Con la sentenza n. 350 del 3 aprile 2024 il Tribunale di Catanzaro si è pronunciato sulla questione della legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli Accordi Economici Collettivi (c.d. “A.E.C.”), ribadendo al riguardo i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia europea nella nota sentenza del 23 marzo 2006.

Con la pronuncia C-465/04 del 23 marzo 2006 la Corte di Giustizia europea ha contestato la legittimità dell’indennità di fine rapporto prevista dagli Accordi Economici Collettivi. Tali accordi, secondo la Corte di Giustizia europea, possono derogare alla disciplina dettata dalla direttiva 86/653/CEE solo se, con un’analisi ex ante, dall’applicazione dell’Accordo Economico Collettivo possa derivare all’agente un trattamento economicamente più favorevole rispetto all’indennità di cui all’art. 1751 codice civile.

Dal momento che non sono previsti degli strumenti di calcolo che permettono di pronosticare l’ammontare dell’indennità di fine rapporto ex art. 1751 codice civile e tale indennità può essere conosciuta e calcolata solamente dopo lo scioglimento del rapporto e posto che, secondo la Corte di Giustizia europea, la valutazione sul fatto che il trattamento degli Accordi Economici Collettivi sia (sempre) più favorevole rispetto alla disciplina civilistica di cui all’art. 1751 codice civile deve essere fatto ex ante, è chiaro che, seguendo tale ragionamento, solamente un sistema di calcolo che garantisca sempre il massimo dell’indennità potrà essere considerato in linea con i principi dettati dalla direttiva europea e con la sentenza della Corte di Giustizia europea del 23 marzo 2006.

In particolare, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza del 23 marzo 2006, il raffronto tra le discipline legale e pattizia dev’essere effettuato con riferimento al caso concreto, pervenendosi alla dichiarazione di nullità della parte del contratto risultata sfavorevole all’agente.

Ciò comporta per questo l’onere di provare nel giudizio di merito con dettagliati calcoli conformi ad entrambi i criteri, legale e contrattuale, la differenza peggiorativa, e per la preponente l’onere di provare il contrario, anche attraverso l’eventuale considerazione complessiva delle clausole e la relativa compensazione di vantaggi e svantaggi, ritenendo altresì che l’art. 1751, comma 6, codice civile si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi dell’art. 1751 codice civile deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione degli Accordi Economici Collettivi.

In tale quadro argomentativo delineato dalla Corte di Giustizia europea, appare comunque in via di consolidamento l’orientamento della Cassazione secondo il quale i criteri di quantificazione dell’indennità di fine rapporto previsti dagli Accordi Economici Collettivi devono considerarsi comunque come un trattamento minimo che deve essere garantito all’agente, salvo la necessità da parte del giudice, una volta riscontrata l’esistenza o meno dei requisiti previsti dall’art. 1751 codice civile, di effettuare una sorta di valutazione caso per caso al fine di valutare l’equità della soluzione derivante dagli Accordi Economici Collettivi con facoltà discrezionale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

 

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