021 ha esteso il bonus fiscale c.d. “rientro dei cervelli”, che determina una rilevante detassazione, ai lavoratori che hanno trasferito la residenza in Italia prima del 2020 e che al 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime di favore ordinario per i lavoratori impatriati.

È necessaria un’opzione del lavoratore interessato e il pagamento di un importo una tantum.

Le modalità di opzione saranno definite da un successivo provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.

Contratto di espansione

Al fine di agevolare il ricambio generazionale, incentivare le assunzioni e l’acquisizione di nuove competenze, sono stati resi meno stringenti i requisiti per ricorrere al contratto di espansione ai sensi dell’art. 41 D. Lgs. 148/2015 (art. 1, comma 349).

Nel 2021 il contratto di espansione potrà essere utilizzato dalle aziende con oltre 500 dipendenti (e non solo da quelle con oltre 1000 dipendenti), in caso di processi di riorganizzazione e ristrutturazione.

Con contratto di espansione si potrà quindi (i) accompagnare alla pensione i lavoratori anziani; (ii) avviare un processo di riqualificazione dei dipendenti già assunti con riduzione dell’orario di lavoro, sospendendo i lavoratori interessati in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria; (iii) incentivare l’assunzione di nuovi lavoratori a tempo indeterminato.

La Legge di Bilancio 2021 ha poi previsto che le disposizioni relative ai lavoratori più anziani si possano applicare anche alle imprese con oltre 250 dipendenti.

Lo scopo è incentivare il pensionamento dei lavoratori che raggiungeranno i requisiti per la pensione in un periodo massimo di 5 anni (60 mesi), con pagamento da parte dell’impresa di un’indennità mensile, in parte finanziata erogando all’impresa l’importo della NASpI che sarebbe spettata al lavoratore in caso di licenziamento per un periodo massimo di 24 mesi.

Politiche attive

La Legge di Bilancio 2021 ha creato il programma denominato “Garanzia di occupabilità dei lavoratori” (c.d. GOL), con una dotazione di 233 milioni di euro nell’anno 2021.

IL GOL prevede l’erogazione di servizi specifici di politica attiva del lavoro (quale supporto nella ricerca attiva di una posizione lavorativa, formazione, ecc.), le cui caratteristiche saranno individuate da apposito decreto interministeriale.

Nelle more dell’adozione di tale decreto viene previsto che l’assegno di ricollocazione, che in precedenza era applicabile solo ai beneficiari del reddito di cittadinanza, venga esteso ad altre categorie.

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39. Le buste paga costituiscono valide prove se firmate o timbrate

Con l’ordinanza n. 74 del 7 gennaio 2021 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema dell’efficacia probatoria delle buste paga.

In particolare, con la suddetta ordinanza la Suprema Corte ha ribadito il seguente principio di diritto: le buste paga rilasciate dal datore di lavoro costituiscono valide prove del credito retributivo del lavoratore se munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro dello stesso datore di lavoro.

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