Il caso NIKE e la condanna della Commissione europea per restrizione delle vendite transfrontaliere di prodotti di merchandising
Con la decisione del 25 marzo 2019, pubblicata il 21 giugno 2019, la Commissione europea ha sanzionato l’azienda NIKE con un’ammenda di 12,5 milioni di Euro per aver impedito ai commercianti di vendere prodotti di merchandising sotto licenza in altri paesi dello Spazio economico europeo.
La restrizione interessava il merchandising di alcune delle squadre di calcio e delle federazioni più famose d’Europa, di cui NIKE detiene la licenza. I prodotti di merchandising sotto licenza sono di varia natura (tazze, borse, lenzuola, articoli di cancelleria e giocattoli, solo per citarne alcuni), ma sono tutti accomunati dal fatto che riportano uno o più loghi o immagini coperti da diritti di proprietà intellettuale (DPI), quali marchi commerciali o diritti d’autore.
Tramite un accordo di licenza, una parte (il licenziante) consente all’altra parte (il licenziatario) di sfruttare uno o più DPI di un determinato prodotto. In generale le licenze concesse dai licenzianti sono generalmente di natura non esclusiva, in modo da aumentare il numero di prodotti di merchandising sul mercato e la copertura territoriale.
Le calzature e l’abbigliamento sportivo, prodotti e venduti da NIKE, sono di solito contraddistinti dai marchi registrati dell’azienda, quali il nome o il logo (noto come “Swoosh”).
Su alcuni articoli, i cosiddetti “prodotti di merchandising sotto licenza”, figurano invece solo i simboli di una squadra di calcio o di una federazione e non i marchi commerciali di NIKE. In questi casi Nike agisce in qualità di licenziante dei DPI e concede licenze a terzi, autorizzandoli a produrre e distribuire tali prodotti.
Proprio in relazione a tale sua attività di licenziante per la produzione e la distribuzione di merchandising, NIKE è stata sanzionata dalla Commissione europea.
Nel giugno 2017 la Commissione europea ha infatti aperto un’indagine antitrust su alcune pratiche di concessione delle licenze e distribuzione di NIKE, per accertare se l’azienda stesse limitando illegalmente la vendita transfrontaliera e online, da parte dei commercianti, di prodotti sotto licenza all’interno del mercato unico dell’Unione europea.
Dall’indagine è emerso che gli accordi non esclusivi di licenza e distribuzione sottoscritti da NIKE configuravano una violazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza, in particolare dell’art. 101 del Trattato sul Finanziamento dell’Unione Europea, che vieta gli accordi tra imprese atti a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato unico dell’Unione europea. Più precisamente, secondo la Commissione europea, NIKE:
- ha imposto ai licenziatari una serie di misure dirette, che erano finalizzate limitare le vendite al di fuori del territorio loro assegnato, tra cui: (i) clausole che le vietavano esplicitamente, (ii) obblighi di reindirizzare gli ordini non provenienti dal territorio di competenza a NIKE stessa, (iii) clausole che prevedevano il doppio versamento dei diritti di licenza per le vendite al di fuori del territorio;
- ha adottato misure indirette, che erano finalizzate a mettere in pratica le restrizioni di vendita, ad esempio: (i) minacciando i licenziatari di revocare le loro licenze se avessero venduto al di fuori del territorio di competenza, (ii) rifiutandosi di fornire gli ologrammi che contraddistinguono i prodotti ufficiali se sospettava che questi ultimi potessero essere venduti in altri territori dello Spazio economico europeo, (iii) conducendo ispezioni intese a verificare il rispetto delle restrizioni;
- ha incaricato alcuni dei licenziatari principali di concedere a terzi sublicenze per l’uso dei vari DPI in ciascun territorio. Per consolidare la pratica lungo tutta la catena di distribuzione, NIKE ha imposto loro misure dirette e indirette, costringendoli a restare all’interno del loro territorio e ad applicare restrizioni nei confronti dei sub-licenziatari;
- ha introdotto clausole che proibivano esplicitamente ai licenziatari di fornire prodotti di merchandising ai clienti, spesso rivenditori al dettaglio, se c’era la possibilità che questi li vendessero al di fuori del territorio di competenza. Oltre ad obbligare i licenziatari a trasferire i divieti ai propri contraenti, NIKE interveniva per fare in modo che i rivenditori al dettaglio (ad esempio negozi di abbigliamento, supermercati, ecc.) smettessero di acquistare prodotti da licenziatari di altri territori dello Spazio economico europeo.
A seguito di tale istruttoria, la Commissione europea ha concluso che la condotta illegale tenuta da NIKE per circa tredici anni (dall’1 luglio 2004 al 27 ottobre 2017) ha creato barriere all’interno del mercato unico e precluso ai licenziatari le vendite transfrontaliere in Europa, a scapito dei consumatori europei.
Oggetto delle pratiche illecite, seppur in diversa misura, erano i prodotti di merchandising sotto licenza di squadre del calibro di Barcellona, Manchester United, Juventus, Inter e Roma, nonché di federazioni nazionali come la federazione calcistica francese.
NIKE ha collaborato con la Commissione europea al di là dei propri obblighi giuridici, segnatamente condividendo informazioni che hanno permesso alla stessa Commissione di ampliare la portata dell’indagine fino ad includere il merchandising sportivo secondario di diverse squadre aggiuntive.
L’azienda, oltre a fornire prove con un notevole valore aggiunto, ha anche ammesso espressamente i fatti e riconosciuto le violazioni della normativa dell’UE in materia di concorrenza.
Alla luce di queste attenuanti la Commissione europea ha quindi concesso a Nike una riduzione del 40% dell’ammenda, che comunque è stata determinata in 12,5 milioni di Euro.
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