Categoria: Lavoro Pagina 2 di 8

69. Quando si ritiene perfezionato l’invio della lettera di licenziamento?

Con la sentenza n. 15397 del 31 maggio 2023 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, si è pronunciata sul perfezionamento della notifica del licenziamento e cioè del pervenimento della comunicazione di licenziamento al domicilio del ricevente.

Con tale sentenza la Suprema Corte ha confermato le sentenze del giudice di primo grado e della Corte di appello, che avevano ritenuto decaduta la lavoratrice dal potere di impugnazione del licenziamento entro 60 giorni, giudicando valida la comunicazione di licenziamento della datrice di lavoro per compiuta giacenza della raccomandata inviata al domicilio della lavoratrice stessa.

In proposito la Corte di Cassazione ha ribadito che:

  • ai sensi e per gli effetti dell’art. 1335 codice civile gli atti unilaterali diretti a un determinato destinatario – tra i quali rientra la lettera di licenziamento – si reputano conosciuti nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia;
  • è idonea a dimostrare il perfezionamento del procedimento notificatorio, ossia del pervenimento della comunicazione di licenziamento al domicilio della lavoratrice in questione, la produzione da parte della datrice di lavoro della ricevuta di invio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento, accompagnata dalle schede informative provenienti da Poste Italiane, dalle quali si desumono la mancata consegna della raccomandata, il suo deposito presso l’ufficio postale, la sua restituzione al mittente all’esito della compiuta giacenza, pur in mancanza di produzione di copia dell’avviso immesso nella cassetta postale della lavoratrice;
  • la prova del pervenimento a destinazione della lettera di licenziamento è integrata dalla prova della spedizione della raccomandata, dalle documentate attività svolte dall’agente postale incaricato della consegna e dalla compiuta giacenza;
  • la suddetta documentazione è idonea ai fini probatori e fondativi della presunzione legale di conoscibilità da parte della lavoratrice essendo stata estratta dai dati informatici di Poste Italiane, soggetto al quale è affidato il servizio pubblico essenziale rappresentato dal servizio postale universale con attribuzione di funzioni di certificazione;
  • a fronte di tale documentazione idonea ai fini dell’art. 1335 codice civile, la lavoratrice non ha fornito la prova dell’impossibilità di averne notizia senza colpa, considerando che la raccomandata è stata spedita all’indirizzo comunicato alla datrice di lavoro e sussistendo un preciso obbligo contrattuale della lavoratrice secondo il CCNL applicato al rapporto di lavoro in questione di “comunicare con sollecitudine all’impresa ogni mutamento di residenza o domicilio”;
  • la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 codice civile degli atti ricettizi in forma scritta giunti all’indirizzo del destinatario opera per il solo fatto oggettivo dell’arrivo dell’atto nel luogo indicato dalla norma, salvo prova contraria, che non può essere costituta dall’affermazione della ricorrente di non aver mai rinvenuto l’avviso di giacenza nella sua casella postale.

In buona sostanza, nel caso di specie la Corte di Cassazione ha stabilito che la lavoratrice è decaduta dal poter fare ricorso contro il licenziamento, in quanto la lettera di impugnazione è pervenuta alla datrice di lavoro oltre il termine di 60 giorni previsto dalla legge, ritenendo insufficiente l’affermazione della stessa lavoratrice di non aver trovato l’avviso di giacenza nella propria cassetta postale ai fini di far venire meno la presunzione legale di conoscibilità della lettera di licenziamento.

 

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68. Le novità del Decreto Lavoro

È in vigore dal 5 maggio 2023 il cosiddetto Decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 maggio 2023, che prevede nuove misure in materia di lavoro, alcune con decorrenza immediata e altre applicabili a partire dal 2024.

Qui seguito vengono illustrate le principali novità.

Modifiche alla disciplina del contratto a termine

Il Decreto Lavoro rende più agevole l’assunzione a termine fino a 24 mesi complessivi con la possibilità di indicare causali previste dalla contrattazione collettiva o, nel primo anno di applicazione della nuova disciplina (nelle more dell’intervento della contrattazione collettiva), per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti.

Più precisamente le causali legittimanti il ricorso al lavoro a tempo determinato sono sostituite dalle seguenti:

  • specifiche esigenze previste dai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria;
  • entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti in assenza della previsione della contrattazione collettiva (in questo caso è consigliabile procedere con certificazione delle stesse presso una delle apposite commissioni).

 

Riduzione cuneo fiscale

È prevista una riduzione di 4 punti percentuali dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori, che si aggiunge a quella già prevista dall’ultima legge di bilancio per l’anno 2023. Conseguentemente la riduzione sarà pari, per i soli periodi di paga dal 1° luglio al 31 dicembre 2023, al:

  • 6% se la retribuzione imponibile mensile non eccede l’importo di € 2.692,00 (€ 35.000,00 reddito annuo);
  • 7% se la retribuzione imponibile mensile non eccede l’importo di € 1.923,00 (€ 25.000,00 reddito annuo).

Welfare aziendale

Viene confermata anche per il 2023 l’esenzione dall’imponibile fiscale dei cd. fringe benefit e delle somme per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

L’agevolazione, riconosciuta entro il limite complessivo di € 3.000,00, viene limitata solo ai lavoratori dipendenti con figli a carico.

Semplificazione comunicazione di assunzione

Vengono semplificati, modificando una novità introdotta il 13 agosto 2022, gli obblighi di informativa al lavoratore, che possono essere assolti dal datore di lavoro anche mediante il rinvio alla contrattazione collettiva applicata in azienda.

Incentivi per l’assunzione di under 30

Viene introdotta un’ulteriore misura per incentivare l’assunzione a tempo indeterminato di giovani under 30 che abbiano certi requisiti (cd. NEET) nel periodo 1° giugno-31 dicembre 2023. L’incentivo è pari al 60% della retribuzione mensile per un periodo di 12 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato.

Sicurezza sul lavoro

Vengono introdotte alcune modifiche al Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Si segnala in particolare l’introduzione di un obbligo di formazione e addestramento specifico anche per il datore di lavoro che fa uso di attrezzature che richiedono per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, al fine di garantire l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro.

Sanzioni per omesso versamento delle ritenute

Viene modificata la disciplina in materia di sanzioni in caso di omesso versamento delle quote di contributi previdenziali a carico del lavoratore, proporzionando la stessa all’entità dell’omissione contributiva.

Assegno di inclusione

Il reddito di cittadinanza viene sostituito da gennaio 2024 dall’assegno di inclusione, di cui potranno beneficiare i nuclei familiari con disabili, minori, over 60. Tale assegno è di importo fino a € 6.000,00 annui (€ 500,00 al mese), più un contributo affitto di € 3.360,00 annui (€ 280,00 al mese). La misura è erogata per 18 mesi. Dopo un mese di stop può essere rinnovata per periodi ulteriori di 12 mesi.

Per i componenti del nucleo familiare avviabili al lavoro di età compresa tra i 18 ed i 59 anni è prevista una serie di interventi finalizzati a favorire la loro occupazione (patto di servizio).

I richiedenti devono essere residenti in Italia da almeno cinque anni, avere un Isee di € 9.360,00 e un reddito familiare inferiore a € 6.000,00 annui moltiplicati per la scala di equivalenza. In caso di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti situazioni non veritiere è prevista la pena della reclusione da 2 a 6 anni.

 

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67. Trattamento illecito della mail aziendale

Con ordinanza ingiunzione dell’11 gennaio 2023 il Garante della Privacy ha disposto una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di un’azienda che, successivamente alla cessazione di una collaborazione, ha mantenuto attiva la mail aziendale della ex collaboratrice prendendo visione del relativo contenuto.

Nel comminare tale sanzione il Garante della Privacy ha evidenziato i seguenti punti della vicenda:

  • prima che cessasse il rapporto la collaboratrice aveva raccolto, a nome dell’azienda, i riferimenti di potenziali clienti incontrati a una fiera di settore, tramite una casella mail aziendale individuale aperta per l’occasione dall’azienda stessa;
  • una volta cessato tale rapporto, nel timore di perdere i contatti con i potenziali clienti, l’azienda aveva continuato a visionare le mail della ex collaboratrice;
  • sin da subito la ex collaboratrice aveva richiesto la disattivazione immediata della sua mail aziendale;
  • a fronte della richiesta di disattivazione della mail aziendale da parte dell’ex collaboratrice, l’azienda aveva risposto che tale mail sarebbe rimasta attiva il tempo necessario a riscontrare chi, tra i potenziali clienti conosciuti alla fiera, avesse tentato di contattare l’azienda stessa;
  • l’azienda, che si era comunque tutelata inviando una mail ai contatti raccolti presso lo stand della fiera precisando che la collaboratrice non agiva più per conto della società, aveva persistito nell’illecito trattamento dei dati della ex collaboratrice inoltrando la sua posta elettronica all’indirizzo mail di un altro dipendente dell’azienda;
  • seguivano ulteriori solleciti di chiusura dell’indirizzo di posta elettronica da parte della ex collaboratrice nei confronti dell’azienda, che chiudeva l’indirizzo di posta elettronica in questione solo dopo più di un mese e mezzo dalla cessazione della collaborazione.

Il Garante della Privacy ha ritenuto illecita la condotta sopra descritta, in quanto posta in essere dall’azienda in assenza di un idoneo criterio di legittimazione per l’effettuazione del trattamento dei dati dell’ex collaboratrice.

Infatti, secondo l’orientamento consolidato del medesimo Garante della Privacy, si sarebbe realizzato un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco (cioè la necessità di prosecuzione dell’attività economica del titolare e il diritto alla riservatezza dell’interessata) con l’attivazione di un sistema di risposta automatico con il quale venissero forniti indirizzi alternativi ai quali contattare il titolare, senza che lo stesso titolare del trattamento prendesse diretta visione delle comunicazioni in entrata sull’account individualizzato assegnato all’interessata.

Pertanto, la finalità (legittima) di non perdere contatti utili per la propria attività commerciale si sarebbe potuta perseguire con trattamenti meno invasivi e, quindi, più conformi alla disciplina di protezione dei dati rispetto a quello posto effettivamente in essere dall’azienda sanzionata con l’ordinanza in esame.

 

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66. Occhiali da vista per i lavoratori videoterminalisti

Con sentenza emessa il 22 dicembre 2022 nella causa C-392/21, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire gli occhiali da vista ai lavoratori videoterminalisti.

In particolare, nella suddetta pronuncia la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che:

  • i “dispositivi speciali di correzione” di cui all’articolo 9, paragrafo 3, della direttiva 90/270/CEE del Consiglio, del 29 maggio 1990 includono gli occhiali da vista specificamente diretti a correggere e a prevenire disturbi visivi in funzione di un’attività lavorativa che si svolge su attrezzature munite di videoterminali;
  • l’obbligo imposto al datore di lavoro di fornire ai lavoratori interessati un dispositivo speciale di correzione in base al suddetto articolo 9 può essere adempiuto mediante fornitura diretta di tale dispositivo da parte del datore di lavoro oppure mediante rimborso delle spese necessarie sostenute dal lavoratore, ma non mediante versamento al lavoratore di un premio salariale generale.

 

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65. Importo del contributo NASPI per il 2023 a carico del datore di lavoro

Con la circolare n. 14 del 3 febbraio 2023 l’INPS ha aggiornato l’importo massimo della NASPI per il 2023 (Euro 1.470,99), che a sua volta va a modificare l’importo del contributo NASPI per il 2023 a carico dei datori di lavoro.

Il ticket licenziamento, introdotto con l’articolo 2, commi 31-35, della legge n. 92 del 2012, è il contributo che il datore deve versare all’INPS in caso di cessazione di rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato che danno diritto alla NASPI. Tale importo è adeguato annualmente sulla base dei dati dell’inflazione in quanto legato al trattamento di disoccupazione. Il datore deve provvedere al relativo pagamento con modello F24 insieme agli altri contributi previdenziali e assistenziali entro il 16 del mese successivo, a prescindere se il dipendente cessato chieda o meno la NASPI.

Il ticket licenziamento a carico del datore di lavoro per il 2023 ammonta ad Euro 603,10 annuali pari al 41% dell’importo massimo del trattamento di NASpI (per il triennio l’importo massimo di tale contributo è pari a Euro 1.809,30).

Oltre che nei casi di licenziamento, il suddetto contributo è dovuto in caso di:

  • dimissioni per giusta causa;
  • dimissioni nel periodo tutelato per maternità;
  • risoluzione consensuale a seguito della conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro nei casi in cui il datore di lavoro voglia procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
  • risoluzione consensuale del rapporto a seguito del rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra unità produttiva distante oltre 50 km dalla sua residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico;
  • mancata trasformazione dell’apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

Il pagamento di tale contributo è dovuto dal datore di lavoro a prescindere dalla richiesta del dipendente dell’indennità di disoccupazione, anche in caso di licenziamento per cessazione dell’attività.

 

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64. Legge di Bilancio 2023 e novità in materia di lavoro

La legge n. 197 del 29 dicembre 2022 (c.d. Legge di Bilancio 2023) contiene delle novità in materia di lavoro e più precisamente in materia di:

  • smart-working per i lavoratori fragili
  • detassazione premi produttività
  • esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti (c.d. taglio del cuneo fiscale)
  • esonero contributivo per l’assunzione di beneficiari di reddito di cittadinanza
  • esonero contributivo per assunzioni di giovani under 36 anni (condizionato all’autorizzazione della Commissione Europea)
  • esonero contributivo per promuovere l’occupazione femminile (condizionato all’autorizzazione della Commissione Europea)
  • prestazioni occasionali
  • congedo parentale

In particolare, il c.d. smart working viene prorogato sino al 31 marzo 2023 solo per i lavoratori fragili ovvero con particolari patologie o disabilità, sia del settore pubblico che privato, affetti dalle patologie croniche individuate dal Decreto del Ministero della Salute del 4 febbraio 2022.

Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità smart working al lavoratore considerato fragile anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, senza alcuna decurtazione dello stipendio, fatta salva l’applicazione delle disposizioni di maggior favore eventualmente previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

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63. Corrispettivo variabile del patto di non concorrenza

Con ordinanza n. 33424 dell’11 novembre 2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità o meno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2125 codice civile, di un corrispettivo di un patto di non concorrenza variabile rispetto alla durata del rapporto di lavoro subordinato.

Come noto, l’art. 2125 codice civile stabilisce che il patto di non concorrenza post-contrattuale di un dipendente deve osservare i seguenti criteri di validità:

  • deve avere forma scritta;
  • deve limitarsi necessariamente alle mansioni espletate dal dipendente nel corso del rapporto di lavoro;
  • non deve essere tale da comprimere ogni potenzialità reddituale;
  • non deve prevedere corrispettivi simbolici o iniqui;
  • non deve avare una durata superiore a 5 anni per i dirigenti e a 3 anni per gli altri dipendenti.

In particolare, la Suprema Corte ha sottolineato che sono due i piani da considerare in tema di nullità del patto di non concorrenza post-contrattuale del lavoratore subordinato e cioè, da un lato, il vizio sotto l’aspetto della determinabilità o determinatezza oggettiva del compenso, dall’altro lato, il vizio sotto il profilo dell’ammontare del corrispettivo simbolico, iniquo ovvero sproporzionato.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che:

  • l’erogazione del corrispettivo di un patto di non concorrenza in rapporto alla durata della prestazione lavorativa rispecchia il principio di determinabilità ex ante, prescritto dall’art. 1346 codice civile e seguenti;
  • la variabilità del compenso in relazione alla durata del rapporto di lavoro non significa che il corrispettivo del patto di non concorrenza non sia determinabile in base a parametri oggettivi, con la conseguenza che il patto di non concorrenza non può considerarsi nullo ai sensi e per gli effetti dell’art. 2125 codice civile.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, è da ritenersi legittima l’apposizione di una clausola che parametri il valore economico del patto di non concorrenza alla durata del rapporto di lavoro cessato.

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62. Illegittimità del licenziamento a seguito del rifiuto di svolgere mansioni dequalificanti

Con ordinanza n. 30543 del 18 ottobre 2022 la Corte di Cassazione Sezione Lavoro si è pronunciata sul licenziamento di una lavoratrice che si era rifiutata di svolgere mansioni dequalificanti.

In particolare, nel caso di specie una dipendente di una società operante nel settore della ristorazione, assunta come cuoca, si era rifiutata di distribuire le merende nelle classi, senza che risultasse impartito un ordine specifico in tal senso e che in quelle occasioni la stessa lavoratrice avesse opposto un rifiuto alle sollecitazioni verbali dei referenti aziendali, avendo per contro cercato un confronto con i responsabili aziendali per una diversa soluzione di tipo organizzativo.

La Suprema Corte ha ritenuto illegittimo e quindi annullabile il licenziamento disciplinare di tale dipendente, che si era rifiutata di svolgere compiti dequalificanti, perché la condotta contestata e posta alla base del recesso da parte dell’azienda può considerarsi lecita e disciplinarmente irrilevante.

Inoltre la Cassazione ha reputato necessario accertare la proporzionalità e conformità a buona fede del rifiuto opposto dalla lavoratrice allo svolgimento di prestazioni inferiori e non pertinenti alla sua qualifica.

In buona sostanza, nel caso in esame il rifiuto della dipendente è stato considerato proporzionato e conforme a buona fede, posto che in concreto la lavoratrice non aveva assunto un atteggiamento di insubordinazione, avendo al contrario cercato, ma invano, un confronto con i responsabili aziendali per una diversa soluzione di tipo organizzativo. Per contro, la datrice di lavoro pretendeva dalla dipendente lo svolgimento di una mansione inferiore alla qualifica di inquadramento in base ad una scelta imprenditoriale imprevedibile e non improrogabile con oggettivi effetti di aggravamento dell’impegno lavorativo della dipendente.

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61. Prescrizione dei crediti retributivi relativi alle ferie

Con sentenza n. 1990 dell’8 settembre 2022 il Tribunale di Milano si è pronunciato sulle seguenti due questioni:

  • la retribuzione corrisposta durante le ferie può essere inferiore a quella ordinariamente riconosciuta al lavoratore?
  • il conseguente credito per le differenze retributive si può prescrivere in costanza di rapporto?

In sintesi, il Tribunale di Milano si è così espresso sulle suddette questioni:

  • la retribuzione percepita dal lavoratore durante il periodo feriale annuale deve essere pari a quella ordinariamente riconosciuta con riferimento alle mansioni svolte ed alla professionalità posseduta;
  • la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi conseguenti ad una retribuzione inferiore durante le ferie non decorre in costanza di rapporto, ma solo alla sua cessazione.

In particolare, sul tema della prescrizione, il Tribunale di Milano si è adeguato alla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 26246 del 6 settembre 2022 (già commentata nel nostro sito https://ftavvocati.it/index.php/2022/09/15/60-la-prescrizione-dei-crediti-di-lavoro-dopo-la-sentenza-6-settembre-2022-della-cassazione).

Infatti, si deve prendere atto dell’entrata in vigore dal 18 luglio 2012 della legge n. 92 del 2012 (c.d. Riforma Fornero), che ha modificato la tutela reale di cui all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, prevedendo delle ipotesi nelle quali, anche a fronte di un licenziamento illegittimo, la tutela resta solo di tipo indennitario, senza possibilità di reintegrazione, in modo analogo che nella tutela obbligatoria, seppur con importi risarcitori maggiori.

Pertanto, si deve ritenere che a partire dal 18 luglio 2012 i lavoratori, pur dipendenti da azienda sottoposta all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, possano incorrere nel timore del recesso – per la durata della relazione lavorativa – nel far valere le proprie ragioni, a fronte della diminuita resistenza della stabilità del proprio rapporto di lavoro.

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60. La prescrizione dei crediti di lavoro dopo la sentenza 6 settembre 2022 della Cassazione

Con la sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul problema della decorrenza della prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come rimodulato dalla legge n. 92 del 2012 (c.d. Riforma Fornero) e dal D. Lgs. n. 23 del 2015 (c.d. Jobs Act).

Come noto, con le sentenze degli anni ’60 e ’70, la Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la decorrenza in corso di rapporto della prescrizione dei crediti di lavoro, per la presenza di ostacoli di fatto, come ad esempio il timore del licenziamento, che potevano sconsigliare il lavoratore dal vantare pretese durante il rapporto di lavoro. Restava ferma la regola della decorrenza immediata della prescrizione quinquennale di crediti di lavoro nei casi in cui fosse assicurata la stabilità del rapporto di fronte al licenziamento ingiustificato o illegittimo, come nel caso dei pubblici dipendenti o dei dipendenti privati soggetti alla disciplina dello Statuto dei lavoratori, che prevedeva il pieno ripristino della situazione antecedente al licenziamento.

Con la L. n. 92 del 2012 e il D. Lgs. n. 23 del 2015 la reintegrazione del lavoratore nella situazione lavorativa antecedente è divenuta un’ipotesi prevista solo in alcuni casi, mentre negli altri casi la sanzione è di tipo meramente indennitario.

Da qui nasce la questione di legittimità sottoposta alla Corte di Cassazione in ordine alla persistenza della decorrenza immediata della prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro nel mutato quadro normativo in materia di licenziamenti; e cioè:

In seguito alle modifiche normative introdotte mediante la L. n. 92/2012 ed il D.lgs. n. 23/2015, è possibile affermare la permanenza della stabilità reale del rapporto di lavoro con le conseguenze a ciò connesse in tema di decorrenza dei termini di prescrizione di cui agli artt. 2935 e 2948 n. 4 c.c. in costanza di rapporto?”

La risposta della Corte di Cassazione, diversamente da quella dei giudici di merito, è negativa, sulla base di una valutazione, da parte della stessa Corte di Cassazione, di inadeguatezza della nuova disciplina a scongiurare il timore di un licenziamento ingiusto, che costituirebbe una remora all’esercizio dei crediti del lavoratore in corso di rapporto di lavoro.

Secondo la Suprema Corte, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro.

In buona sostanza, secondo la sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 della Corte di Cassazione, il termine di prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro nei contratti a tempo indeterminato non decorre durante il rapporto di lavoro, ma solo a far data dalla cessazione del rapporto di lavoro.

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