Gli obblighi del distributore secondo la Corte di Cassazione

Con la sentenza n. 4948 del 27 febbraio 2017 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del contratto di distribuzione commerciale (detto anche contratto di concessione di vendita), precisando gli obblighi a carico del distributore (detto anche concessionario), che derivano dalla sottoscrizione di tale contratto.

La sentenza in commento è interessante, in quanto, dopo aver ribadito la natura giuridica del contratto di distribuzione commerciale, ha precisato gli obblighi a carico del distributore, che derivano dalla sottoscrizione di tale contratto, ossia l’obbligo di promuovere la rivendita dei prodotti acquistati dal concedente e di promuoverne la vendita e l’obbligo di incrementare la commercializzazione di tali prodotti in base alle direttive impartitegli dal concedente stesso.

Per meglio comprendere l’importanza della sentenza in commento è utile ricostruire brevemente la vicenda da cui ha tratto origine tale sentenza.

Con atto di citazione del 25 giugno 2001 la società italiana Alfa conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Mantova, sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, la società austriaca Beta, chiedendo che venisse accertata la risoluzione del contratto di distribuzione commerciale stipulato tra le parti in data 1 febbraio 1999 per inadempimento da parte del distributore austriaco dell’obbligo di svolgere attività di promozione e di vendita dei prodotti acquistati dalla società italiana, nonché dell’obbligo del raggiungimento dei quantitativi minimi di vendita fissati per ciascun anno, con conseguente condanna risarcitoria della società Beta a corrispondere in favore della società Alfa Euro 218.850,00.

In particolare la società concedente italiana nell’atto di citazione sottolineava che dal mese di febbraio 2000 il distributore austriaco aveva interrotto unilateralmente ogni rapporto commerciale, cessando di acquistare e di vendere i prodotti della società Alfa.

Si costituiva in giudizio la società Beta, che non contestava di aver interrotto l’esecuzione del contratto di distribuzione commerciale, ma deduceva i precedenti inadempimenti della società Alfa quanto alla violazione del patto di esclusiva concesso per l’Austria, chiedendo così di accertare in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento della società concedente italiana, con conseguente condanna al risarcimento dei danni.

Il Tribunale di Mantova, sezione distaccata di Castiglione delle Stiviere, dichiarava risolto il contratto del 1 febbraio 1999 a far data dal 28 aprile 2000 per inadempimento del distributore austriaco, condannando quest’ultimo a risarcire i danni liquidati in Euro 180.388,37, oltre interessi, mentre rigettava le domande riconvenzionali.

La società austriaca Beta proponeva appello principale, mentre la società italiana Alfa proponeva appello incidentale per ottenere il maggior importo risarcitorio richiesto in primo grado.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza n. 868/2012 del 2 luglio 2012, in parziale accoglimento del gravame proposto dal distributore austriaco, rigettava la domanda di risoluzione del contratto e conseguente risarcimento proposta dalla società concedente italiana.

In particolare la Corte d’Appello di Brescia evidenziava che la domanda della società Alfa fosse fondata sulla condotta inadempiente della società Beta per il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi di vendita per gli anni 1999 e 2000, con correlati danni per lucro cessante e danno emergente (mancato incasso del fatturato e corresponsione delle royalties al titolare del marchio), laddove la clausola n. 35.4 del contratto del 1 febbraio 1999, proprio per l’ipotesi del mancato raggiungimento degli obiettivi minimi di vendita da parte del distributore, non prevedeva alcun risarcimento in favore del concedente, ma solo un diritto per quest’ultimo di porre termine al contratto. Parimenti la Corte d’Appello di Brescia rigettava la domanda di risoluzione proposta dal distributore austriaco basata sulla violazione del patto di esclusiva, alla luce delle prove testimoniali assunte.

Contro la sentenza della Corte d’Appello di Brescia proponeva ricorso in Cassazione la società concedente italiana, evidenziando che la domanda di risoluzione del contratto di distribuzione commerciale da lei proposta fosse stata basata sull’arbitraria interruzione degli acquisti da parte del distributore austriaco e non, come erroneamente inteso dalla corte territoriale bresciana, sul mancato raggiungimento degli obiettivi minimi di vendita, che rappresentava la conseguenza dell’inadempimento posto in essere da tale distributore.

Con la sentenza n. 4948 del 27 febbraio 2017 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla società Alfa, rilevando in linea generale che:

  • secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione la concessione di vendita è un contratto atipico, non inquadrabile tra quelli di scambio con prestazioni periodiche, avente natura di contratto normativo, dal quale deriva l’obbligo per il concessionario sia di promuovere la formazione di singoli contratti di compravendita, sia di concludere contratti di puro trasferimento dei prodotti, che gli vengono forniti, mediante la stipulazione a condizioni predeterminate nell’accordo iniziale;
  • nel contratto di concessione di vendita il concessionario rivenditore assume l’obbligo di promuovere la rivendita dei prodotti che vengono acquisiti mediante la stipulazione (alle condizioni predeterminate dal contratto normativo) di singoli contratti d’acquisto, assumendo altresì l’impegno di incrementare la commercializzazione di tali prodotti in base alle direttive impartitegli dal concedente.

Nel caso di specie, rispetto all’obbligo di svolgere attività di promozione e di vendita dei prodotti acquistati dalla società italiana Alfa, la società austriaca Beta si era resa inadempiente dal febbraio 2000, avendo interrotto improvvisamente gli acquisti, da cui era derivato inevitabilmente il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi di vendita.

 

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