Il patto di non concorrenza post-contrattuale nel lavoro subordinato
Nei contratti di lavoro subordinato viene a volte inserito dal datore di lavoro una clausola contenente il c.d. patto di non concorrenza post-contrattuale, che viene previsto specialmente nei rapporti di lavoro con i dirigenti.
La norma codicistica di riferimento è contenuta nell’art. 2125 del codice civile, che definisce il patto di non concorrenza come il “patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto”, stabilendo le seguenti tre condizioni di validità del patto stesso, il quale deve:
- risultare da atto scritto;
- prevedere un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro;
- avere ad oggetto un vincolo di non concorrenza a carico del dipendente contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
Riguardo alla durata del vincolo, l’art. 2125 del codice civile prevede che:
- tale patto non può comunque essere superiore a cinque anni se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi;
- se viene pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura sopra indicata.
Riguardo alla quantificazione del corrispettivo del patto di non concorrenza e alla determinazione delle relative modalità di pagamento, la norma codicistica summenzionata lascia piena autonomia alle parti.
Il corrispettivo, ossia la remunerazione della (temporanea) limitazione della libertà del lavoratore di utilizzare le proprie capacità e competenze professionali, è quindi uno dei punti da sempre più delicati e discussi in materia di patto di non concorrenza.
Su tale punto la giurisprudenza è intervenuta più volte al fine di delimitare l’autonomia lasciata alle parti dall’art. 2125 del codice civile nell’ambito della “ragionevolezza” e della “congruità”.
Infatti la giurisprudenza è uniforme nel ritenere che – pur restando riservato, quanto alla sua determinazione, all’autonomia delle parti – il corrispettivo del patto di non concorrenza deve essere determinato o determinabile al momento della stipula del patto stesso e deve essere “congruo” in relazione all’oggetto, alla durata e all’ampiezza territoriale del vincolo di non concorrenza in capo al lavoratore. In mancanza di tali requisiti il patto è da considerarsi nullo.
Più precisamente, a seconda della misura del vincolo imposto al lavoratore, sono stati ritenuti come “congrui” corrispettivi compresi tra il 15% e il 35% della retribuzione annua lorda del dipendente a condizione che la capacità lavorativa del prestatore di lavoro non venisse totalmente inibita.
Al pari della quantificazione del corrispettivo del patto di non concorrenza è lasciata, come detto, all’autonomia delle parti anche la determinazione delle modalità di pagamento.
In proposito la giurisprudenza è unanime nel ritenere che il pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza possa avvenire alla conclusione del rapporto di lavoro in un’unica soluzione o in più rate concordate dalle parti sia nel loro ammontare che nella loro tempistica, mentre invece non è univoca nel ritenere legittima in generale la facoltà per il datore di lavoro di corrispondere detto corrispettivo nel corso del rapporto di lavoro, che viene consentita solo a determinate condizioni.
Difatti, a pena di nullità, un orientamento giurisprudenziale pone le seguenti due condizioni di legittimità per il pagamento del corrispettivo del patto nel corso del rapporto di lavoro:
- la quota periodica normalmente mensile versata a titolo di corrispettivo del patto deve essere scorporata dalla retribuzione ed evidenziata in busta paga;
- tale remunerazione deve comunque consistere in un importo complessivo determinato o determinabile al momento della stipula del patto.
Pertanto si pone il problema che nel caso di rapporto a tempo indeterminato, la seconda condizione sopra specificata non può essere certamente rispettata se il corrispettivo viene pagato in quote fisse mensili o comunque periodiche, posto che al momento della stipula è impossibile stabilirne l’esatto ammontare.
Un’eventuale soluzione a questa criticità potrebbe essere quella di:
- costruire una remunerazione che preveda un tetto minimo del corrispettivo del patto di non concorrenza, che sia rispondente nel caso specifico al criterio della “congruità” e della “ragionevolezza”; e
- pattuire che l’eventuale quota di tale tetto minimo di corrispettivo non ancora versata al momento della cessazione del rapporto di lavoro venga corrisposta al dipendente in seguito a tale cessazione.
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