Con sentenza n. 28365 del 27 ottobre 2025 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità del licenziamento del dipendente che risulti infedele a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro sul personal computer del lavoratore, ritenendo valida l’informativa fornita dall’azienda sulla possibilità di effettuare controlli in caso di rilevate anomalie.

La vicenda in questione scaturisce dal licenziamento per giusta causa intimato da un’azienda a un lavoratore dopo avergli contestato l’uso improprio dei sistemi informatici aziendali.

Nel caso di specie, il lavoratore aveva utilizzato in modo improprio i sistemi informatici aziendali, compiendo accessi non autorizzati e diffondendo dati riservati.

A seguito dell’impugnazione di tale licenziamento da parte del lavoratore, che eccepiva di non aver ricevuto un’adeguata informativa da parte dell’azienda, il Tribunale aveva parzialmente accolto il ricorso del dipendente, che poi veniva integralmente respinto dalla Corte d’Appello confermando la legittimità del licenziamento.

La Corte d’Appello ha ritenuto che i reiterati comportamenti del lavoratore compiuti in violazione della policy interna erano tali da compromettere la fiducia datoriale.

Contro la decisione della Corte territoriale il lavoratore ha proposto ricorso davanti alla Corte di Cassazione, adducendo motivi di impugnazione che vanno dalla contestazione della proprietà del notebook alla presunta violazione della normativa privacy, con conseguente richiesta di accertamento dell’illegittimità e/o sproporzione del licenziamento per giusta causa in questione.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso in cassazione, confermando:

  • la legittimità dei controlli informatici effettuati dal datore di lavoro sui dispositivi aziendali assegnati al dipendente in conformità all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e al Regolamento UE 2016/679 (GDPR), dato che il dispositivo era di proprietà dell’impresa e, tramite policy interna, il lavoratore era stato informato in modo preventivo, chiaro e inequivoco della possibilità di verifiche in presenza di anomalie e circa le modalità, le finalità e i limiti di tale attività di verifica;
  • la qualificazione delle condotte contestate come idonee a ledere in modo irreparabile ai sensi e per gli effetti dell’art. 2119 del codice civile il vincolo fiduciario alla base di un rapporto di lavoro subordinato.

In buona sostanza, la Suprema Corte ha ritenuto che l’informativa sulla policy interna dei controlli in caso di anomalie rispettasse i requisiti di chiarezza e proporzionalità imposti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali, configurando un’attività da parte dell’azienda lecita e conforme ai principi di correttezza, necessità e minimizzazione del trattamento dei dati, per cui ha confermato il licenziamento per giusta causa del dipendente risultato infedele a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro sul personal computer assegnato al lavoratore.

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