Con sentenza n. 3255 del 27 gennaio 2021 la Cassazione Penale ha escluso la configurabilità del reato concernente la violazione della disciplina di cui all’art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “Statuto dei lavoratori”) in materia di videosorveglianza, quando l’impianto audiovisivo o di controllo a distanza sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale.

Nel caso di specie erano stati installati impianti video a seguito del verificarsi di mancanze di merce nel magazzino ed erano rivolti solo verso la cassa e le scaffalature, per cui – sebbene posti sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro – il loro utilizzo non implicava un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, o comunque restava necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite degli stessi.

Secondo la sentenza in commento le riprese effettuate con la videosorveglianza possono, quindi, essere legittimamente utilizzate nel processo penale eventualmente instauratosi a carico dell’autore delle condotte illecite ai danni dell’azienda.

In buona sostanza, secondo la Suprema Corte, la preventiva autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro o l’accordo con le rappresentanze sindacali sono necessari solo quando dall’attività di videosorveglianza derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei dipendenti e della loro prestazione lavorativa, mentre quando le riprese interne siano finalizzate alla raccolta di prove dell’illecita condotta di taluno dei dipendenti ai danni dell’impresa non sono richieste le autorizzazioni previste dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

 

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