Oltre alle procedure collettive di riduzione del personale, che non possono essere avviate fino al prossimo 17 agosto 2020, la normativa Covid-19 ha bloccato i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo (anche plurimi), a prescindere dal numero dei dipendenti in forza dell’azienda datrice di lavoro e dal fatto che la motivazione sia diversa dalla crisi per l’emergenza sanitaria da Covid-19.
Inoltre tale normativa ha previsto la possibilità, da parte dell’azienda che ha licenziato un lavoratore per giustificato motivo oggettivo, di applicare il c.d. “diritto di ripensamento”.
Dovrebbero in teoria restare fuori dalla sospensione i seguenti licenziamenti individuali:
- licenziamenti per motivi disciplinari. Si tratta dei licenziamenti effettuati al termine della procedura prevista dall’articolo 7 della Legge 300/1970, allorquando il lavoratore abbia commesso un inadempimento agli obblighi contrattuali, tale da meritare una sanzione espulsiva. Come noto, questa tipologia di licenziamenti si dividono, a seconda della gravità, tra licenziamenti per giustificato motivo soggettivo e licenziamenti per giusta causa;
- licenziamenti per superamento del periodo di comporto, in quanto esclusi, dallo stesso legislatore (articolo 7, comma 7, della legge n. 604/1966), dalle fattispecie dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo;
- cessazioni del rapporto di lavoro durante o alla fine del periodo di prova;
- licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia;
- licenziamenti per inidoneità alle mansioni;
- licenziamenti dei lavoratori domestici;
- licenziamento dei dirigenti;
- risoluzioni del rapporto con gli apprendisti al termine del periodo di apprendistato;
- licenziamenti degli ex soci di una cooperativa di produzione e lavoro, qualora vi sia stata una previa risoluzione dal rapporto associativo, secondo le specifiche previste dallo statuto societario e dal regolamento della medesima cooperativa.
Nessuna sospensione è stata prevista, invece, per quanto riguarda le risoluzioni consensuali di lavoro e le dimissioni per giusta causa, e cioè per quelle dimissioni che dipendono da un comportamento del datore di lavoro, ritenuto irregolare dal dipendente, come ad esempio il reiterato mancato pagamento della retribuzione oppure lo spostamento del lavoratore da una unità produttiva all’altra senza che siano sussistenti le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” addotte dal datore di lavoro.
Inoltre, da un punto di vista processuale, osserviamo che in generale dal 12 maggio 2020 sono iniziati a decorrere i termini per l’appunto processuali, così come da tale data sono ripartite le udienze, che dovrebbero tenersi da remoto, ma che in realtà vengono effettuate attraverso il deposito di note scritte, secondo protocolli decisi da ciascun Tribunale ovvero dal singolo Giudice.
I dubbi interpretativi e applicativi di tale procedura emergenziale, che si sostanzia in uno scambio di note scritte tra avvocati, si moltiplicano nel rito del lavoro, rendendo di fatto inesplicati momenti essenziali di tale processo, come ad esempio il tentativo di conciliazione, l’interrogatorio delle parti e la prova testimoniale.
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