Categoria: Distribuzione Pagina 1 di 3

19. Gli elementi caratteristici del contratto di distribuzione

Con sentenza n. 25460 del 30 agosto 2023 la Cassazione si è pronunciata sugli elementi caratteristici del contratto di distribuzione commerciale, detto anche contratto di concessione di vendita.

In particolare, nella suddetta sentenza la Suprema Corte ha evidenziato che:

  • il distributore è un acquirente/rivenditore dei prodotti del produttore;
  • il distributore trae la sua fonte di guadagno dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di rivendita;
  • il distributore vende ai suoi clienti i prodotti in nome e per conto proprio, in maniera del tutto autonoma rispetto al produttore da cui acquista i prodotti;
  • il distributore non è un collaboratore del produttore, ma un soggetto del tutto distinto.

Inoltre, nella pronuncia in esame la Cassazione ha ribadito che il contratto di distribuzione è un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, avente natura di “contratto quadro”, dal quale deriva per il distributore il duplice obbligo di promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita e di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti che gli vengono forniti dal produttore alle condizioni fissate nel “contratto quadro”.

In buona sostanza, con la sentenza in commento la Suprema Corte ha messo in luce gli elementi caratteristici del contratto di distribuzione ed ha ribadito la natura giuridica di tale contratto.

 

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18. Patto di non concorrenza post-contrattuale nel contratto di distribuzione

Il contratto di distribuzione (detto anche contratto di concessione di vendita) rientra tra i c.d. “accordi verticali”.

Per “accordi verticali” si intendono gli accordi tra due o più imprese operanti ciascuna ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi.

Agli accordi verticali si applica il Regolamento UE n. 720/2022, entrato in vigore il 1° giugno 2022 e valido fino al 31 maggio 2034.

In base all’art. 5 del Regolamento UE n. 720/2022 – e come chiarito anche dalle Linee Guida di tale regolamento europeo – non è possibile inserire obblighi di non concorrenza a carico del distributore (o concessionario) dopo la scadenza del contratto, a meno che non siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

  • l’obbligo di non concorrenza post-contrattuale si riferisca a beni o servizi in concorrenza con i beni o servizi contrattuali;
  • l’obbligo di non concorrenza post-contrattuale sia limitato al punto vendita in cui il distributore (o concessionario) ha operato durante la vigenza del contratto;
  • l’obbligo di non concorrenza post-contrattuale sia indispensabile per proteggere il know-how trasferito dal produttore al distributore;
  • l’obbligo di non concorrenza post-contrattuale sia limitato a una durata massima di 1 anno.

In particolare, come precisato nelle Linee Guida al Regolamento UE n. 720/2022, il know-how in questione deve essere segreto, sostanziale, individuato e deve comprendere informazioni significative e utili al distributore per l’uso, la vendita o la rivendita dei beni o servizi oggetto del contratto di distribuzione.

 

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17. Differenza tra distributore e cliente di riferimento

Con sentenza n. 1043 del 9 febbraio 2023 il Tribunale di Milano si è pronunciato su un caso in cui un produttore, dopo aver effettuato un recesso con preavviso da un contratto di distribuzione, ha continuato a vendere merce all’ex distributore, con il quale si è instaurato un distinto rapporto commerciale basato su singole compravendite divenendo un cliente di riferimento (del produttore) nella zona.

Nella sentenza in questione il Giudice adito ha stabilito che:

  • è legittimo il comportamento di un produttore che recede con preavviso da un contratto di distribuzione (detto anche contratto di concessione di vendita) e poi, una volta risolto tale contratto, instaura con l’ex distributore un distinto rapporto commerciale basato su singole compravendite di prodotti, con la conseguenza che l’ex distributore diventa cliente di riferimento del produttore nella zona;
  • non si verifica una prosecuzione del contratto di distribuzione e non continuano ad essere valide le pattuizioni ivi contenute, ma il nuovo e distinto rapporto di compravendita è regolato dai singoli ordini di acquisto alle condizioni di volta in volta concordate tra le parti, qualora il cliente di riferimento non è più tenuto a rispettare gli obblighi previsti nel cessato contratto di distribuzione ed in particolare l’obbligo sui minimi di acquisto e l’obbligo di destinazione del 90% della superficie di vendita del negozio alla merce del produttore diversamente dal periodo in cui era vigente il contratto di distribuzione.

In buona sostanza, la sentenza in commento evidenzia la differenza esistente tra la figura del distributore e quella del cliente di riferimento (detto anche “cliente abituale”), che sono due figure molte diffuse nella prassi commerciale:

  • il distributore è legato al produttore da un rapporto continuativo di collaborazione commerciale, che non può essere interrotto senza un congruo preavviso e da cui scaturiscono una serie di obblighi in capo al distributore stesso come l’obbligo sui minimi di acquisto e l’obbligo di destinazione di una determinata superficie del negozio alla merce del produttore;
  • il cliente di riferimento è un acquirente-rivenditore che instaura con il produttore una costante relazione d’affari in una determinata zona, attraverso una serie di compravendite susseguitesi nel tempo, ma senza fissare ulteriori obblighi né da una parte (ad es. l’obbligo di promozione, l’obbligo di assistenza per l’omologazione dei prodotti, l’obbligo di partecipazione a fiere, ecc.), né dall’altra parte (ad es. l’obbligo del produttore di rispettare un preavviso qualora decida di smettere di rifornire la controparte).

 

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16. Risoluzione del contratto di distribuzione per mancato raggiungimento dei minimi di acquisto

Con ordinanza del 3 novembre 2022 il Tribunale di Venezia si è pronunciato su un caso di risoluzione automatica di un contratto di distribuzione internazionale per mancato raggiungimento dei minimi annuali di acquisto, in applicazione della clausola risolutiva espressa prevista in tale contratto.

Per meglio comprendere la sentenza in commento è utile ricostruire la vicenda da cui ha tratto origine tale sentenza.

La società italiana Alfa, produttrice di montature per occhiali da vista, stipulava con una società di distribuzione francese Beta un contratto di distribuzione in esclusiva per la Francia di tre linee di montature di occhiali prodotte da Alfa.

Il contratto di distribuzione veniva stipulato il 16 novembre 2020 ed era a tempo determinato con decorrenza dal 16 novembre 2020 e con naturale scadenza il 17 novembre 2023.

Con lettera del 24 febbraio 2022 la società Alfa comunicava alla società Beta di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di distribuzione in caso di mancato raggiungimento dei minimi annuali di acquisto stabiliti contrattualmente, dichiarando così la cessazione degli effetti del contratto di distribuzione a far data dal 28 febbraio 2022.

La società francese Beta adiva il Tribunale di Venezia lamentando che la società italiana Alfa avrebbe esercitato in mala fede la clausola risolutiva espressa prevista nel contratto, posto che la stessa società Alfa aveva comunque dato esecuzione al contratto medesimo nei primi due mesi dell’anno 2022, nonostante il mancato raggiungimento dei minimi di acquisto per il 2021, sicché secondo la prospettazione di Beta doveva desumersi che la società italiana Alfa aveva tacitamente rinunciato per fatti concludenti ad avvalersi della clausola risolutiva espressa.

In particolare, il distributore francese ammetteva di aver acquistato nel 2021 da Alfa montature di occhiali per un importo complessivo di Euro 284.631,00, al di sotto quindi del minimo contrattuale fissato per l’anno 2021 in Euro 297.000,00. Tuttavia, Beta evidenziava che Alfa nei primi due mesi del 2022 non solo aveva dato esecuzione ai nuovi ordini di acquisto impartiti dalla stessa Beta, ma aveva anche inviato a quest’ultima delle nuove collezioni per il 2022, oltre ad aver riconosciuto in una mail inviata a Beta il 17 febbraio 2022 il ruolo commerciale strategico della medesima Beta nel territorio francese.

Oltre a ciò, il distributore francese rilevava che il mancato raggiungimento dei minimi di acquisto previsti per l’anno 2021 era dovuto dalle restrizioni imposte dalla pandemia e quindi per fatto non imputabile a Beta.

Pertanto, sulla base delle argomentazioni sopra indicate, Beta chiedeva al Tribunale adito di accertare l’illegittimità della risoluzione automatica del contratto di distribuzione effettuata da Alfa con lettera del 24 febbraio 2022, insistendo sul fatto che dal comportamento posto in essere da Alfa nei primi mesi del 2022, in particolare l’accettazione di nuovi ordini e l’invio di nuove collezioni, doveva desumersi una rinuncia tacita da parte della società italiana Alfa alla facoltà di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto in caso di mancato raggiungimento dei minimi annuali di acquisto.

Per contro, la società Alfa costituendosi in giudizio osservava anzitutto che era priva di fondamento l’asserzione di controparte secondo cui il mancato raggiungimento dei minimi annuali acquisto per l’anno 2021 era dipeso dalle restrizioni imposte dalla pandemia, tenuto conto che il contratto di distribuzione oggetto di causa era stato stipulato il 16 novembre 2020 e, quindi, nel pieno della recrudescenza pandemica.

Inoltre, la società Alfa eccepiva che nel mercato dell’occhialeria le vendite si concentrano per almeno il 30% nei primi mesi dell’anno, per cui Beta anche nel 2022 non avrebbe raggiunto i minimi annuali di acquisto fissati per tale anno in Euro 345.000,00, atteso che tra gennaio 2022 e febbraio 2022 aveva inviato ordini pari complessivamente a Euro 3.568,30.

Il Tribunale di Venezia rigettava il reclamo della società Beta, affermando che:

  • nel caso di specie è circostanza pacifica, per affermazione della stessa Beta, che il distributore francese non aveva raggiunto i minimi di acquisto pattuiti per l’anno 2021;
  • il contratto di distribuzione oggetto di causa prevedeva la facoltà di Alfa di risolvere il contratto nel caso in cui il distributore non avesse raggiunto i minimi di acquisto annuali;
  • in tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo), non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento;
  • nel caso in esame Alfa, dopo una tolleranza di due mesi successivi al mancato raggiungimento dei minimi di acquisto del 2021, tolleranza manifestata in termini positivi con l’accettazione di nuovi ordini per i mesi di gennaio e febbraio del 2022, si è avvalsa della clausola risolutiva espressa proprio in ragione dell’ulteriore protrazione dell’inadempimento, osservando come gli ordini eseguiti nei primi due mesi del 2022 erano stati non solo del tutto irrisori, essendo stati pari a complessivi Euro 3.568,30 a fronte del minimo contrattuale di Euro 345.500,00, ma anche tali da far ritenere che pure per l’anno 2022 i minimi di acquisto non si sarebbero raggiunti, così come non erano stati raggiunti nell’anno 2021;
  • il contratto di distribuzione oggetto di causa non prevedeva che la società Alfa aveva l’onere di avvalersi della clausola risolutiva espressa entro specifici termini;
  • l’accettazione di ordini da parte di Alfa nei primi due mesi del 2022 e l’invio di nuove collezioni avvenuta all’inizio del 2022 non costituiva inequivoca volontà tacita di rinunciare alla risoluzione del contratto, dovendosi considerare invece tali circostanze come mera tolleranza del pregresso inadempimento.

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15. Prosecuzione del contratto di distribuzione oltre la scadenza

Con sentenza n. 8530 del 28 ottobre 2022 il Tribunale di Milano si è pronunciato sulle conseguenze che si verificano nel caso in cui, nonostante la scadenza formale di un contratto di distribuzione, il distributore continua ad effettuare ordini e il produttore continua a spedire i prodotti ordinati dal distributore.

Nella sentenza in questione il Giudice adito ha stabilito che:

  • anche in mancanza di un atto di assenso scritto di entrambe le parti, la documentata continuazione dei rapporti tra le parti anche dopo la scadenza formale del contratto di distribuzione (continuazione provata dagli ordini di merce pervenuti alla società produttrice e dalle conseguenti spedizioni prodotti al distributore nei mesi successivi alla scadenza formale del contratto di distribuzione) deve interpretarsi come tacita prosecuzione del contratto manifestata per fatti concludenti;
  • in tale ipotesi il rapporto negoziale continua ad essere disciplinato dalle medesime clausole contenute nel contratto di distribuzione formalmente scaduto, verificandosi così una ultrattività di tale contratto.

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14. Natura giuridica del contratto di distribuzione

Con sentenza n. 6199 del 13 ottobre 2020 il Tribunale di Milano è tornato a pronunciarsi sulla natura giuridica del contratto di distribuzione commerciale (o contratto di concessione di vendita).

In particolare, nella sentenza in esame il Giudice adito ha stabilito che:

  • il contratto di distribuzione (o contratto di concessione di vendita) è un contratto atipico, nato nella prassi commerciale delle attività di distribuzione delle merci, che non è inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, ma è qualificabile come un contratto-quadro;
  • in forza del contratto di distribuzione (o contratto di concessione di vendita) il distributore (o concessionario) assume due obblighi e cioè l’obbligo di promuovere la rivendita dei prodotti che gli vengono forniti dal produttore e l’obbligo di concludere con soggetti terzi contratti di trasferimento dei prodotti, che gli vengono forniti dallo stesso produttore alle condizioni fissate nel contratto quadro;
  • il contratto di distribuzione (o contratto di concessione di vendita) non è assimilabile al contratto di agenzia, stante la mancanza dell’elemento della collaborazione tra le parti, distintivo e caratterizzante del rapporto di agenzia.

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13. Differenze tra contratto di distribuzione e contratto di agenzia

Con la sentenza n. 932 del 26 agosto 2020 il Tribunale di Perugia si è pronunciato sulla natura del contratto di distribuzione (o di concessione di vendita) e sulle differenze tra tale contratto e quello di agenzia.

In particolare, nella suddetta pronuncia il Giudice ha affermato che:

  • il contratto di distribuzione è un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, avente natura di contratto normativo, dal quale deriva l’obbligo per il concessionario sia di promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita, sia di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, che gli vengono forniti, mediante la stipulazione a condizioni predeterminate nell’accordo iniziale;
  • il contratto di distribuzione (o di concessione di vendita) differisce da quello di agenzia, poiché in esso la collaborazione tra concedente e concessionario, pur prevista, non assurge ad elemento determinante.

In buona sostanza, con la sentenza in commento il Tribunale di Perugia ha aderito al consolidato orientamento della Cassazione sul tema in esame (v. Cass. 27 febbraio 2017 n. 4948; Cass. 19 febbraio 2010 n. 3990; Cass. 18 settembre 2009 n. 2009).

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12. Mediazione obbligatoria per le controversie contrattuali legate al Covid-19

La legge 25 giugno 2020 n. 70 ha previsto l’obbligatorietà del procedimento di mediazione per le controversie contrattuali legate al Covid-19.

Pertanto dal 30 giugno 2020 è obbligatorio effettuare la mediazione prima di agire in giudizio nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, in cui il rispetto delle misure di contenimento o comunque delle misure disposte durante l’emergenza sanitaria può essere valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore, anche con riguardo all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.

Di conseguenza, il mancato esperimento del procedimento di mediazione determina l’improcedibilità della domanda giudiziale.

Rientrano, ad esempio, nelle controversie contrattuali legate al Covid-19 soggette a mediazione obbligatoria le seguenti ipotesi:

  • le azioni di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione;
  • le azioni di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta a causa delle misure di contenimento;
  • tutte le ipotesi contrattuali in cui si discute degli effetti del mancato tempestivo recesso che non è stato possibile comunicare durante l’emergenza.

In buona sostanza, il legislatore vorrebbe incentivare la soluzione extragiudiziale di quelle controversie che derivano dalle misure restrittive imposte durante l’emergenza Covid-19.

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9. Impatto del Coronavirus sui contratti di distribuzione

Il Coronavirus sta provocando ripercussioni anche nei rapporti contrattuali ed in particolare nei contratti di distribuzione, sia a livello internazionale, sia a livello nazionale.

Come noto, per effetto dell’emergenza sanitaria in corso, sia a livello internazionale sia a livello nazionale alcune aziende stanno rallentando o addirittura bloccando la loro produzione, con la conseguenza che tali aziende rischiano di non poter – in tutto o in parte – adempiere ai contratti in essere con i loro distributori.

Si pensi ad esempio al caso di un produttore italiano che ha stipulato con un distributore–importatore americano un contratto di distribuzione, in forza del quale il produttore si è impegnato a vendere all’importatore americano un certo quantitativo minimo di prodotti nel 2020.

In caso di mancata o parziale fornitura dei prodotti al distributore americano, si realizzerebbe un inadempimento contrattuale imputabile al produttore italiano.

Per cercare di mitigare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dal suo ipotetico inadempimento, il produttore potrebbe però invocare il concetto della “causa di forza maggiore” consistente nell’emergenza sanitaria provocata dal Coronavirus.

Infatti, sono considerate cause di forza maggiore quelle circostanze estranee alla sfera di controllo della parte obbligata, che determinano un impedimento che la stessa parte obbligata non era ragionevolmente tenuta a prevedere al momento della conclusione del contratto, né poteva evitare o superare l’impedimento medesimo o le sue conseguenze.

A sostegno di tale tesi si segnalano le seguenti argomentazioni:

  • Secondo la giurisprudenza internazionale e nazionale, integrano gli estremi della causa di forza maggiore le catastrofi naturali (ad esempio gli incendi, i terremoti, le alluvioni, gli uragani, ecc.) oppure gli eventi umani di particolare gravità (ad esempio le guerre, gli atti terroristici, le rivolte, gli scioperi, gli ordini delle pubbliche autorità, ecc.).
  • Nel caso del Coronavirus – da un lato – sussistono gli estremi della catastrofe naturale, tenendo presente l’impatto di tale virus sulla salute pubblica dei cittadini – dall’altro lato – sussistono pure gli estremi dell’evento umano di particolare gravità, tenendo presente l’impatto delle ordinanze delle pubbliche autorità volte a contenere la diffusione del virus, che sostanzialmente limitano la circolazione dei lavoratori e/o l’attività produttiva e/o l’approvvigionamento delle materie prime da parte di soggetti terzi (si pensi ad esempio alle tante aziende nazionali e internazionali che importano dalla Cina alcuni componenti indispensabili per la produzione dei loro prodotti).
  • L’epidemia SARS del 2003 fu considerata causa di forza maggiore in diverse sentenze e arbitrati, per cui costituisce un precedente giurisprudenziale a cui fare riferimento per le possibili analogie con il Coronavirus.

Ad ogni modo, si potrebbe invocare il concetto della “causa di forza maggiore” non solo se all’interno del singolo contratto di distribuzione fosse prevista una clausola apposita disciplinante tale ipotesi, ma anche, in caso contrario, in applicazione dei principi generali di diritto sopra esposti.

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11. Covid-19 e Fase 2 dei contratti

Nella Fase 2 cominciano a vedersi anche sui contratti i primi effetti del Covid-19, che si stanno concretizzando in richieste di risarcimento danni e/o in richieste di pagamento di penali, a fronte di inadempimenti contrattuali legati al blocco delle attività produttive avvenuto durante la Fase 1. 

Le aziende che nella Fase 1 si sono trovate nella situazione di non poter adempiere ai propri obblighi contrattuali, o di poterlo fare solo ad un costo eccessivo, avrebbero dovuto informare di tale situazione la controparte, eventualmente chiedendo all’altro contraente di rinegoziare i termini contrattuali.  

Infatti, come noto, obbligo fondamentale nei rapporti contrattuali è agire secondo buona fede rispettando gli impegni contrattuali assunti in applicazione della regola generale del “pacta sunt servanda”.

Tuttavia, l’art. 91 del c.d. “Decreto Cura Italia”, convertito nella legge n. 27 del 24 aprile 2020, ha stabilito che: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.  

Secondo l’art. 1218 del codice civile il debitore, che non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo sia determinato da impossibilità derivante da causa a lui non imputabile.  

In altre parole, l’art. 91 del c.d. “Decreto Cura Italia” prevede che, ai fini della valutazione dell’esclusione del debitore dalla responsabilità per inadempimento contrattuale, anche in relazione ad eventuali decadenze o penali connesse ai ritardati o omessi adempimenti, potrà essere valutato dal Giudice il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica dovuta al Covid-19.  

Inoltre l’art. 91 del c.d. “Decreto Cura Italia” richiama espressamente anche l’art. 1223 del codice civile, secondo cui il risarcimento del danno deve comprendere la perdita subita dal creditore e il mancato guadagno in quanto ne siano conseguenza diretta.

Pertanto, in caso di sussistenza di un danno da risarcire, ai fini della quantificazione di tale danno il Giudice dovrà tenere in considerazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 91 del c.d. “Decreto Cura Italia”, l’obbligo a carico del debitore di rispettare le misure di contenimento del Covid-19 imposte durante la fase emergenziale.

In buona sostanza, l’art. 91 del c.d. “Decreto Cura Italia”, convertito nella legge n. 27 del 24 aprile 2020, consentirebbe di escludere la responsabilità del debitore, ma a tal fine è essenziale una disamina del caso concreto per valutare l’incidenza del rispetto delle misure di contenimento in relazione all’inadempimento della prestazione da parte dello stesso debitore.

 

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