La disciplina dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia risente in maniera significativa dei problemi di sovrapposizione tra codice civile e accordi economici collettivi (A.E.C.).
Infatti, a seguito dei decreti legislativi di attuazione della direttiva 86/653, il testo dell’art. 1751 c.c. è stato completamente modificato, venendo meno la correlazione in precedenza esistente tra codice civile e accordi economici collettivi, ai quali l’art. 1751 c.c. in passato effettuava un espresso rinvio.
Il nuovo testo dell’art. 1751 c.c. non contiene più alcun rinvio agli accordi economici collettivi, che però continuano a prevedere in proposito una disciplina specifica, determinando così non pochi problemi di coordinamento.
Dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale sul tema in esame, è intervenuta la Corte di Giustizia che, con una sentenza del marzo 2006, ha stabilito la sostanziale non conformità degli accordi economici collettivi (in particolare quelli del 1992) con il testo della direttiva 86/653.
Conseguenza diretta della suddetta sentenza della Corte di Giustizia avrebbe dovuto essere la declaratoria di inefficacia delle disposizioni contenute negli accordi economici collettivi, che riguardano la quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia.
Tuttavia in Italia sono seguite due sentenze della Corte di Cassazione dell’ottobre 2006, confermate poi da numerose pronunce successive, secondo cui i criteri di calcolo indicati negli accordi economici collettivi costituirebbero una sorta di minimo garantito per l’agente.
In altri termini, mentre sino al marzo 2006 i criteri degli accordi economici collettivi erano ritenuti maggioritari come un valido e generale metodo di calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, l’attuale posizione della giurisprudenza della Cassazione considera gli accordi economici collettivi come un mero trattamento minimo, salva la facoltà dell’agente di richiedere, laddove più favorevole, il diverso trattamento previsto dall’art. 1751 c.c.
Da un punto di vista operativo ne consegue che attualmente, quando cessa un contratto di agenzia, è possibile quantificare l’indennità di cessazione del rapporto dovuta all’agente in una “forbice” compresa tra un limite minimo, calcolato secondo gli accordi economici collettivi, e un limite massimo calcolato in applicazione dell’unica indicazione fornita dall’art. 1751 c.c., ossia un’annualità di retribuzioni calcolate sulla media delle somme percepite dall’agente negli ultimi cinque anni di durata del contratto oppure calcolate sulla media delle somme percepite dall’agente nel corso dell’intero rapporto, se esso è stato di durata inferiore ai cinque anni.
Peraltro spesso tale “forbice” è molto ampia, in quanto nella prassi la differenza tra il limite minimo e il limite massimo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia consiste in un importo rilevante.
Questa situazione di incertezza può determinare, in sede stragiudiziale, difficoltà per le parti ad individuare soluzioni transattive ragionevoli e, in sede giudiziale, quantificazioni diverse da parte dei giudici in casi simili.
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