Con la sentenza n. 1974 del 2/2/2016 la Sezione lavoro è tornata a pronunciarsi sulla distinzione tra agente e procacciatore d’affari.
Nella sentenza in esame la Suprema Corte ha innanzitutto ribadito le differenze tra le due figure, precisando che i caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata zona, realizzando così con quest’ultimo una collaborazione professionale non episodica ed autonoma, con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo.
Per contro, il rapporto di procacciamento d’affari consiste nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie gli ordini dei clienti, trasmettendoli all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali ordini.
Mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è, invece, occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.
In altri termini, il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento d’affari non si distinguono solo per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento di affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo e ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o la sporadica raccolta di ordini e non l’attività promozionale di conclusione di contratti.
Inoltre nella sentenza in commento la Cassazione ha individuato i parametri per distinguere la figura dell’agente da quella del procacciatore:
- la pattuizione di anticipi provvigionali;
- l’assegnazione di una zona;
- la previsione di un patto di esclusiva;
- la cadenza e gli importi delle fatture;
- l’esistenza di un patto di non concorrenza al termine del rapporto.
In buona sostanza, i suddetti parametri individuati dalla Suprema Corte costituiscono degli indici della non genuinità del rapporto di procacciamento d’affari, che consentono la riqualificazione di tale rapporto come rapporto di agenzia.
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