Con la sentenza n. 3713 del 9 febbraio 2024 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi dell’indennità di fine rapporto di cui all’art. 1751 codice civile.
In particolare, in tale sentenza la Suprema Corte ha stabilito che:
- l’indennità di fine rapporto prevista dall’art. 1751 codice civile spetta all’agente quando questi abbia procurato nuovi clienti alla preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e la preponente riceva ancora, dopo la cessazione del rapporto, sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
- la prova della spettanza del diritto all’indennità di fine rapporto compete all’agente, salvi i temperamenti che discendono dal principio di vicinanza alle fonti di prova riguardo ai fatti la cui dimostrazione possa esser data solo dalla preponente;
- il giudice deve stabilire se l’indennità sia equa in base ad una verifica in concreto, valutando le sole “circostanze del caso”, intendendosi per tali tutti gli elementi, ulteriori e diversi rispetto a quelli costitutivi, che siano idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del “quantum” spettante all’agente;
- l’importo dell’indennità di fine rapporto non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione;
- l’art. 17 della direttiva 86/653/CEE del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, non prevede un calcolo da compiere in maniera analitica, ma consente l’utilizzo di metodi di calcolo diversi e, segnatamente, di metodi sintetici, che valorizzino ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima.
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